Roberto de Angelis Effrem, Osservazioni sui nuovi reati tributari di cui al d.lgs. 274/2000
Le nuove sette fattispecie di reato introdotte dal legislatore delegato in base alle direttive contenute nella legge delega n.205\99 vanno comprese ed esaminate alla luce della stratificazione normativa che ha interessato il diritto penale tributario dagli inizi del secolo scorso fino ai nostri giorni.
Prima della legge quadro del 1929 erano soggette a sanzioni penali solo le condotte di contrabbando, con la legge n.4 del 1929 vengono introdotti i principi di fissità, ultrattività e pregiudiziale tributaria che informeranno la materia per ben più di 50 anni fino alla legge 516 del 1982.
E’ certamente vero che la repressione di condotte evasive degli obblighi tributari trova nell’art. 23 Cost. la sua ratio ispiratrice, visto che è interesse costituzionalmente rilevante per lo stato colpire quelle condotte che danneggino il bene giuridico rappresentato dalla lesione degli interessi erariali ad un corretto adempimento degli oneri fiscali dei consociati; tuttavia il principio di frammentarietà che caratterizza e domina il diritto penale imporrebbe che il legislatore sanzionasse solo quelle fattispecie che corrispondono a violazioni rilevanti degli interessi erariali della finanza pubblica, anche in ossequio ad una politica di politica criminale che dovrebbe essere sempre prodromica e informativa delle fattispecie di reati disegnate dal legislatore.
Tutto ciò è già diritto vivente in Germania fin dal codice del 1930 e costituisce invece conquista recente e sofferta del legislatore italiano. Infatti le leggi tributarie penali italiche si sono sempre caratterizzate come fattispecie di pericolo presunto e a consumazione anticipata.
La vecchia ed abrogata Pregiudiziale tributaria, la quale imponeva alla causa di essere prima completamente definita in tutti e quattro gradi di giudizio in sede tributaria per poi essere portata al giudizio del giudice penale, se da una parte dilazionava eccessivamente l’inizio del processo penale aveva però l’innegabile vantaggio di svolgere una funzione selettiva in ordine alle condotte di evasione. Infatti sotto la vigenza della legge del ’29 arrivavano all’attenzione del giudice penale solo “evasioni certificate” caratterizzate da una effettiva lesione del bene giuridico tutelato.
Abrogata con la legge dell’82 la Pregiudiziale tributaria la situazione divenne ben presto insostenibile per il giudice penale che si trovò a decidere su fattispecie, quasi tutte contravvenzionali, in cui oltre a non esserci effettiva lesione del bene giuridico tutelato non v’era a ben vedere nemmeno dolo nella sua forma più attenuata di dolo eventuale. Inevitabilmente queste cause terminavano con sentenze assai miti, spesso definibili con l’oblazione, ma l’incidenza dei processi penali sul contenzioso nazionale salì in pochi anni al 30% sul totale .
A ben vedere l’errore del legislatore del 1982 fu quello di perseguire quello che la dottrina ha definito un efficientismo sanzionatorio che si è poi tradotto in una sterile ipereffettività che non è peraltro stata in grado di selezionare i beni-interessi da tutelare col precetto penale.
Fu così che la famosa legge “Manette agli evasori” lasciò impuniti le condotte di evasione più gravi ed ebbe unicamente una funzione simbolica, come purtroppo troppo spesso accade nel diritto penale italiano, con risultati pratici sostanzialmente nulli nel contrasto all’evasione ed invece drammatici sull’organizzazione della giustizia penale in Italia a causa dell’intasamento creato nella nostra già malconcia macchina giudiziaria.
Di tutto ciò non bisogna stupirsene poiché le vicende della tristemente nota legge 516\82 sono paradigmatiche di tutti quei tentativi volti a creare fattispecie incriminatici discostandosi dal bene giuridico da tutelare che invece dovrebbe costituire sempre il modello teleologico a cui ispirarsi sia nella stesura della norma incriminatrice, sia nella fissazione della misura e del tipo di sanzione da irrogare.
