Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone,
Richiesta di archiviazione ex artt. 408 c. p. p. e 125 disp. att.

AL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI - SEDE

Il Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Michele Toriello, visti gli atti del procedimento indicato in epigrafe nei confronti di D. S. M. e G. B., indagati del reato di cui all’art. 171 octies l. 22 aprile 1941, n. 633, così come introdotto dalla l. 18 agosto 2000, n. 248, e rilevata l’infondatezza della notizia di reato.

Rilevato che nel corso di perquisizioni personali e domiciliari venivano rinvenuti nella disponibilità degli indagati:

1) una scheda Telepiù, due dual card blokker e quattro kit di montaggio, presso i locali commerciali della G. e. srl;

2) circa 2300 circuiti stampati, 58 programmatori, circa 500 fan cards, circa 80 wafer cards, 150 dual blokker, oltre 1000 processori eprom e pic, 2 gamme per ricevitori satellitari, un illuminatore per parabola, un misuratore di campo, alcuni floppy contenenti il software fancard eprom editor”, ed una somma di denaro pari a £ 40.000.000 circa, nella disponbilità del D. S.

Si può pertanto ritenere provato che gli indagati disponessero di materiale idoneo ad installare su smart card (del tipo fan card o wafer card) i software idonei alla decodificazione dei codici attraverso i quali l’emittente satellitare Telepiù invia il proprio segnale di trasmissione.

Ed invero, le televisioni digitali satellitari basano il loro sistema di trasmissione appunto sulla criptazione del segnale che il satellite provvede ad inviare su tutto il territorio coperto dal servizio; per la decodifica di quel segnale occorre non solo un decoder digitale (che capta il segnale, grazie alla parabola ad esso collegata), ma anche una smart card, ossia un comune circuito elettronico sulla cui memoria viene caricato il software necessario alla decriptazione: l’inserimento della smart card nel decoder consentirà così la visione in chiaro dei programmi criptati, ma solo a patto che i codici della smart card coincidano con quelli impostati dall’emittente televisiva per la decodificazione del segnale.

Vi è tuttavia che i componenti che rendono possibile l’accesso al sistema televisivo protetto sono, tutti, agevolmente disponibili in commercio: tanto il decoder (che le emittenti satellitari di norma concedono in comodato gratuito, ma che può essere liberamente acquistato in un qualsiasi negozio di elettrodomestici), quanto la smart card (che sia una fan card o una wafer card) e finanche il programmatore, attraverso il quale inserire in quella scheda i codici di decriptazione (comuni supporti informatici – utilizzabili per innumerevoli scopi leciti - in commercio presso qualsiasi negozio di elettronica).  I codici sono invece reperibili attraverso la rete di internet: esistono infatti numerosi siti (più o meno clandestini) che mettono a disposizione software aggiornati con periodicità e tempismo, che chiunque è in grado di scaricare liberamente.

Si tratta, a questo punto, si capire quale ipotesi delittuosa possa contestarsi a chi venga rinvenuto in possesso di una smart card non originale, ovvero della strumentazione idonea ad installare su una smart card i codici di decriptazione.

Con una novella introdotta dall’art. 17 della legge 18 agosto 2000, n. 248 il legislatore, modificando ed integrando le norme poste a tutela del diritto d’autore, introduceva nel nostro ordinamento l’articolo 171 octies della legge 633/1941, sanzionando la condotta di “chiunque, a fini fraudolenti, produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica che digitale. Si intendono ad accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale servizio”.

Questa norma pareva pertanto aver risolto ogni problema interpretativo, essendo stata dettata espressamente per la disciplina del settore audiotelevisivo.

A distanza di soli tre mesi, il quadro normativo è stato nuovamente innovato dal decreto legislativo 15 novembre 2000, n. 373, recante attuazione della direttiva 98/84/ce sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato.

Con quest’ultimo intervento il legislatore ha deciso di sanzionare solo in via amministrativa condotte del tipo di quelle in esame, sulla scorta della citata direttiva comunitaria – avente ad oggetto la tutela dei servizi ad accesso condizionato - adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea in data 20 novembre 1998. Non che vi fosse tenuto: la direttiva lascia infatti chiaramente largo spazio ai legislatori degli Stati membri, assolutamente liberi di decidere il tipo di sanzione da applicare; nel ventitreesimo considerando della direttiva in oggetto può leggersi che gli Stati membri non sono tenuti a prevedere sanzioni penali per le attività illecite di cui alla presente direttiva, ferma restando la predisposizione di misure idonee a garantire da un lato il sequestro dei dispositivi illeciti, e dall’altra un rapido e congruo risarcimento dei danni patiti dai prestatori di servizi protetti; l’articolo 5, nell’illustrare il sistema delle sanzioni e dei mezzi di tutela, si limita conseguentemente a statuire che le sanzioni siano efficaci, dissuasive e proporzionate al potenziale impatto dell’attività illecita.

