Vincenzo Cardone, La disciplina della prescrizione dei nuovi reati tributari

Fra i tanti aspetti di novità che la riforma penal-tributaria, attuata con il decreto legislativo del 10 marzo 2000 n° 74, ha introdotto, vorrei soffermarmi sulla nuova disciplina della prescrizione dei reati tributari.

                        L’art. 9, 2° comma, lett. g), della legge delega n° 205/99, nel fissare le direttive che il Governo avrebbe dovuto seguire nel dar vita alla novella, imponeva, in tema di prescrizione dei reati tributari, di “uniformare la disciplina della prescrizione dei reati a quella generale”, facendo salve, tuttavia, “le deroghe rese opportune dalla particolarità della materia penale tributaria”.

Vediamo ora in che misura il legislatore delegato si è conformato alla direttiva e come ha delineato la nuova disciplina di tale causa di estinzione del reato.

1) Termini di prescrizione dei nuovi reati tributari.

                        La disciplina precedente, dettata dalla legge n° 516/82, prevedeva per i reati tributari termini prescrizionali “speciali”, discostandosi così dalle regole generali dettate dall’art. 157 del Codice Penale.

                        L’art. 9 della L. n° 516/82 stabiliva, infatti, che “il reato previsto nel primo comma dell'art. 1 si prescrive in sette anni. Gli altri reati previsti nello stesso articolo e i reati previsti negli articoli 2 e 4 si prescrivono in sei anni (…)”.

                        In base a tale disposizione, si prescrivevano in sette anni il reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e della dichiarazione Iva; in sei anni tutte le altre ipotesi di reato previste dalla legge, ad eccezione di quelle di cui all’art. 3 (fattispecie in materia di bolle di accompagnamento e ricevute fiscali) per le quali si applicavano i termini generali ossia cinque anni per i delitti previsti dal 1° comma e tre anni per la contravvenzione di cui al 2° comma [1] .

                        La dottrina aveva espresso un giudizio negativo su tale divergenza rispetto alla disciplina di diritto penale comune ritenendo che, per questa via, si creava, tra i reati tributari e i reati ordinari, una ingiustificata disparità di trattamento che, non trovando alcuna spiegazione plausibile [2] , doveva essere al più presto oggetto di modifica legislativa.

                        Il Governo si è mosso proprio in questa direzione e, a fronte dell’abrogazione dell’art. 9 della L. n° 516/82 [3] , non ha inserito una norma specifica “rendendo così applicabili senza eccezioni alle nuove ipotesi criminose le disposizioni generali sui termini di prescrizione di cui all’art. 157 del codice penale” [4] .

                        Ciò è confermato anche dalle prime interpretazioni dei giudici di merito a giudizio dei quali “poiché l’art. 9 della citata legge 516/82 è stato anch’esso abrogato, nella fattispecie vanno applicati i termini ordinari di prescrizione previsti dall’art. 157 c.p.” [5] .                         

Da ciò discende che i termini prescrizionali dei nuovi reati tributari (che hanno tutti, come sappiamo, natura delittuosa), in base alla misura edittale delle pene stabilite nel decreto, sono ora di: a) dieci anni (prolungabili al massimo fino a 15 anni in presenza di cause interruttive del corso della prescrizione) per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, 1° comma del decreto legislativo 74/2000) [6] , di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3), di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, 1° comma) [7] e di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10); b) cinque anni (estensibili al massimo fino a 7 anni e mezzo nel caso di operatività di cause interruttive) per i reati di dichiarazione infedele (art. 4), di omessa dichiarazione (art. 5) e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11).

                        Questo per il futuro.

Per quanto attiene, invece, ai problemi di diritto transitorio, verificandosi una ipotesi di successione di leggi nel tempo ed essendo la nuova disciplina dei termini prescrizionali nella maggior parte dei casi più favorevole di quella precedente, sarà la prima, retroagendo, a trovare applicazione ai sensi dell’art. 2, 3° comma, cp [8] .

Si può ipotizzare, pertanto, che molte ipotesi criminose previste nel precedente sistema, ancora attuali, potranno ora estinguersi per intervenuta prescrizione.

Del resto i primi arresti giurisprudenziali, in casi come quelli sopra descritti, fanno propria questa linea interpretativa e applicano così le nuove norme perché più favorevoli all’imputato [9] .

2) Individuazione del dies a quo di decorrenza dei termini prescrizionali.

                        Individuati i termini prescrizionali dei nuovi reati tributari, occorre ora determinare il momento da cui gli stessi decorrono.

