Massimo Mannucci, Brevi considerazioni sull’ art. 415 bis cpp introdotto dalla L. 16.12.99 n. 479

Una delle novità più importanti apportate dalla L. 479/99 al codice di procedura penale  ed in particolare alla fase delle indagini preliminari è costituita dall’introduzione dell’ art. 415 bis ovvero dell’ avviso all’indagato della conclusione delle stesse.

Il  I comma di detta norma prevede  infatti che il PM debba fare notificare all’indagato ed al difensore l’avviso della conclusione delle indagini preliminari prima della scadenza del termine previsto dalla legge.

Non è chiaro dal tenore letterale della disposizione se nei limiti temporali di cui sopra  sia sufficiente che il PM abbia disposto la notifica ovvero sia anche necessaria l’esecuzione della stessa da parte di Ufficiali giudiziari o dalla Polizia giudiziaria incaricata.

Ne deriva che il PM deve, nella prima ipotesi,  concludere le indagini almeno il giorno prima  di quello in cui scade il termine previsto dalla legge e, nella seconda,  deve anticiparne la chiusura in tempo utile da consentire l’esecuzione della notifica dell’avviso ai destinatari.

In ogni caso se il Pubblico Ministero termina le indagini alla scadenza del termine ovvero in prossimità della stessa, si trova di fatto nell’impossibilità di notificare l’avviso della conclusione delle medesime prima della scadenza di detto termine.

Pertanto se il PM intende osservare il precetto formulato dal I comma dell’art. 415 bis ne consegue una decurtazione del periodo utile per effettuare le indagini preliminari.

Non poche incertezze derivano altresì dall’ inciso "anche se prorogato" che nella sintassi della lingua italiana equivale ad un "sebbene prorogato" il quale costituisce quella che si chiama, se dovessimo procedere ad analisi logica del periodo, una proposizione concessiva.

Ne dovremmo trarre la conclusione che la notifica dell’avviso debba essere fatta prima della scadenza del termine di legge, benchè detto termine fosse stato prorogato.

Tuttavia non è fuor di luogo osservare che il termine viene normalmente prorogato dopo la scadenza dello stesso, essendo sufficiente che la richiesta di proroga venga depositata nella cancelleria del Giudice prima di detta scadenza.

E’ naturale che  la necessità di ottenere una proroga del termine si manifesti o comunque venga valutata proprio quando la scadenza è imminente tant’é che il PM può depositare la propria richiesta anche l’ultimo giorno utile.

Dalla data del deposito inizia poi l’ “iter”  di cui all’art. 406 cpp che talvolta si protrae per un lasso di tempo considerevole, specie quando gli indagati sono numerosi e variamente dislocati sul territorio, e  comunque ha un’esito tutt’altro che certo ben potendo la richiesta di proroga essere rigettata a seguito della udienza camerale prevista dalla legge.

Qualora invece non si voglia accedere a tale opzione ermeneutica che scaturisce dal mero dato letterale, ma si voglia preferire una diversa interpretazione che  privilegi una lettura sistematica delle norme, viene il dubbio che il legislatore abbia usato l’espressione “anche se prorogato” con la intenzione di introdurre una disciplina transitoria, peraltro non opportunamente collocata, per regolamentare l’ipotesi in cui il termine previsto dall’art. 405 II comma cpp, scaduto prima dell’entrata in vigore della nuova legge, sia stato prorogato sempre prima dell’intervento legislativo ovvero possa essere prorogato successivamente essendo stata inoltrata al GIP la relativa richiesta.

In tale ipotesi l’indagato avrebbe comunque  già il diritto di ricevere da parte del GIP un avviso della richiesta di proroga delle indagini, tuttavia il legislatore ha previsto la necessità di dare al medesimo indagato anche l’avviso di cui all’art. 415 bis cpp della conclusione delle indagini anche dopo il sopraggiungere della proroga, quindi “anche se” il termine di legge fosse stato nel frattempo prorogato ed egli sia stato pertanto già informato di questa vicenda processuale.

Ulteriore  opzione esegetica percorribile è quella di considerare l’espressione “ de qua” svincolandola dal suo significato letterale e intendendola come se prevedesse che il PM debba far notificare l’avviso prima della scadenza del termine previsto dalla legge ovvero prorogato dal giudice. In tal caso, qualora il Ggiudice non concedesse la proroga richiestagli dal PM , quest’ultimo si troverebbe nella impossibilità di osservare il I comma dell’art. 415 bis dovendo necessariamente notificare l’avviso a termine scaduto e non prorogato.

La norma in questione inoltre non prende ovviamente in considerazione la possibilità, a dire il vero  frequente negli  uffici del Pubblico Ministero,  che vi siano procedimenti il cui termine sia scaduto da tempo senza che sia intervenuto l’esercizio dell’azione penale.

