Gianfranco Romano, Detenzione e duplicazione di software abusivo nella nuova legge sul diritto d’autore

E’ noto che il decreto legislativo n.518 del 29 dicembre 1992 ha riconosciuto ai programmi per elaboratore il valore di opere dell'ingegno, introducendo in seno alla legge sul diritto d'autore (n.633/'41) una serie di disposizioni volte alla disciplina ed alla tutela del "software".

In particolare, da un punto di vista sanzionatorio, l'art.10 del suddetto decreto ha inserito l'art. 171 bis, che sanziona penalmente un ventaglio di condotte che potremmo riassuntivamente definire di "pirateria informatica".

In tale quadro normativo rimaneva in ombra la figura del mero utilizzatore del software abusivo, fosse esso un imprenditore o utente privato.

Nel primo caso, la illegittima duplicazione o detenzione di software poteva (astrattamente, almeno) rientrare nell'alveo dell'art. 171 bis.

Tra le condotte sanzionate dalla norma, infatti, rientravano sia la duplicazione che la detenzione a "scopo commerciale", ma non era chiaro se lo scopo commerciale fosse da intendersi in senso stretto (e cioè finalizzato alla vendita, come del resto era previsto a livello di previsione comunitaria), ovvero in senso lato, come sinonimo di "imprenditoriale".

Secondo parte della giurisprudenza(1), in ipotesi di questo tipo mancava comunque il dolo specifico richiesto dalla norma (fine di lucro), sicché in ogni caso la duplicazione del software in ambito aziendale, per uso interno, doveva considerarsi penalmente lecita.

Nel caso, invece, che fosse un privato ad essere sorpreso a detenere software abusivo, secondo taluni era configurabile, qualora lo stesso non avesse commesso o comunque non avesse concorso nella abusiva duplicazione del software, il reato di ricettazione(2), con l'incongrua conseguenza che il privato nel cui computer fosse rinvenuto anche un solo software di illecita provenienza, rischiava di essere punito più severamente dei "veri" pirati informatici.

Questa la situazione al momento di entrata in vigore della legge 18 agosto 2000, n. 248 (Nuove norme di tutela del diritto d’autore)(3) , che si insinua nel quadro normativo con una precisa "scelta di campo".

La suddetta legge, infatti, (che ha introdotto, tra le altre cose, l'obbligo del contrassegno SIAE per la distribuzione dei prodotti software) ha previsto due fattispecie sanzionatorie: una fattispecie penale (il "nuovo" art. 171 bis, novellato dall'art.13 della legge 248/2000) e un illecito amministrativo, delineato dall'art.16 della stessa legge.

Il novellato art.171 bis dispone, al comma 1:"Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena [...]"

L'art.16 comma 1 della legge n.248/2000, correlativamente, recita: "Chiunque abusivamente utilizza con qualsiasi procedimento, anche via etere o via cavo, duplica, riproduce, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno tutelata dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi al suo esercizio, oppure acquista o noleggia supporti audiovisivi fonografici o informatici o multimediali non conformi alle

prescrizioni della presente legge è punito, purchè il fatto non costituisca concorso nei reati di cui agli articoli 171, 171-bis, 171-ter, 171-quater, 171-quinquies, 171-septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, come modificati o introdotti dalla presente legge, con la sanzione amministrativa pecuniaria [...]".

Come si vede, dunque, il legislatore affida anche nel campo del software un ruolo centrale al contrassegno SIAE per la lotta alla pirateria.

Chi dunque commercializza software senza contrassegno SIAE incorre nella sanzione penale, chi lo acquista commette invece solo un illecito amministrativo.

Il che elimina dallo scenario il reato di ricettazione (atteso il principio di specialità di cui all'art.9 della legge n.689/'81).

Con conseguenze anche in termini di diritto intertemporale, atteso che sicuramente andrà applicata, ai sensi dell'art.2 c.p. la nuova disciplina (irrilevante è la circostanza che il contrassegno non era previsto nella previgente disciplina).

Per quel che concerne l'art. 171 bis, il legislatore ha:

  1. modificato il dolo specifico richiesto per integrare la fattispecie penale: non occorre più il fine di "lucro", ma è sufficiente il fine di trarre "profitto";

  2. è stato espressamente affiancato, allo scopo commerciale, lo scopo imprenditoriale.

Tali modifiche dovrebbero sciogliere ogni dubbio sulla illiceità penale della detenzione di software abusivo in ambito aziendale, anche se, a dire il vero, resta qualche perplessità.

L'art.171 bis, infatti, continua a non fare menzione, a differenza della nuova fattispecie di cui all'art.16 della legge n.248/2000, dell'abusiva "utilizzazione" del software.

Il che può indurre a ritenere che i comportamenti sanzionati penalmente siano soltanto quelli orientati alla commercializzazione del software abusivo, e non anche alla detenzione finalizzata all'utilizzo "interno".

Rimangono senz'altro fuori dalla previsione penale, oltre naturalmente ai privati utilizzatori, i liberi professionisti, e gli enti non commerciali(4).

Per tali soggetti, tuttavia, andrà senz'altro applicata la nuova fattispecie amministrativa di cui al citato art.16.

Avv. Gianfranco Romano - novembre 2000 - salvaggio.romano@libero.it

(riproduzione riservata)

[torna alla primapagina]


NOTE

(1)Pretura di Cagliari, 26 novembre 1996, su internet nel sito Penale.it

(2) Sul punto v. Gianluca Pomante, Ricettazione e software abusivo, su internet nel sito Penale.it (brano tratto da Gianluca Pomante, Internet e criminalità, Torino, 1999

(3)Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 206 del 4 settembre 2000 e su internet nel sito Penale.it

(4) Così, sul disegno di legge, Daniele Minotti, Cambiano le norme penali sul diritto d'autore? Il ddl C4953, su internet nel sito Penale.it