L’articolo 1 del decreto legislativo 373/2000, nel chiarirne l’ambito di applicazione, include nel novero dei servizi ad accesso condizionato le trasmissioni televisive, cioè le trasmissioni via cavo o via radio anche via satellite di programmi destinati al pubblico (art. 1, numero 1); il successivo articolo 4, lettera b), vieta l’installazione, la manutenzione o la sostituzione a fini commerciali di dispositivi di cui all’art. 1, comma 1, lettera g), ossia di ogni apparecchiatura o programma per elaboratori elettronici concepiti o adattati al fine di rendere possibile l’accesso ad un servizio protetto in forma intelligibile senza l’autorizzazione del fornitore del servizio. Infine, l’articolo 6, nel sanzionare la condotta di chi viola l’appena illustrato articolo 4, prevede la sola sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire dieci milioni a lire cinquanta milioni, oltre al pagamento di una somma da lire centomila a lire cinquecentomila per ciascun dispositivo illecito.

Ebbene, una smart card pirata, in quanto idonea a consentire l’accesso in forma intelligibile ad un servizio protetto senza l’autorizzazione del fornitore, rientra nella definizione dei dispositivi illeciti di cui all’articolo 1, lettera g), d. l.vo 373/2000, vietati dall’art. 4 e sanzionati in via esclusivamente amministrativa dall’articolo 6 dello stesso decreto.

Le disposizioni appena illustrate, per effetto dei generali ed ineludibili principi introdotti dagli articoli 2, secondo comma, e 15 del codice penale, impediscono di ritenere tuttora penalmente sanzionabili condotte del tipo di quelle in esame, anche se commesse prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo in oggetto.

A conferma di ciò, si possibile citare le prime pronunce giurisprudenziali successive all’entrata in vigore del decreto in questione: tra esse la sentenza del Tribunale di Torino in composizione monocratica, sezione V penale, del 30 marzo 2001, e quella della terza sezione della Corte di Cassazione, 9 novembre 2001, n. 42561.

Né può trovare spazio l’applicazione di alcuna altra norma incriminatrice di contenuto generale.

Il riferimento è innanzitutto agli articoli 617 quater e 617 quinquies c. p., che sanzionano chiunque “fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi”, o “installa apparecchiature atte ad effettuare le operazioni precedentemente descritte”, norme che, in base a quanto disposto dall’art. 623 bis c. p. “si applicano a qualunque trasmissione a distanza di suoni, immagini o altri dati”.

In dottrina si è sostenuto che, nonostante la collocazione sistematica delle norme (sezione V del libro II del codice penale, tra i delitti contro l’inviolabilità dei segreti), esse possono (rectius, potevano) ritenersi applicabili al caso di specie, avendo l’art. 623 bis (introdotto da una novella del 1993) eliminato il riferimento alla comunicazione tra persone, ed introdotto il più ampio concetto di tutela delle comunicazioni intercorrenti tra sistemi elettronici.

In senso contrario si è correttamente osservato che mai una trasmissione televisiva, pur ad accesso condizionato, può dirsi “segreta”, con i riflessi del caso circa l’applicabilità della relativa disciplina.

Quanto all’art. 648 c. p., non si comprende come possa essere applicato al caso di specie, mancando in radice uno degli elementi essenziali per la configurabilità della ricettazione, ossia la commissione del cd. reato presupposto.

Ed invero, per quanto si è ampiamente illustrato, la smart card altro non è se non un comune supporto informatico sul quale viene caricato un software costituito da un codice alfanumerico, agevolmente reperibile su pagine web.

Non essendo penalmente sanzionabile la condotta di chi, acquistata regolarmente una smart card, vi installa (sia pure abusivamente) i codici che consentono la visione non autorizzata dei programmi di un’emittente a pagamento, non è penalmente sanzionabile ai sensi dell’art. 648 c. p. colui che venga trovato in possesso di una smart card “pirata” o degli strumenti informatici idonei al “taroccamento”.

Tutto ciò a prescindere dagli ostacoli interpretativi che si incontrano ove si cerchi di far rientrare nella nozione di “cosa”, così come genericamente indicata dall’art. 648 c. p., un software, ossia un bene immateriale.