Compreso quindi gli errori del passato il recente legislatore ha cercato di porvi riparo con una normativa che se da un lato ha depenalizzato con la legge 151\97 la maggior parte delle condotte non lesive in maniera rilevante del bene tutelato, ha d’altro canto selezionato le fattispecie criminali che davvero necessitano di un intervento punitivo e con la introduzione delle pene accessorie ha cercato di graduare la risposta punitiva dello stato alla effettiva gravità offensiva delle condotte di evasione. Anche l’introduzione di soglie di punibilità previste in base alla recente normativa solo per alcune delle nuove sette fattispecie incriminatici si inserisce in quest’ottica di selezione e graduazione delle condotte rilevanti per evitare gli errori commessi con la legge del 1982.
Sebbene lo sforzo sia apprezzabile e il risultato finale rappresenti un indubbio passo avanti rispetto al recente e disastroso passato, anche la nuova normativa non va esente da critiche che la più recente e pronta dottrina non ha mancato ad evidenziare.
In primis va rilevato che le fattispecie di evasione in senso stretto mediante l’uso di fatture o documenti equipollenti per operazioni inesistenti, così come pure l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (per arginare il dilagante fenomeno delle cd. Cartiere) sono sanzionate con pene edittali eccessive (da 1 anno e sei mesi a sei anni diminuita da sei mesi a due anni nel caso di falsificazione inferiore a trecento milioni di lire) addirittura superiori ai più gravi delitti di truffa ai danni dello stato e di false comunicazioni sociali. La ratio legis è facilmente rintracciabile in un’esigenza solo processuale del legislatore: e cioè di innalzare i limiti edittali in modo da rendere possibile applicare le misure cautelari detentive e le intercettazioni telefoniche; finalità assolutamente non coerenti ed inammissibili per un diritto penale che , come già chiarito, deve essere ancorato, nella costruzione della fattispecie incriminatrice, al bene giuridico da tutelare.
Altra criticità del sistema ideato dal legislatore del duemila consiste nella disposizione contenuta nell’art. 7 del d.lgs. 74 del 2000, in tale norma infatti si finisce per attribuire efficace esimente rispetto alle fattispecie previste negli art. 3 e 4 del decreto ( cioè le dichiarazioni fraudolente) alle valutazioni estimative che differiscano in misura inferiore al 10% da quelle corrette ovvero qualora le variazioni estimative errate si basino comunque su criteri indicati nella nota integrativa.
Tale disciplina impone a ben vedere al giudice penale una complicata indagine di natura tecnica contabile sul rispetto delle rilevazioni estimative che ineluttabilmente imporrà all’autorità giudiziaria di nominare una C.T.U. con la conseguenza di un consistente allungamento dei tempi processuali e un aumento dei costi di causa.
Passiamo quindi ad una sintetica analisi delle sette fattispecie introdotte dal legislatore delegato del 2000 iniziamo con quelle che hanno per oggetto materiale la dichiarazione obbligatoria annuale sui redditi e sull’iva :
1. la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti (art 2) è un reato di mera condotta che infatti non prevede alcuna soglia di punibilità e si consuma al momento della dichiarazione annuale ed obbligatoria dei redditi ovvero dell’I.V.A. La condotta consiste in unna falsità materiale o ,come più spesso accade, ideologica volta ad indicare in dichiarazione elementi passivi fittizi la cui esistenza è fraudolentemente provata mediante l’uso di fatture o altri documenti probatori equipollenti falsi.
2. la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) si differenzia dalla precedente ipotesi delittuosa non solo perché l’indicazione fraudolenta può concernere anche attivi fittizi e non solo passivi, ma soprattutto perché l’attività criminosa si traduce in questa fattispecie in un evento e cioè il superamento delle soglie di punibilità che vanno intese come circostanze costitutive del reato e quindi secondo la dottrina prevalente devono rientrare nel fuoco del dolo. Altro elemento di differenziazione consiste nel fatto che si tratta di un reato proprio realizzabile solo da coloro che sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili e si realizza proprio mediante la falsificazione di tali scritture contabili. Tuttavia tale falsificazione può essere solo materiale e mai giuridica altrimenti si configurerebbe la fattispecie precedente di cui all’art.2 del d.lgs. 74\01.