                        Anche sotto tale aspetto, non essendovi una disposizione speciale, troverà applicazione la regola generale di cui all’art. 158 cp il quale stabilisce che “il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione (…)”.

                        Diventa a questo punto rilevante evidenziare i diversi momenti consumativi dei singoli reati tributari, perché questi saranno i dies a quibus da cui far partire il periodo di tempo necessario a prescrivere il reato.

                        Procedendo nell’analisi delle singole fattispecie delittuose, si può dire che per i delitti in materia di dichiarazione (tutti reati da considerare istantanei) il momento consumativo è rappresentato dalla presentazione della dichiarazione stessa [10] .

                        Il reato di omessa dichiarazione (avente anch’esso natura istantanea) si potrà, invece, considerare perfezionato allo scadere dell’ultimo termine concesso al contribuente per mettersi in regola con gli adempimenti fiscali e cioè allo spirare del novantesimo giorno successivo alla scadenza dei termini previsti dalle norme tributarie [11] .

                        Più complessa appare l’individuazione del momento consumativo del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

                        Tale fattispecie, che ha carattere istantaneo [12] , si consuma, nell’ipotesi di comportamento illecito concretizzatosi in un’unica emissione, nel momento in cui la fattura (o altro documento) viene rilasciata ad altro soggetto.

                        Se gli episodi di emissione sono stati plurimi ma confluiti complessivamente all’interno dello stesso periodo d’imposta, trova attuazione la regola, ex art. 8, 2° comma del D. Lgs. n° 74/2000, dell’unificazione delle varie condotte in un unico reato.

L’applicazione di tale cumulo giuridico ha evidente incidenza sull’individuazione del momento consumativo, rispetto al quale due sono le teorie avanzate dagli interpreti.

Per alcuni, atteso che a loro giudizio l’unificazione in parola opera solo quoad poenam, sono individuabili diversi momenti consumativi quante sono le fatture oggetto del capo d’imputazione.

La maggior parte della dottrina, invece, ritenendo applicabile per analogia la soluzione generalmente adottata per i reati abituali e permanenti, sostiene che la decorrenza del termine prescrizionale sia unica e “coincida con la fine del periodo d’imposta o con l’emissione dell’ultima fattura del periodo” [13] .

Passando all’analisi del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, notiamo che esso presenta due momenti consumativi diversi.

Per quanto attiene alla condotta distruttiva, essendo in questo caso il reato istantaneo, il momento da cui far decorrere il termine di prescrizione è la distruzione dei documenti contabili.

Se, invece, la condotta del soggetto agente è di occultamento, allora il reato diviene permanente per cui la prescrizione non potrà iniziare a decorrere fino a che sarà vivo l’interesse dello Stato alla conservazione del documento.

Nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, infine, il dies a quo è rappresentato dal compimento dell’atto fraudolento.

                       

3) Sospensione del corso della prescrizione.

                        In ordine alla sospensione del corso della prescrizione, il decreto di riforma non dispone nulla.

                        Varranno, perciò, come avveniva anche nel previgente sistema, le regole generali di cui all’art. 159 cp.

                        Il corso della prescrizione potrà, pertanto, essere sospeso nei casi di autorizzazione a procedere, di questione deferita ad altro giudizio o nei casi previsti da particolari disposizioni di legge.

                        Queste ipotesi speciali di sospensione previste dal legislatore hanno trovato applicazione proprio in ambito penale tributario, atteso che numerose sono state le norme fiscali che, concedendo al contribuente termini per poter usufruire di sanatorie e condoni, hanno introdotto specifiche cause legali di sospensione della prescrizione [14] .

4) Interruzione della prescrizione.

            Gli aspetti della prescrizione dei reati tributari fino ad ora esaminati, come abbiamo visto, non presentano alcuna deroga rispetto alla disciplina dettata dal Codice Penale.

            L’ambito, invece, nel delineare il quale il Legislatore delegato si è discostato dalle regole generali, è quello degli atti interruttivi della prescrizione.

            L’art. 17 del decreto legislativo n° 74/2000 stabilisce, infatti, che “il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell'art. 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall'atto di accertamento delle relative violazioni”.

            La ragione della previsione, in aggiunta a quelle tipiche ex art. 160 cp, di ipotesi speciali di interruzione del corso della prescrizione, è da ricercarsi probabilmente nella volontà del legislatore di evitare che i reati tributari siano esposti, a causa della lunga durata degli accertamenti con cui i reati de quibus vengono individuati e comunicati all’autorità giudiziaria, ad una maggiore probabilità, rispetto alle altre fattispecie delittuose, di estinzione per intervenuta prescrizione.

