Enrica Accardo, E' possibile applicare in via analogica l'art. 520 c.p.p. all'udienza preliminare? (commento a C. Cost., ord. 4 - 8 giugno 2001, n. 185)

Sommario: 1) Premessa: l’avvicinamento della disciplina dell’udienza preliminare a quella dibattimentale nella legge Carotti… – 2) …e la sopravvivenza di un regime differenziato in tema di notifica delle modifiche all’imputazione. – 3) Ancora una decisione meramente processuale quella pronunciata all’esito dell’udienza preliminare?

1) Premessa: l’avvicinamento della disciplina dell’udienza preliminare a quella dibattimentale.

La fin troppo rapida decisione che si annota è stata sollecitata da un’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova, ordinanza con la quale, con riferimento agli artt. 111 e 3 Cost., è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 423 comma 1 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, in caso di modifica del capo d’imputazione operata nel corso dell’udienza preliminare, il pubblico ministero chieda che la diversa contestazione sia inserita nel verbale d’udienza e notificata per estratto all’imputato contumace [1] .

Un corretto approccio alla tematica affrontata prima dal giudice a quo, poi dai giudici della Consulta, impone alcune considerazioni riguardanti la L. 479\99, ed in particolare l’art. 19, con cui sono state introdotte delle norme che hanno, per così dire, anticipato alla fase dell’udienza preliminare alcune garanzie già riconosciute all’imputato nel dibattimento [2] .

Il riferimento è agli artt. 420 bis, 420 ter, 420 quater c.p.p., che, con gli opportuni adattamenti, costituiscono la fedele riproduzione degli artt. 485, 486, 487, c.p.p. dettati per la fase dibattimentale e oggi espressamente abrogati ad opera dell’art. 39 comma 2 L. 479\99 . Mentre nella sostanza i primi due articoli appena citati non introducono novità di rilievo ma si limitano ad esporre in maniera estesa ciò che prima era espresso solo sinteticamente con il richiamo operato dall’art. 420 comma 4 c.p.p. agli artt. 485, 486 c.p.p., l’art. 420 quater c.p.p., invece, introduce nell’udienza preliminare l’importante istituto della contumacia. Accade, pertanto, nell’ambito del rinnovato contesto normativo che, qualora non vi sia la necessità di disporre la rinnovazione degli avvisi e delle notificazioni di cui viene dichiarata la nullità, e l’imputato libero o detenuto non compaia all’udienza il giudice, sentite le parti, ne dichiara la contumacia. L’imputato contumace è rappresentato all’udienza dal suo difensore che, tuttavia, se non munito di procura speciale, non ha la facoltà di richiedere riti speciali, né di accettare la contestazione suppletiva di fatti nuovi ai sensi del comma 2 dell’art. 423 c.p.p..

Per tradizione [3] , l’istituto della contumacia era riferito alla fase dibattimentale che, con l’avvento del codice di rito del 1988, diviene il momento fisiologicamente deputato alla formazione delle prove su cui si fonderà la decisione di merito del giudice [4] . L’anticipazione all’udienza preliminare, dettata dall’intenzione di dare una sempre maggiore attuazione al tanto celebrato diritto di difesa e al coessenziale principio del contraddittorio, sembra quindi trovare un’ulteriore motivazione nella crescita del significato dell’udienza preliminare a livello di acquisizione probatoria, anche se l’art. 422 c.p.p. restringe l’assunzione di prove ai soli casi in cui ne appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

E comunque, non è revocabile in dubbio che le novità attinenti all’udienza preliminare debbano inquadrarsi nell’ambito <<di quel lento ed inesorabile fenomeno di marginalizzazione del dibattimento>> [5]

2) … e la sopravvivenza di un regime differenziato in tema di notifica delle modifiche all’imputazione.

A parere del giudice rimettente nella disposizione contenuta nell’art. 423 comma 1 c.p.p. sarebbe ravvisabile una violazione dell’art. 3 Cost. dal momento che, nella quasi totale identità della disciplina della contumacia dettata per l’udienza preliminare e per il dibattimento, si deve invece ravvisare una disparità di trattamento tra l’imputato contumace per il quale si realizza la modificazione dell’imputazione nell’udienza preliminare e l’imputato ugualmente contumace per il quale la modifica si ha nella fase dibattimentale.

A parere dello stesso giudice vulnerato risulterebbe l’art. 111 Cost. in quanto non sarebbe garantito <<un effettivo contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, una tempestiva informazione dell’imputato sull’accusa effettivamente contestatagli, e, soprattutto, le condizioni necessarie all’imputato per preparare la propria difesa, ad esempio scegliendo la via di una istanza di applicazione della pena in ordine alla modificazione dell’imputazione>>.