Va esclusa in radice l’applicabilità al caso di specie dell’art. 640 c. p., spesso (come nel caso di specie) invocato negli atti di querela dai legali delle società televisive: non può invero essere messa in dubbio la palese assenza di uno dei requisiti essenziali della truffa, l’atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto ingannato. Se può sostenersi che l’agente – procurandosi abusivamente i codici di decriptazione – pone in essere artifici che gli consentono di procurarsi un ingiusto profitto in danno dell’emittente televisiva, non può comunque ravvisarsi alcun atto che la persona offesa compia in conseguenza dell’errore provocato da quell’artificio. In effetti le società emittenti, per come già abbondantemente illustrato, attraverso la stazione trasmittente (il satellite) inviano il segnale – una volta per tutte - ad un numero indeterminato di stazioni riceventi (i decoder): chi è in possesso dei codici di decodificazione può leggere quel segnale e, conseguentemente, assistere alla trasmissione. E’ pertanto evidente che non c’è spazio alcuno neppure per la configurabilità della truffa.

Quanto all’art. 615 quater c. p., che punisce “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo”, va detto che vi è qualche precedente giurisprudenziale che considera tale norma applicabile al caso di specie (cfr. Cassazione penale, sezione V, 2 luglio 1998, Nebbia, nonché Tribunale penale di Genova, sezione II, 27 gennaio 2000).

Si tratta, a ben vedere, di decisioni non condivisibili, ove si presti attenzione all’esatto ambito applicativo della norma incriminatrice citata: il sistema di trasmissione utilizzato dalle emittenti satellitari, infatti, non può essere a rigore considerato né un sistema informatico, né un sistema telematico. Per sistema informatico intendiamo comunemente l’insieme dei componenti hardware e software che consentono il trattamento automatico dei dati, ossia il computer e tutti i programmi che ne permettono il funzionamento; due o più sistemi informatici, collegati tra loro per mezzo di reti di telecomunicazione, danno vita ad un sistema telematico, la cui caratteristica fondamentale è quella di poter scambiare dati (si pensi, ad esempio, alla rete di internet).

Ebbene, il sistema di trasmissione delle televisioni satellitari non rientra in queste categorie, poiché non consente il reciproco scambio dei dati: vi è una stazione trasmittente (il satellite) che invia un segnale ad un numero indeterminato di stazioni riceventi (i decoder), senza ricevere da queste alcun messaggio o segnale di risposta, e senza poter attuare alcuno scambio di dati o di informazioni; pertanto l’apparato [satellite - parabola - decoder - smart card] non realizza un sistema informatico, né tanto meno un sistema telematico, a nulla rilevando che singoli componenti di questo insieme possano rientrare, singolarmente considerati, nell’una o nell’altra categoria.

Per le stesse considerazioni deve ritenersi inapplicabile al caso di specie l’art. 615 ter c. p., che incrimina “chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”: colui che si procura abusivamente i codici di decriptazione, ed assiste alla trasmissione televisiva di una pay tv senza corrispondere alcunché all’emittente, non realizza alcun abusivo accesso ad un sistema informatico o telematico, ma, più semplicemente, si inserisce in un sistema di trasmissione fruendo di un servizio che non ha pagato.

Le due norme fin qui citate, introdotte dalla legge 23 dicembre 1993, n. 547, appaiono del resto chiaramente dettate per altre finalità: la loro collocazione sistematica, nella sezione concernente i delitti contro la inviolabilità del domicilio, disvela chiaramente l’intenzione del legislatore di tutelare con esse il cd. domicilio informatico.

E’ dunque lo stesso interesse protetto dagli articoli 615 ter e quater c. p., in uno con l’impossibilità di estendere (con una inammissibile analogia in malam partem) ad un sistema di trasmissione televisiva le norme dettate per la tutela dei sistemi informatici e telematici, a rendere quelle due norme sicuramente inapplicabili al caso di specie.

Si impone pertanto l’archiviazione della notizia di reato e la trasmissione degli atti al Ministero per le comunicazioni al quale, ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 373/2000, compete la sorveglianza ed il controllo sul rispetto delle disposizioni del presente decreto: ed invero, nel caso di specie, non può mettersi in dubbio che l’installazione, la manutenzione o la sostituzione dei dispositivi che consentono l’accesso abusivo al sistema televisivo sia stata posta in essere a fini commerciali.

Visti gli articoli 408 c. p. p. e 125 disp. att. c. p. p.

C H I E D E

che il Giudice per le indagini preliminari pronunci decreto di archiviazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e trasmetta gli atti al Ministero delle Comunicazioni, autorità competente all’irrogazione della sanzione amministrativa.

Dispone che, ai sensi dell’articolo 408 c. p. p., venga dato avviso della presente richiesta di archiviazione al legale rappresentante della A. S. s.p.a., nella persona del difensore Avv. D. G. R. del foro di Milano, che ne ha fatto richiesta nell’atto di querela del 12 dicembre 2001.

Crotone, 18 marzo 2002.

IL SOSTITUTO PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

Dott. Michele Toriello

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