            Per effetto della riforma, pertanto, il corso delle prescrizione dei reati tributari può essere interrotto, oltre che dagli atti giudiziari tipici elencati nell’art. 160 cp, anche da alcuni atti provenienti dall’autorità finanziaria.

            Da ciò scaturiscono due iniziali riflessioni.

            In primo luogo, il legislatore ha chiarito l’aspetto del rapporto tra gli atti ordinari e quelli speciali di interruzione che, sotto il vigore del precedente sistema, aveva creato non poche difficoltà interpretative.

            L’art. 9 della L. n° 516/82 stabiliva che “il corso della prescrizione è interrotto dalla constatazione di dette violazioni”.

            Il tenore letterale della citata norma si prestava a due teorie opposte.

            Una prima, nettamente minoritaria [15] , sosteneva che l’ipotesi speciale di interruzione prevista nella legge extra codicem si sostituiva a quelle previste nel codice e, pertanto, che solo quest’ultima potesse trovare applicazione.

            L’interpretazione maggioritaria [16] , invece, era favorevole a considerare l’atto elencato nell’art. 9 cit. come ulteriore eventualità di interruzione prescrizionale in aggiunta alle previsioni dell’art. 160 cp.

            Il legislatore della novella, utilizzando il termine “oltre”, non lascia spazio a dubbi in ordine al fatto che le cause di interruzione elencate si sommino a quelle generali.

            In secondo luogo, con l’art. 17 cit. sono state individuate specifiche tipologie di atti interruttivi della prescrizione - il verbale di constatazione e l’atto di accertamento – per evitare tutte quelle discussioni e difformi interpretazioni che, come vedremo, sia in giurisprudenza che in dottrina, avevano avuto come oggetto il generico riferimento alla “constatazione” contenuto nella precedente normativa.

            Che questo fosse l’intendimento del legislatore delegato è testimoniato anche dalla Relazione governativa nella quale, sull’argomento, si legge che “la nuova formulazione vale, invero, a risolvere in senso formale e più garantista i dubbi interpretativi originati dal concetto di “constatazione” (…) evitando che possa attribuirsi efficacia interruttiva ad atti ed attività non aventi rilievo tipico” [17] .

            In tema di atti interruttivi, pertanto, il sistema penale tributario si è adeguato al principio di tassatività che informa il diritto penale comune [18] .

            Ne consegue che determinano l’interruzione del corso della prescrizione esclusivamente il verbale di constatazione e l’atto di accertamento delle violazioni tributarie.

            Passiamo ora all’analisi di questi di questi due atti tipici del diritto tributario.

            a) Per comprendere più a fondo le caratteristiche del processo verbale di constatazione e le differenze rispetto al passato, occorre preliminarmente ripercorrere l’elaborazione giurisprudenziale che, negli anni, si è incentrata sul concetto di “constatazione” di cui all’art. 9 della L. n° 516/82.

            In un primo momento parte della giurisprudenza di merito [19] e della dottrina [20] aveva sostenuto che il termine constatazione si identificasse con il processo verbale previsto all’art. 24 della L. n° 4/1929 [21] perché, secondo tale interpretazione che partiva da una estensione anche al diritto penale tributario del principio generale di tipicità, solo un atto formale e tipico, come quello indicato appunto all’art. 24 cit., poteva determinare l’interruzione della prescrizione.

            Questo orientamento andò incontro ad una serie di critiche, perché appariva troppo formalistico e portava ad escludere dall’alveo dell’art. 9 della L. n° 516/82 quegli atti degli uffici finanziari che, pur non confluendo in un vero e proprio verbale, indicavano - requisito questo presente in tutti i casi ordinari di interruzione della prescrizione – comunque la volontà dell’amministrazione statale di perseguire l’illecito tributario.

            Si andò affermando allora, in dottrina [22] e poi anche nella giurisprudenza di legittimità [23] , una opzione ermeneutica sostanzialistica in base alla quale ogni atto, in cui gli uffici finanziari o la Guardia di Finanza manifestavano la volontà di perseguire il reato, indipendentemente dalla redazione del verbale, rilevava quale causa di interruzione del corso della prescrizione.

            Seguendo questo orientamento è stata attribuita efficacia interruttiva anche all’iscrizione a ruolo, all’avviso di accertamento emesso ai sensi dell’art. 42 del DPR n° 600/73 [24] e alla minuta dell’iscrizione a ruolo [25] .

            La maggior parte della dottrina, però, cominciò a sollevare numerosi dubbi, sulla eccessiva dilatazione, operata in giurisprudenza, della tipologia di tali atti e, in particolare, sulla efficacia interruttiva della minuta di iscrizione a ruolo (atto interno e non sottoscritto).