La disciplina dettata dall’art. 423 comma 1 c.p.p., oggetto di doglianza, in quest’ottica risulterebbe irragionevolmente diversa e meno garantista di quella stabilita dall’art. 520 c.p.p. per l’omologa ipotesi di modifica dell’imputazione nella fase dibattimentale [6] .

A seguito della consacrazione a livello costituzionale del principio del contraddittorio, e più in generale del principio del “giusto processo“, tale discrasia appare ancora più grave e degna di censura. Per l’imputato la conoscenza delle accuse che gli vengono contestate costituisce, infatti, il naturale presupposto per un effettivo esercizio del diritto al contraddittorio. 

La norma costituzionale parla di <<giusto processo>>, facendo, con tale ultimo termine, riferimento all’intero iter processuale, ivi compresa l’udienza preliminare, pertanto non appaiono chiare, né tanto meno in linea con lo spirito delle recenti riforme le ragioni di siffatta disparità; nessuna motivazione logica o pratica sembrerebbe impedire l’inserimento della nuova contestazione nel verbale dell’udienza preliminare e la conseguente notificazione per estratto all’imputato.

Secondo la Corte Costituzionale, tuttavia, il ragionamento articolato dal giudice rimettente parte dall’erroneo presupposto che le norme in oggetto, benché si riferiscano a fasi processuali diverse, siano comparabili; al contrario i giudici della Consulta ritengono che nonostante la L.479\99 abbia apportato significative e pregnanti modifiche all’udienza preliminare, non sono mutate <<le connotazioni eminentemente processuali che ne contraddistinguono l’essenza>>. L’intera struttura dell’udienza preliminare risulterebbe pertanto <<calibrata sulla prognosi di non superfluità del sollecitato passaggio alla fase dibattimentale>> [7] .

Ed è proprio in una simile ottica che si ritiene giustificata la difforme disciplina dettata per la “comunicazione“ all’imputato contumace della nuova contestazione nell’udienza preliminare; l’abbassamento di garanzie riconosciute all’imputato trova giustificazione nella diversa funzione delle due udienze sulla base della considerazione che solo l’udienza dibattimentale tenderebbe ad una decisione di merito [8] suscettibile di <<assumere i caratteri e la forza del giudicato>>.

3) Ancora una decisione meramente processuale quella pronunciata all’esito dell’udienza preliminare?

Una simile decisione, alla luce sia del modificato ruolo assunto dall’udienza preliminare all’interno dell’ordinamento processualpenalistico, sia della trasposizione della disciplina della contumacia nella fase dell’udienza preliminare, è indubbiamente destinata a suscitare polemiche e perplessità.

Pur avendo mantenuto la sua originaria e connaturale funzione “di filtro”, l’udienza preliminare ha infatti mutato, a seguito delle novità introdotte con la legge Carotti, in maniera sostanziale la sua struttura e la sua veste [9] : le numerose modifiche ad essa apportate hanno infatti avvicinato in maniera sensibile la sua immagine a quella dell’udienza dibattimentale, al punto da far valutare in un primo momento, alla commissione deputata alla stesura del progetto di legge, la possibilità di modificarne il nome in “udienza predibattimentale” [10] .

E’ indubbio infatti che ampi spazi siano stati aperti alle valutazioni di merito del G.U.P., attenuando così la connotazione <<eminentemente processuale>> caratterizzante l’udienza preliminare [11] ; oltre agli ampliati poteri istruttori [12] , è stato, infatti, ad esempio attribuito al giudice il potere di valutare la sussistenza di circostanze attenuanti al fine di una pronuncia di non luogo a procedere ex art. 425 comma 1 c.p.p., giudizio a parere di molti sconfinante nel merito [13] .  

Come è già stato puntualmente osservato in sede di primo commento all’ordinanza de qua [14] , forse ciò che deve maggiormente stupire è la frettolosità con cui si sono raggiunte alcune conclusioni. Si è, insomma, evitato di dare una risposta esauriente ad un interrogativo subito emerso all’atto dell’entrata in vigore della tanto celebrata legge Carotti, ossia il perché del mancato recepimento dell’art. 520 c.p.p. nell’ambito di una trasposizione quasi totale della disciplina della contumacia dalla fase dibattimentale a quella dell’udienza preliminare.

Inoltre, il mancato riconoscimento di detta tutela all’imputato nell’udienza preliminare mal si giustifica anche in relazione alla possibilità che ha tale soggetto di decidere, nell’ambito dell’udienza e inderogabilmente prima che questa sia conclusa, che si proceda con un rito speciale. Qualora nell’ambito dell’udienza preliminare venga modificata l’imputazione, non essendo previsto che ne venga data comunicazione all’imputato contumace, il diritto di difesa di quest’ultimo viene irrimediabilmente menomato; l’imputato perde l’opportunità di chiedere l’applicazione di un rito speciale in relazione alla modificata imputazione, e di beneficiare degli effetti premiali conseguenti a tale scelta [15] .

