Alberto Cianfarini, Prime riflessioni sul nuovo art. 53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22: l’imprenditore dei rifiuti?
La legge 23 marzo 2001 n.93 all’art.22 ha introdotto una nuova fattispecie di reato la quale, sebbene non pare sia stata oggetto, finora, di rilevanti approfondimenti da parte della dottrina, non tarderà, ad avviso di chi scrive, di dare proficui frutti sotto il profilo applicativo nella lotta ai traffici illeciti di rifiuti i quali, come è noto dalle cronache giornalistiche, sono ormai oggetto da anni di interessamento da parte delle più agguerrite organizzazioni criminali, nazionali ed internazionali.
Il reato, sebbene con i limiti che a breve indicherò, colma un vuoto di tutela dell’ordinamento nell’ambito delle norme penali finalizzate alla difesa dell’ambiente: infatti tutto il sistema penale repressivo finalizzato a porre un argine al dilagante traffico della illecita gestione dei rifiuti si basava, sostanzialmente, su norme a carattere contravvenzionale (si vedano gli articoli 51 e segg. del dlvo5.2.1997 n.22) le quali, sebbene consentano – com’è noto - una più facile determinazione dell’elemento soggettivo, sono connotate dalla perlomeno dubbia efficacia intimidatoria.
Non è questo il luogo per affrontare la qualità funzionale delle riforme relative al processo penale, realizzate negli ultimi anni, ma è dato di comune esperienza a tutti gli operatori pratici del diritto, come le contravvenzioni - nel sistema processual-penale italiano - abbiano perso gran parte della loro oggettiva affilittività e conseguente efficacia intimidatoria, a causa di uno smisurato allungarsi dei tempi, procedimentali prima e processuali poi, da impedire di fatto, in grandi parti del Paese, la conclusione con condanna passata in giudicato prima dell’inesorabile intervento dei termini prescrizionali.
Nel caso di specie, invece, si tratta di delitto (con prescrizione 10+5 anni) per la perfezione del quale si prescinde dal danno ambientale: la norma colpisce il trafficante di rifiuti in considerazione della sua criminale attività anche se essa, nel concreto, non abbia comportato alcun nocumento al territorio.
Non si tratta di reato proprio, in linea peraltro con tutti gli altri reati ambientali: esso è tuttavia connotato dal dolo specifico dell’ingiusto profitto. La previsione ha il palese, più che condivisibile, obiettivo di impedirne l’applicazione nei confronti di soggetti che, pubblici amministratori, direttori sanitari, ecc, pur essendo gravati di rilevanti posizioni di garanzia rispetto alla previsione normativa (si pensi all’art.45 primo comma stessa legge) possono incorrere in violazione penali per mera negligenza o ignoranza degli obblighi normativi.
Nei confronti di questi soggetti, ben difficilmente sarà ipotizzabile la nuova fattispecie la quale si rivolge (è questa la sua evidente ratio) a quello che può definirsi un “imprenditore della gestione illecita dei rifiuti” .
Emerge evidente l’assonanza che il legislatore ha voluto trasmettere all’interprete con la normativa civilistica posta dagli artt.2082 c.c. e seguenti: vi è un soggetto che, sebbene sul versante criminale, impiega mezzi e attività continuative, in maniera coordinata, cedendo, ricevendo, trasportando, esportando, importando o comunque gestendo, sempre abusivamente, ingenti quantità di rifiuti.
Si tratta [1] di un reato abituale: difficilmente potrà configurasi la fattispecie con la prova di un singolo episodio criminale (ad es. singolo trasporto) e, quindi, la continuazione potrà unicamente configurasi utilizzando la nota giurisprudenza, già formatasi in relazione a tali tipi di reati.
La quantità di rifiuti deve essere ingente: il legislatore lascia all’interprete il difficile compito di calare nella concreta realtà tale aggettivo.
Peraltro, a ben vedere, l’introduzione nel testo legislativo di alcuni necessari presupposti qualitativi, relativi appunto alla presenza di un allestimento di mezzi e attività, porta a risolvere la maggior parte dei casi concreti in cui, la necessaria presenza di tali fattori, condurrà inevitabilmente ad una presenza definibile appunto ingente di rifiuti; ben difficilmente, infatti, si utilizzeranno (rectius allestiranno) mezzi (quindi almeno 2) per quantità non ingenti di rifiuti.
La chiave di lettura cui sopra consente di distinguere la fattispecie in esame dalla meno grave di cui all’art.53 stesso dlvo e risolvere, in questo modo, il grave problema di una norma dalla dubbia tassatività.
Anche se il verbo spedire di cui all’art.53 non è riproposto nell’art.53 bis, esso è, abbastanza, sovrapponibile all’altro verbo “cedere” utilizzato nell’art. 53 bis: il comportamento è sostanzialmente il medesimo e si individua in colui il quale si disfà di rifiuti, di qualsiasi tipologia, indirizzandoli consapevolmente in maniera abusiva a soggetti che occulteranno gli stessi senza sottoporli ad adeguati programmi di smaltimento.