            Diversi autori [26] , infatti, ritenevano che una interpretazione così ampia dell’art. 9 cit. determinasse una limitazione del principio di tassatività così forte da pregiudicare, in maniera rilevante, le garanzie della persona sottoposta a procedimento penale proprio su una materia sensibile quale quella del corso della prescrizione.

            Tutte queste dispute non sono passate inosservate al legislatore della riforma che, come abbiamo accennato, nella formulazione dell’art. 17, ha voluto fugare ogni dubbio e, in applicazione del principio di tassatività, ha individuato, unitamente all’atto di accertamento, come specifico atto interruttivo del decorso della prescrizione dei reati tributari, il verbale di constatazione previsto all’art. 24 della L. n° 4/1929.

            In tale atto, formato alla conclusione dell’istruzione posta in essere presso il contribuente, vengono riassunti, analiticamente, tutti i dati raccolti e rimarcate le violazioni di natura penale ed amministrativa.

            Il tutto in un processo verbale tipizzato che, essendo compilato in modo tale da descrivere esaustivamente il fatto, il periodo contributivo preso in esame, le operazioni eseguite, chi vi ha preso parte, i risultati della verifica con le eventuali infrazioni riscontrate [27] , permette al contribuente di avere piena contezza della vicenda tributaria che lo riguarda e dei possibili sviluppi giudiziari.

            b) L’altra causa di interruzione, individuata dall’art. 17 cit., è l’atto di accertamento, il quale viene posto in essere nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, nell’espletamento della sua attività di controllo, abbia individuato irregolarità contributive.

            Tale atto deve possedere una serie di requisiti formali quali, ad esempio, il calcolo dell’imposta, la sottoscrizione del funzionario abilitato, la motivazione che giustifica la richiesta dell’ufficio accertatore.

            Se questi sono gli elementi costitutivi dell’atto di accertamento, si può senz’altro affermare che non rientra nell’alveo dell’art. 17 cit. la minuta d’iscrizione a ruolo, atteso che, essendo atto meramente interno e privo di requisiti formali, non può essere equiparato all’atto de quo.

Stesso discorso vale per l’iscrizione a ruolo del debito d’imposta.

            Alla luce, infatti, di quello che abbiamo detto sopra in ordine al numerus clausus delle ipotesi interruttive di cui all’art. 17 cit. e dell’orientamento della dottrina tributaria maggioritaria (che sottolinea la netta differenza fra l’atto di accertamento vero e proprio e gli atti di liquidazione dei tributi), si può senz’altro concludere per l’impossibilità di considerare interrotto il corso della prescrizione in presenza del solo provvedimento di iscrizione [28] .

Del resto, l’art. 17 cit. fa riferimento esclusivamente all’atto di accertamento e l’iscrizione a ruolo non può essere considerata attività di accertamento in quanto ha la funzione, cristallizzando l’esistenza del debito d’imposta e della conseguente obbligazione tributaria, di permetterne la riscossione.

            A ciò si aggiunga che l’iscrizione a ruolo, a differenza dell’atto di accertamento, non è atto motivato, non identifica con precisione il fatto contestato e, indicando esclusivamente l’intento di riscuotere il credito, non è neppure indice della volontà statale di reprimere il reato.              

Si deve escludere, pertanto, l’iscrizione a ruolo dal novero degli atti interruttivi della prescrizione dei reati de quibus sia nel caso in cui, come normalmente avviene, essa è preceduta dall’atto di accertamento, che nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di un debito tributario senza l’emanazione di un preventivo atto d’accertamento [29] .

            Riassumendo quanto detto sopra sub a) e b) in relazione ai due atti previsti all’art. 17 cit., possiamo affermare che il legislatore della novella, per garantire il contribuente in una materia delicata quale quella dell’interruzione del corso della prescrizione dei reati fiscali, ha previsto che l’effetto interruttivo possa prodursi solo in presenza dei due atti (descritti nella norma esaminata) formali, tipici, provenienti da organi qualificati, che manifestano inequivocabilmente la volontà statale di perseguire il reato tributario.

            Per concludere il discorso, dobbiamo ricordare che per produrre l’effetto interruttivo i due atti sopra descritti devono essere semplicemente adottati, non essendone, a questo fine, necessaria la notifica all’interessato.

            Sia il verbale di constatazione che l’atto di accertamento sono, infatti, atti non recettizi che, come avviene del resto anche per gli atti interruttivi ordinari secondo l’interpretazione più diffusa [30] , dimostrano la volontà statale di perseguire il reato già con l’emissione, indipendentemente dalla relativa comunicazione al contribuente.