3. la dichiarazione infedele (art 4) è reato comune di evento, perché anche in esso la legge richiede il superamento della soglia di punibilità e si differenzia dai due precedenti delitti per la mancanza di un qualsiasi tipo di attività fraudolenta, sia essa di falsificazione materiale o ideologica.
4. l’omessa dichiarazione (art. 5) necessita per la consumazione che il contribuente non effettui la dichiarazione obbligatoria dovuta nel termine (di tolleranza) ulteriore di 90 giorni dopo la scadenza naturale dell’obbligo di presentazione. L’imposta evasa deve essere superiore a 150 milioni delle vecchie lire; inoltre non si considera omessa la dichiarazione non sottoscritta ma aliunde ricollegabile al dichiarante, ovvero quella non effettuata sui modelli prestampati dal Ministero delle finanze.
La nuova normativa del 2000 prevede poi altre tre fattispecie delittuose che sono strumentali alla evasione e quindi sono antecedenti alla presentazione delle dichiarazioni annuali obbligatorie esse sono:
l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (atr8), per il quale non è prevista soglia di punibilità tuttavia non concorre con la fattispecie di cui all’at. 2 per evitare un evidente doppia incriminazione per la medesima condotta di utilizzo e di produzione delle fatture false. Infine è previsto come per l’art. 2 una circostanza attenuante ad effetto speciale se le fatture emesse sono inferiori a 300 milioni nel periodo di imposta considerata.
l’occultamento o distruzione di documenti contabili (at.10) che sanziona la condotta di occultamento o distruzione volta ad impedire la ricostruzione del debito di imposta del contribuente verso l’erario. Si tratta di un reato speciale rispetto al 490 cp., cioè occultamento di atti veri, mentre invece è assorbito nel più grave delitto di bancarotta documentale di cui costituisce reato mezzo.
la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (at.11) si sostanzia nella condotta volta a rendere inefficace anche solo in parte la riscossione coattiva in relazione al pagamento di imposte. Quindi si struttura come reato di azione e di evento perché la norma prevede che si sia sottratto ad imposizione fiscale attivi per un ammontare superiore a 100 milioni di lire.
Si deve infine sottolineare che tutti i nuovi reati descritti sono caratterizzati dal dolo specifico di evasione che comprende anche quello di ottenere indebiti crediti di imposta o quello volto a ottenere un indebito rimborso. Inoltre per i reati di cui agli art.2-3 e 4 attinenti alle dichiarazioni non è ammesso il tentativo ex art. 56 cp. al fine di impedire che in tal modo si dia la possibilità di incriminare le fattispecie prodromiche alla dichiarazione facendo così rivivere le vecchie fattispecie del 1982. Per concludere si deve segnalare con soddisfazione l’introduzione del principio di specialità per definire le ipotesi di conflitto tra le ipotesi depenalizzate di cui alla legge del ’97 e quelle penali ed infine in tema di competenza il superamento del vecchia disciplina per cui era competente il Tribunale dove avveniva l’accertamento tributario a favore invece del luogo del commesso delitto o del domicilio fiscale per i delitti realizzati mediante dichiarazione infedele o fraudolenta.
Nel giungere a delle conclusioni sul delicato e complesso tema trattato può quindi concludersi che alla luce delle sintetiche osservazioni effettuate appare evidente che l’obiettivo ultimo della riforma sia stato in verità conseguito. Il legislatore del 2000 è riuscito in ultima analisi ad operare un’inversione di rotta rispetto alla disastrosa legge 10 luglio 1982 n.516, conseguendo il suo obiettivo strategico di limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente correlati alla effettiva e rilevante lesione degli interessi fiscali, con correlata rinuncia alla criminalizzazione delle violazioni meramente formali e preparatorie.
Tuttavia va evidenziato all’attenzione degli addetti ai lavori che nel momento in cui, ai sensi del nuovo art.7, assumono rilevanza penale anche le manovre contabili a carattere, latu sensu, valutativo è innegabile che ciò comporterà il rischio del rallentamento dei processi per la necessità di attendere l’esito di lunghe, complesse e costose consulenze sulle valutazioni contabili stesse.
Roberto de Angelis Effrem - zorgan@libero.it - ottobre 2002
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