Gigi Orio Palizio, Nei tempi sospesi del transitorio: l'abbreviato con ergastolo nel d.l. antiscarcerazioni

Il tema del tempo e del processo è forse tra i più intriganti che si possa incontrare: in parte perché il tempo è di per sé concetto capace delle più affascinanti suggestioni filosofiche; in parte perché il processo è, in fondo, anch’esso nient’altro che tempo che scorre.

Il diritto transitorio o intertemporale, perciò, manifesta l’apoteosi di queste suggestioni, perché si tratta di un diritto che pretende di regolare l’evolversi cronologico del diritto nell’evolversi pure cronologico del processo, con combinazioni che spesso cercano di invertire l’una o l’altra delle due sequenze (del tempo o del processo) oppure di darvi una direzione parallela ma autonoma da quella del tempo-processo ordinario.

Mai come in queste ultime stagioni di spasmodica produzione normativa il diritto transitorio si è imposto all’attenzione di coloro che nel tempo-processo ci vivono.

Ma mai come con il recente decreto legge cd "antiscarcerazioni", il transitorio degli articoli 7 e 8 sarà destinato ad offrire paradossi temporali di tale complessità che neppure il più ardito romanziere di fantascienza potrebbe immaginare.

Figlia degenere del tempo, per cominciare, è la fretta, che ha anch’essa un ruolo in questo decreto legge, visto che il legislatore governativo, riportando nel corpo del decreto il testo del disegno di legge già approvato dal Senato non si è preoccupato di adeguarlo: così nel comma 2 dell’art. 8 si legge "le disposizioni di cui all’articolo 1 etc. …", dove l’articolo 1 ovviamente non è l’articolo 1 del decreto legge, che non c’entra nulla, ma è l’articolo 1 del disegno di legge approvato dal Senato: che poi altro non è che l’articolo 7 del decreto legge. Di ciò ora dà conto una errata corrige.

Ma il decreto legge è per definizione espressione dell’urgenza, altra figlia degenere del tempo. Perciò nell’urgenza di regolare transitoriamente un aspetto del processo, si è inserita nel corso del tempo una norma che, come vedremo, ha la pretesa espressa di invertire l’andamento cronologico del processo (regolando il passato e azzerando il presente) ma che in caso di mancata conversione, fra sessanta giorni, sarà come se non fosse mai esistita, avendo però nel frattempo già provato i suoi effetti di azzeramento del tempo. Perciò non si può che suggerire ai pratici di "temporeggiare" per sessanta giorni, evitando di prendere decisioni che potrebbero creare fratture temporali irrecuperabili: se il processo si azzera come consente l’art. 8, comma 1, e poi decade il decreto legge che succede? Servirà un nuovo decreto legge che regoli l’evento? Peraltro, già trenta giorni li concede l’art. 8 agli imputati per decidere se azzerare o meno il processo, nell’attesa il tutto è in salutare quiescenza.

Ma veniamo al punto. Il legislatore governativo riteneva di avere un problema: l’applicazione del giudizio abbreviato, con riduzione della pena a trent’anni di reclusione, anche a soggetti che avrebbero in realtà dovuto ricevere condanne a più ergastoli o ad un ergastolo e ad altre pene detentive superiori a 5 anni.

Malgrado il grande allarme sociale suscitato ci si dimenticava che in caso di trentacinque ergastoli o di un ergastolo più altra pena di 5, 6 o 10 anni, la pena che il condannato sconterebbe sarebbe pari, ovviamente, ad un solo ergastolo, con l’aggiunta dell’isolamento diurno in carcere. Anche perché sarebbe difficile (malgrado ogni ardito artificio temporale) far scontare ad una persona una pena a vita e poi ancora un'altra pena: come ho già detto altrove servirebbe quanto meno un accordo di collaborazione giudiziaria con l’Autorità competente a curare l’esecuzione delle pene nell’altra vita.

Tutto il gran putiferio scatenato, dunque, riguardava l’applicazione dell’isolamento diurno: istituto di cui molti non conoscevano neppure l’esistenza, ritenendolo confinato (ma a torto a quanto dice la Cassazione) nell’ambito delle modalità di esecuzione della pena.

Tuttavia la verità è che il problema era del tutto inesistente.

Se infatti la riduzione della pena che il rito abbreviato regala ha natura, come ci insegnano, "meramente processuale", non potrebbe in alcun modo incidere sulle norme sostanziali, perciò la condanna a trent'anni di reclusione in sostituzione dell'ergastolo resterebbe sempre, a tutti gli altri fini, una condanna all'ergastolo, con conseguente necessità di aggiungere e scontare l'isolamento diurno ove le condanne all'ergastolo fossero state più di una. Se invece saltasse fuori che la diminuente ha natura sostanziale, allora l’ergastolo abbreviato sarebbe pari ad una condanna a 30 anni di reclusione e più ergastoli equivarrebbero a più pene di 30, dalle quali conseguirebbe in ogni caso l'ergastolo, per effetto dell’art. 73, comma 2, c.p.