E’ vero che  la tardività della notifica dell’avviso non è immediatamente sanzionata, ma è anche vero  la avvenuta notifica dell’avviso è un presupposto di validità della richiesta di rinvio a giudizio la quale,  ai sensi dell’art. 416 cpp così come modificato dall’art. 17 della L. 479/99, è nulla se non è preceduta dall’avviso previsto dall’art. 415 bis cpp.

Si potrebbe così verificare il caso che un atto viziato, anche se non affetto da nullità, costituisca condizione di validità di un successivo atto.

D’altra parte l’invalidità del primo atto non può inficiare quella del successivo perchè ciò determinerebbe la paralisi dell’esercizio dell’azione penale che invece nel nostro ordinamento è obbligatoria secondo quanto contempla l’art. 112 della Carta Costituzionale.

Appare inoltre opportuno segnalare che l’art. 415 bis prevede la necessità di notificare l’avviso in tutte le ipotesi in cui il PM non ritenga di dover presentare richiesta di archiviazione: Tuttavia l’omissione determina la nullità solo della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione diretta a giudizio, mentre non ha alcun riflesso invalidante sulle altre modalità di esercizio dell’azione penale: richiesta di giudizio immediato e richiesta di decreto penale di condanna.

Allora per evitare tutte le difficoltà sopra illustrate il legislatore avrebbe forse fatto meglio a prescrivere la notifica dell’avviso prima dell’esercizio dell’azione penale, anzichè "prima della scadenza del termine" delle indagini preliminari.

Non si può infatti disconoscere che la “ratio” dell’introduzione di tale avviso debba  individuarsi nella prospettiva garantistica immanente al “giusto processo” di mettere la persona sottoposta ad indagini nelle condizioni di conoscere, prima dell’esercizio della azione penale nei suoi confronti, le fonti di prova a suo carico e quindi di “suggerire” il compimento di  atti di indagine a suo favore, di produrre documentazione utile alla sua difesa e di  richiedere il proprio interrogatorio.

L’effettività di tali garanzie è salvaguardata solo qualora la persona sottoposta ad indagini riceva l’avviso quando l’attività istruttoria del PM sia ormai conclusa nel termine di legge ovvero prorogato, pertanto mal si concilierebbe con la possibilità, che tuttavia nessuna norma sembra escludere, da parte del PM di utilizzare atti di indagine compiuti nel periodo intercorrente la notificazione dell’avviso e la scadenza del termine per le indagini preliminari.

Del resto  è lo stesso Comma V dell’art. 415 bis, laddove prevede l’utilizzabilità dei nuovi atti di indagine compiuti su impulso difensivo, ancorchè sia decorso il termine stabilito per legge o prorogato dal giudice, a considerare l’eventualità che tale termine non sia ancora  spirato nel momento in cui vengono svolte le indagini successive all’avviso.

Può capitare infatti la evenienza che il PM per una sua  valutazione, ottimistica od anche semplicemente affrettata, ritenga le indagini concluse ben prima della scadenza del termine di legge e si determini perciò a notificare l’avviso in questione. Tuttavia successivamente,  per fatti preesistenti  o  sopravvenuti talvolta anche scaturiti dalle iniziative difensive, si potrebbero rendere opportuni o addirittura necessari nuovi atti di indagine che potrebbero anche compiersi nel termine di legge.

In tale circostanza, così come nell’ipotesi di indagini compiute nel periodo prorogato dal giudice, l’avviso di cui all’art. 415 bis cpp, dato prima della scadenza di legge, dovrebbe essere ripetuto nell’ipotesi di indagini successive allo accoglimento della richiesta di proroga in ossequio a quella effettività della garanzia cui sopra si accennava.

Tuttavia il legislatore non fa alcuna espressa previsione della necessità di ripetere l’avviso e nel silenzio legislativo non sembra possibile configurarla.   

Per quanto riguarda le disposizioni contenute nel comma III dell’art. 415 bis, è importante osservare che la  previsione esplicita da parte  del legislatore di un  obbligo a carico del PM  di procedere all’interrogatorio richiesto dall’indagato, sembra escludere analogo obbligo per il compimento di altri atti di indagine richiesti dall’indagato.

Tale considerazione mette al riparo da possibili distorsioni o strumentalizzazioni di  tale garanzia da parte di iniziative difensive che callidamente indichino  accertamenti inutili e defatiganti i quali importino notevole dispendio di energie e risorse da parte della Pubblica Amministrazione (si pensi ad accertamenti tecnici molto onerosi, ricerche di persone in luoghi lontani, acquisizioni di copiosa documentazione). Anche se qualcuno può osservare come tale rischio permanga nel momento in cui la inconsistenza investigativa  e l’intento dilatorio  non siano immediatamente apprezzabili.

Ulteriore profilo di incertezza investe la necessità della notifica al difensore dell’indagato.

A tale proposito è d’uopo osservare che non è infrequente il caso in cui al termine delle indagini non sia stato ancora nominato un difensore di fiducia e neppure di ufficio.

Si pone allora il problema se l’adempimento previsto dall’art. 415 bis cpp debba rientrare, ma non sembra, tra quelli che richiedono l’invio della informazione di garanzia di cui all’art. 369 cpp, al quale invio appunto il PM deve  procedere “solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere”.