Anticipare il momento preclusivo per la scelta dei riti speciali al termine della discussione nell’udienza preliminare avrebbe dovuto implicare anche un adeguamento della disciplina in commento nell’ottica della tutela del diritto di difesa nel giudizio contumaciale, adeguamento che, in attesa di un ulteriore intervento legislativo, a quanto pare necessario, dovrà pertanto realizzarsi a livello giurisprudenziale ad opera della Corte Costituzionale.

Enrica Accardo - aprile 2002

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[1] Il problema non si pone invece per quanto riguarda lo jus variandi di cui al comma 2 dello stesso art.423 c.p.p., essendo qui imprescindibilmente richiesto il consenso dell’imputato alla contestazione del fatto nuovo.

[2] Al proposito cfr. A. SCALFATI, La riforma dell’udienza preliminare tra garanzie nuove e scopi eterogenei, in Cass. Pen. 2000, p. 2822 ss., il quale analizza criticamente la <<topografica retrocessione alla sede preliminare>> della disciplina della contumacia.

[3] Sul tradizionale rapporto tra la contumacia ed il dibattimento cfr. P. MOSCARINI, La contumacia dell’imputato, Milano, 1997, p.7 ss..

[4] Nel vigore del codice del 1930, invece, momento deputato alla raccolta delle prove era l’istruzione formale. L’istituto della contumacia, tuttavia, era riferibile solo al giudizio, e non anche alla fase istruttoria durante la quale il contraddittorio poteva svolgersi <<in modo anche puramente virtuale mediante la notifica di un mandato rimasto senza effetto>>, in questo senso G. D. PISAPIA, in Compendio di procedura penale, 3° ed., CEDAM, Padova, 1982, p. 546.

[5] Così testualmente B. GALGANI, sub art. 39 L. 479\1999, in LP 2-3, 2000, p. 496.

[6] Già prima dell’emanazione dell’ordinanza in commento si era espresso in questo senso A. SCALFATI, op. cit., p. 2822 ss. .

[7] In proposito v. anche Cass. pen., sez. II, 21 gennaio 1997, n.113, in Cass. pen., 1999, p. 1181.

[8] In proposito A. SCALFATI, op.cit., p.2823 osserva che <<è fuor di dubbio come il diritto dell’imputato a partecipare al giudizio – ineludibile regola dalla quale partorisce l’ibrida figura della contumacia- si manifesti con prepotenza nella fase di elaborazione probatoria effettuata in vista dell’alternativa proscioglimento-condanna>>.

[9] Con riguardo alla modificata fisionomia assunta dall’udienza preliminare in seguito alla riforma operata dalla legge 479\99 cfr. A. SANTORU, L’incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell’udienza preliminare nel quadro della nuova fisionomia dell’udienza preliminare, in Cass. Pen. 2000, p. 2546 ss.. 

[10] A. SCALFATI, L’udienza preliminare: profili di una disciplina in trasformazione, CEDAM, Padova, 1999.

[11] Con riguardo al discrimine fra un giudizio di natura processuale ed uno concernente strictu sensu il merito cfr. F. CORDERO, Merito nel diritto processuale, in Dig. Pen., VII, Utet, 1993, p. 667 ss..

[12] Sull’incremento del <<tasso di istruttorietà>> nella fase dell’udienza preliminare cfr. P. MOSCARINI, Udienza preliminare e procura dell’imputato: un’anticipazione (quasi)  completa degli istituti di garanzia predibattimentale o dibattimentale, in Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, CEDAM,  Padova 2000, p. 296 ss..

[13] In proposito cfr. C. DI BUGNO, sub art. 23 L. 479\99, in LP 2-3, 2000, p. 409 ss.; sulla possibilità di anticipare alla fase delle indagini preliminari una pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione sulla base  della concessione delle attenuanti e del relativo giudizio di comparazione cfr. V. BONINI, sub art 226 d. lgs 51\1998, in LP 1998, p.471.

[14] Cfr. R. BRICCHETTI, Nella sottovalutazione del ruolo dell’imputato la debolezza di un percorso argomentativo, in Guida dir. (27) 2001 , p. 76.

[15] Un’analoga questione venne sottoposta all’attenzione della Corte Costituzionale in relazione agli artt. 516 e 517 c.p.p.; con sentenza n. 265 del 1994 ne venne dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedono la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione di pena a norma dell’ art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale ovvero quando l’imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni.

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