In ogni caso, il legislatore ha ritenuto che il problema ci fosse e ha pensato di risolverlo con due interventi: il primo è un’aggiunta all’art. 442 comma 2, per cui la riduzione di pena per l’abbreviato in caso ergastolo e isolamento diurno è la cancellazione dell’isolamento diurno; il secondo è un’interpretazione autentica, per cui, dice il legislatore governativo (ed è anomalo il fatto che l’interpretazione autentica del pensiero del parlamento la dia il governo), già prima, quando la norma riduceva l’ergastolo a trenta anni di reclusione come effetto dell’abbreviato, in realtà si voleva dire che riduceva l’ergastolo senza isolamento diurno.

A parte che le interpretazioni autentiche postulerebbero un contrasto interpretativo (lo ha detto di recente anche la Corte costituzionale), che qui non c’era, le interpretazioni autentiche hanno uno scopo manifesto: dire che la norma aveva un dato significato fin dal momento in cui è sorta e che quindi fin da quella data si doveva applicare nel senso ora reso manifesto. L’effetto cioè è di essere retroattiva, di operare anche per il passato.

Ma cosa significa nel nostro caso questa efficacia nel passato della norma?

In termini letterali di certo significa che ora sappiamo che in caso di ergastolo con isolamento diurno non ci poteva essere riduzione premiale (per il futuro - quale futuro?- ci pensa il nuovo testo dell’art. 442 comma 2): ma la conseguenza è che non si poteva procedere con l’abbreviato o che si poteva applicare l’abbreviato ma non si poteva dare alcuna riduzione?

La questione si era già posta all’epoca in cui da parte della Corte costituzionale venne dichiarata illegittima la disposizione che in origine ammetteva l’abbreviato anche per i reati punti con l’ergastolo.

La ricostruzione di quei risultati non è semplice, ma istruttiva: le Sezioni unite conclusero l’ampio dibattito asserendo che "non è ammesso il giudizio abbreviato quando all’imputato è addebitato un reato punibile con la pena dell’ergastolo" (S.U. 6 marzo 1992, Piccillo). Tuttavia, le SU aggiunsero che ciò dipendeva dal fatto che il giudice per le indagini preliminari non sarebbe stato competente a definire quel processo. Tato che si disse anche che se il giudice dell’udienza preliminare pronuncia ugualmente sentenza con le forme del giudizio abbreviato la sentenza è affetta da nullità assoluta per carenza di potere decisorio (sono molte le pronunce in tal senso: si veda Sez. I 4 marzo 1993, Mura).

A rendere però la situazione attuale ancora più complessa vi è il fatto che con le varie normative transitorie si è consentito l’inserimento dell’abbreviato anche nel dibattimento, cosicché a decidere è stato il giudice competente, semplicemente, però, applicando un rito errato.

In legislatore del decreto legge, in ogni caso, si muove come se ritenesse che i giudizi abbreviati introdotti o svolti malgrado fosse applicabile l’ergastolo con isolamento diurno siano del tutto legittimi, salvo il fatto che gli imputati che li hanno richiesti e hanno ottenuto o aspiravano alla riduzione dell’ergastolo a trent’anni di reclusione ora rischiano di non avere alcuna riduzione. Perciò getta un'ancora di salvataggio agli imputati.

Cosa prevede, infatti, il legislatore con l’art. 8: la norma transitoria, per l’appunto?

Al comma 1 la disposizione precisa che se è il giudizio di primo grado è ancora in corso con le forme dell’abbreviato si continua con queste forme, a meno che l’imputato non revochi il proprio consenso, nel qual caso il procedimento riprende secondo il rito ordinario dal momento in cui si trovava allorché è stata fatta la richiesta. La norma detta poi una disciplina apposita per il caso in cui la richiesta fosse stata presentata ai sensi del comma 2 dell’art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000: in questa ipotesi la disposizione non dice che il processo retroagisce, ma solo che si effettuano le attività istruttorie alle quali l’imputato aveva rinunciato. Per questo caso sembrerebbe, dunque, che il giudizio mantiene le forme dell’abbreviato, con utilizzabilità degli atti di indagine, ma si debbono assumere le prove alle quali l’imputato aveva rinunciato: si tratterebbe di un modello simile all’abbreviato condizionato, senza però possibilità di prova contraria per il PM.

Il comma 2 si occupa, invece, dei giudizi già in appello, per il solo caso in cui sia stato introdotto da un’impugnazione del PM. La ragione di questa specificazione è chiara: in caso di appello del solo imputato il legislatore ritiene che il divieto di reformatio in peius preserverebbe l’imputato da effetti negativi sulla pena. Ma qui già emerge un dubbio: è un auspicio fondato?