Qualora tuttavia si optasse per tale soluzione bisognerebbe tener conto anche del fatto che l’avviso dovrebbe essere preceduto dall’ invio della informazione di garanzia con le particolari modalità previste dallo stesso art. 369 citato e con una ulteriore riduzione temporale della "segretezza" delle indagini preliminari.

Neppure sembra applicabile la norma dell’art. 97 III comma CPP  che prevede la necessità di individuare un difensore di ufficio qualora il PM debba “compiere un atto per il quale è prevista l’assistenza del difensore”. L’atto che il PM si limita a compiere  è l’emissione dell’avviso di cui all’art. 415 bis cpp e tale adempimento non sembra annoverabile né tra gli atti previsti dagli artt. 365 e 366 cpp ai quali “il difensore ha diritto di assistere”, né tra quelli per i quali “è prevista l’assistenza del difensore”.

Pertanto la nuova previsione legislativa della necessità della notifica dell’avviso ex art. 415 bis anche al difensore sembra limitarsi all’ipotesi in cui l’indagato abbia già un difensore di fiducia o di ufficio.

Del resto ciò non sembrerebbe collidere con il sistema in quanto, ad esempio, la richiesta di proroga delle indagini preliminari (art. 406 III comma cpp) viene  notificata al solo indagato, addirittura anche se già munito di difensore.

Dalla valutazione complessiva  dell’intervento appare comunque evidente come la “ratio” cui si è ispirato il legislatore del ‘99 sia stata quella di incrementare le garanzie difensive costituite dall’ampliamento e dall’anticipazione del contraddittorio tra le parti.

A tal proposito non si può prescindere dalla considerazione che il diritto  processuale penale deve essere necessarimente il diritto delle garanzie.

La prova di un reato deve essere formata attraverso regole non solo ovviamente uguali per tutti, ma soprattutto tali da consentire alla difesa di essere piena ed effettiva. La pienezza e la effettività dell’attività difensiva sono attuabili in primo luogo attraverso lo strumento del contraddittorio tra le parti. 

Tuttavia anche il contraddittorio per non cadere in contraddizione con se stesso ha bisogno di essere disciplinato con una certa coerenza.

Il codice di rito dell’89  coerente all’ impronta “accusatoria” dalla quale era caratterizzato ha inteso garantire il contraddittorio tra le parti nella fase della formazione della prova che ha individuato essenzialmente nel momento dibattimentale. Le indagini preliminari venivano considerate “necessarie per le determinazioni inerenti  all’esercizio dell’azione penale” come continua a  recitare l’art. 326 cpp, pertanto erano caratterizzate da una tendenziale segretezza e come tali non potevano concedere troppi spazi a quel contraddittorio tra le parti che invece avrebbe trovato libero sfogo nel dibattimento, luogo deputato alla formazione della prova.

Tuttavia durante il primo decennio di vita il codice ha assistito alla lenta agonia  del rito accusatorio,  perchè modificato ad ogni emergenza vera o presunta, aggiustato da ogni ondata emozionale giustizialistica o garantistica, mortificato dalla ricorrente constatata incapacità di rispecchiare i principi costituzionali. 

Appare quindi compatibile  solo con  questa contaminazione del principio ispiratore del codice l’ anticipazione delle garanzie del cotraddittorio alla fase delle indagini.

In ogni caso, almeno con riferimento alla novità introdotta dall’art. 415 bis cpp, il contraddittorio è più formale che sostanziale basti pensare come sia difficile che la facoltà, esercitabile dall’indagato nel termine di soli venti giorni dalla notifica del predetto avviso, di presentare memorie, di produrre documenti e soprattutto di depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, possa tradursi in termini concreti.

Tale diritto difensivo, e non solo per la compressione temporale entro il quale è costretto, rischia di rimanere in tutto o in parte inesercitato  e di assomigliare ad un frutto acerbo  di quella propaganda garantistica che si arresta alla forma senza incidere sulla sostanza, manifestandosi così più come  ostacolo all’accertamento dei fatti che  come  baluardo di  concrete  garanzie difensive.

Si può infine concludere che con l’amara considerazione che le novità apportate dal legisaltore del 1999 e quelle che stanno ormai entrando in vigore per l’attuazione del novellato art.111 della Costituzione e per il cosiddetto pacchetto sicurezza, non contribuiranno certo ad allontanare   la preoccupazione che per ulteriori lunghi anni il processo penale sarà regolato in modo frammentario, incerto e talvolta contraddittorio.

Dunque l’esigenza,  sempre più avvertita dagli operatori del diritto, di un codice di rito più organico, più coerente con le proprie linee guida e con i principi costituzionali e meno tormentato  sia da provvedimenti tampone che da modifiche più o meno estemporanee.

Livorno, lì 19.3.’01

Massimo Mannucci
Magistrato

(riproduzione riservata)

[torna alla primapagina]