Anche la indicazione dei rifiuti elencati negli allegati II,III, IV del regolamento CE 259\93 del 1.2.1993 non aiuta e non consente una inequivocabile diversificazione con la fattispecie di cui al precedente art. 53 in quanto in questi citati allegati vi sono indicati, quasi, tutti i generi di rifiuti esistenti.
La stessa definizione di traffico illecito di cui all’art. 26 [2] del medesimo Regolamento è sovrapponibile all’avverbio abusivamente utilizzato nell’art. 53 bis.
Ed allora, se non ci si vuole soffermare ad una sterile critica ad un legislatore disattento che dimentica di approvare norme caratterizzate dalla certa e ben definita tassatività [3] (intesa come oggettiva possibilità di individuare la norma esatta in relazione alla fattispecie concreta in esame), il carattere differenziante tra le due fattispecie (una contravvenzionale e l’altra delitto) può individuarsi nella prospettiva imprenditoriale posta dall’art.53 bis.
Tale interpretazione ha il pregio di sanzionare con una norma dalla indubbia efficacia repressiva comportamenti non occasionali, di soggetti che fanno del riciclaggio illecito di materie inquinanti (o meglio di rifiuti in genere) la loro speculativa attività continuativa e professionale.
Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività la pena edittale è aumentata e portata da un minimo di tre anni ad un massimo di otto anni: si tratta, evidentemente, di circostanza bilanciabile con un'altra circostanza attenuante, anche generica.
Il legislatore ha previsto una serie di pene accessorie cui fare riferimento: sembra dedursi che le pene accessorie della interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle persone giuridiche e l’incapacità di contrattare con la P.A., si applicheranno, a differenza da quanto previsto in generale dal c.p., a seguito di semplice condanna a prescindere dal quantum.
Di non facile lettura il riferimento alla limitazione di cui all’art. 33 del medesimo codice: la fattispecie in esame è esclusivamente dolosa ed allora cosa avrà voluto dire l’enigmatico legislatore quando fa riferimento all’art.33c.p. il quale prevede la non applicabilità di alcune pene accessorie in caso di reati colposi?.
Di sicura utilità è, invece, il primo periodo del 4° comma ove si dà la possibilità al Giudice di condannare, anche in sede di patteggiamento, al ripristino dello status quo ante. Si tratta di una previsione atipica nel nostro ordinamento il quale, a differenza di quelli della common law, prevede rigidamente la tassatività della pena, sia essa detentiva e\o pecuniaria, dimenticandosi troppo in fretta della parte offesa del reato e delle conseguenze dannose e\o pericolose del reato.
Meno utile (a meno di non volerlo considerare un semplice aiuto alla memoria del Giudice), ma certo in linea con le esigenze evolutive cui sopra, la possibilità di subordinare ove possibile la concessione della sospensione condizionale della pena alla eliminazione del danno o del pericolo all’ambiente: la previsione, infatti, sembra pedissequamente ricalcare la generale norma posta dall’art. 165 c.p., primo comma, ultimo periodo.
In ultima analisi si tratta indubbiamente di un grosso passo avanti nella legislazione finalizzata a, dissuadere dal compiere, scoprire e reprimere i redditizi fenomeni di cui in premessa.
La sanzione edittale consente, come è noto, la effettuazione di intercettazioni telefoniche e la emissione di misure cautelari volte a far fronte alle esigenze di cui all’art.274 c.p.p.: la previsione quale delitto consente [4] poi, nei casi di strutture imprenditoriali ben definite e con compiti prefissati, la configurazione del reato associativo [5] , prima non possibile in considerazione della natura contravvenzionale del reati.
Limiti possono tuttavia individuarsi nella mancata previsione di una confisca obbligatoria dei mezzi, e in generale dei beni, utilizzati per le attività continuative ed organizzate volte al traffico illecito di rifiuti: se è vero che ci si trova innanzi ad una “impresa criminale”, ben poteva il legislatore inserire nell’articolo in esame misure già vigenti in altre previsioni normative quali ad es. l’art.301 del DPR 23.1.1973 n.43 in materia di contrabbando ove, appunto, si prevede una confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato.
dott.
Alberto Cianfarini - Magistrato - Palmi - novembre 2001
(riproduzione riservata)
[1] Il legislatore usa il termine “con più operazioni” lasciando intendere che non è sufficiente una singola operazione.
[2] L’art.26 del Reg. CEE 259\93 prevede dettagliatamente le varie ipotesi al verificarsi delle quali il traffico può dirsi illecito.
[3] Il disagio dell’interprete diventa enorme quando le sanzioni sono poi altamente diverse nella afflittività.
[4] Nei casi previsti dall’art. 416 o 416 bis c.p.
[5] Il reato associativo sarà statisticamente frequente in presenza della fattispecie di cui all’art. 53 bis: se il reato in esame è la organizzazione di una struttura imprenditoriale criminale strutturata attraverso il ripetuto utilizzo di mezzi e attività, appare palmare come la consapevolezza di far parte di tale sodalizio, da parte di tre o più persone, farà scattare la previsione ex art.416 c.p.