Se davvero l’abbreviato non si poteva fare, o quella riduzione non si poteva dare, il giudice dell’appello non dovrà rilevare il vizio di ufficio? Certo c’è da chiedersi di che vizio si tratti. Stesso quesito deve poi porsi per la Cassazione, di cui il legislatore non si occupa per la medesima ragione di cui sopra: perché ha ritenuto che se la Corte non può aumentare la pena non c’è problema. Ma non dovrà anche la Corte cassare la pronuncia resa con forme processuali che non erano ammissibili e che ha concesso una riduzione sulla pena in conseguenza del rito benché quella riduzione non potesse essere concessa?

Sul punto all’epoca della ricordata dichiarazione di illegittimità della Corte costituzionale si disse che allorché si sia proceduto, prima della sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzionale, con rito abbreviato per delitto punibile con l'ergastolo, il giudice dell'impugnazione, in difetto di gravame del P.M., non può annullare la precedente sentenza sotto il profilo dell'inammissibilità del giudizio abbreviato, perché la mancata impugnazione del pubblico ministero ha l'effetto di rendere coperta da giudicato interno e irrevocabile la legittimità della procedura seguita (Cass. sez. I, 9 maggio 1992, Contrino).

Se l’appello è invece introdotto dal PM, il legislatore ha pensato che ci potesse essere il rischio di un intervento peggiorativo sulla pena, per effetto del fatto che ora il giudice dell’appello sa che solo in caso di condanna all’ergastolo senza isolamento diurno si sostituisce la pena con anni trenta di reclusione, perciò l’art. 8, comma 2 detta un’articolata disciplina transitoria.

Ma anche in questo caso, siamo certi che il giudice dell’appello, accertato che si è concessa una riduzione premiale illegittima perché si è svolto un giudizio abbreviato senza che fosse ammissibile possa bellamente togliere la riduzione, senza curarsi del fatto che non di solo errore di calcolo si è trattato, ma di errore di rito? La conseguenza più corretta dovrebbe essere in realtà la retrocessione del processo, con annullamento di tutti gli atti perché compiuti secondo un rito che non era consentito applicare: in questo caso non c'è alcun "giudicato interno e irrevocabile di legittimità della procedura seguita".

Per il legislatore, invece, in caso di appello è sempre e solo la revoca dell’interessato che può provocare un qualche effetto: ed in questo caso l’effetto è solo che il processo prosegue con il rito ordinario davanti al giudice dell’appello; unicamente con la peculiarità che se l’abbreviato si era svolto in sede di udienza preliminare o prima dell’apertura del dibattimento il giudice dell’appello può assegnare all’interessato un termine per richiedere le prove da assumere, purché non fossero prove rispetto alle quali la parte non fosse già decaduta: per quest’ultimo aspetto sembra si debba fare riferimento ai termini fissati dall’art. 468 c.p.p. Anche in appello la norma fa salva una disciplina apposita per il caso in cui la richiesta fosse stata presentata ai sensi del comma 2 dell’art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000: richiamando la stessa previsione dettata per il primo grado: cioè qui si assumono le prove cui l'imputato aveva rinunciato.

In conclusione i dilemmi sono i seguenti: l’abbreviato relativo ad ipotesi di reato astrattamente punibili con l’ergastolo con isolamento diurno introdotti o addirittura svolti prima dell’introduzione del nuovo art. 442 comma 2, che ora regola anche il caso di più ergastoli, cioè introdotti o svolti nella vigenza della norma come interpretata dal legislatore, erano ammissibili oppure no? Se non erano ammissibili chi e fino a quale momento può rilevare il vizio? Se erano ammissibili ma la riduzione applicata è illegittima, chi e fino a quale momento può rilevare l'inammissiiblità? Dalla risposta che si darà a questi quesiti discenderanno conseguenze assai rilevanti sull’efficacia della norma transitoria di cui all’art. 8.

C’è però un ulteriore quesito che potrebbe superare tutti i precedenti: il nuovo art. 442 comma 2 a quali procedimenti si applica? Se si applicasse anche ai giudizi abbreviati ancora in corso o ai giudizi abbreviati in grado di appello o in Cassazione l’effetto sarebbe che il rito diviene ammissibile anceh per i reati punti con ergastolo e isolamento diurno, solo che la riduzione premiale dovrebbe applicarsi nel senso indicato dalla nuova norma: cioè con eliminazione dell’isolamento diurno. Trattandosi di norma processuale dovrebbe essere idonea a operare fin dal momento in cui entra in vigore, perché il processo è disciplinato dalle norme vigenti nel momento in cui i singoli atti sono compiuti. Ma in quale momento viene i considerazione l’art. 442 comma 2, allorché si richiede l’acceso al rito e lo si dispone o allorché si decide la pena da applicare?

Potrebbe anche darsi in realtà che la norma transitoria non sia diretta a regolare gli effetti dell'interpretazione autentica, ma dell'entrata in vigore del nuovo art. 442 comma 2.

- Gigi Orio Palizio - Magistrato - dicembre 2000 -

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