            In questo senso, relativamente all’atto di accertamento, si esprime anche la Relazione ministeriale nella quale si dice che “quanto all’atto di accertamento, alla produzione dell’effetto interruttivo è peraltro sufficiente la semplice adozione, non essendo richiesta la notifica” [31] .

             Vi è da rilevare, infine, che, alla luce degli orientamenti espressi con riguardo all’art. 9 della L. n° 516/82 estensibili anche alle nuove fattispecie [32] , l’interruzione del corso della prescrizione si verifica anche in presenza di un atto viziato (ad eccezion fatta, logicamente, dei vizi che ne comportano l’inesistenza de iure) perché, indipendentemente dalla sua validità [33] , esso esprime comunque la volontà dello Stato di reprimere il reato.

           

5) Considerazioni conclusive.

            Complessivamente la nuova disciplina della prescrizione dei reati tributari presenta numerosi profili positivi quali, ad esempio, l’omogeneizzazione della stessa con le norme previste per i reati comuni e la maggiore garanzia che l’introduzione del principio di tassatività in tema di cause interruttive ha assicurato al cittadino sottoposto al procedimento penale.

 Il tutto deve ancora essere sottoposto logicamente al vaglio della pratica giudiziaria, ma la formulazione tassativa dell’art. 17 cit. dovrebbe porre al riparo da interpretazioni estensive in malam partem da parte della giurisprudenza.

Non manca, però, chi sottolinea che anche il sistema risultante dalla riforma non sia fonte di sufficienti garanzie, atteso che rimangono “anomalie” troppo marcate rispetto alla disciplina ordinaria.

 E questo perché mentre gli atti interruttivi, ex art. 160 cp, provengono tutti dall’autorità giudiziaria, quelli previsti dal decreto di riforma, invece, sono emessi dall’autorità amministrativa e, precedendo normalmente l’esercizio dell’azione penale, non attengono in senso stretto al processo penale [34] .

                                                                       

- Vincenzo CARDONE - Avvocato in Crotone - luglio 2001

(riproduzione riservata)

 

[1] A. Perini, Elementi di diritto penale tributario, p. 169.

[2] Si veda tra gli altri Nuvolone, Il nuovo diritto penale tributario, in Ind. Pen., 1984, p. 460.

[3] Attuata con l’art. 25, lett. d) del decreto legislativo n° 74/2000.

[4] Relazione Governativa al decreto legislativo, punto 4.4, in Guida al Diritto n° 14 del 15 aprile 2000, p. 43.

[5] Tribunale di Roma, Sezione Prima Penale, 20 luglio 2000, in Guida normativa del Sole 24 ore n° 142 del 9 agosto 2000, p. 30.

[6] Si deve notare però che il termine di prescrizione sarà quinquennale nel caso in cui operi la circostanza attenuante speciale dell’ammontare degli elementi passivi fittizi inferiore a 300 milioni prevista all’art. 2, 3° comma.

[7] Il termine prescrizionale diventerà di 5 anni nel caso in cui trovi applicazione la circostanza attenuante speciale dell’importo non rispondente al vero inferiore a 300 milioni per periodo di imposta prevista all’art. 8, 3° comma.

[8] Nello stesso senso Caraccioli, Costi fittizi 1999 e dichiarazioni 2000. Fatture false utilizzate in data anteriore al D.Lgs. n. 74/2000. Fattispecie applicabili e prescrizione, in Il Fisco n° 16/2000, p. 5205.

[9] Si veda al riguardo Cass. Pen., Sez III, 15-28 dicembre 2000, n° 13449; Tribunale di Roma, Sezione Prima Penale, 20 luglio 2000, op. cit., p. 30.

[10] In questo senso si esprime la dottrina che si è occupata della problematica. Si veda, in particolare, Elena Busson, in La riforma del diritto penale tributario, a cura di Ubaldo Nannucci e Antonio D’Avirro, Cedam, p. 328; Valerio Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Ipsoa, pp. 66, 123 e 132; Giancarlo Montedoro, in Riforma dei reati tributari, allegato n° 4/2000 alla rivista Il Fisco n° 23 del 5 giugno 2000, p. 101; Bellagamba-Cariti, I nuovi reati tributari, p. 163.

[11] Per tutti Valerio Napoleoni, op. cit., pp. 149,150; D’Andrea, I “nuovi” reati, p. 27; Pezzato, I profili sostanziali, p. 65; Elena Busson, op. cit., pp. 328, 329.

[12] Questa è l’opinione più diffusa in dottrina. Si veda fra gli altri Bricchetti, Operazioni Inesistenti, p. 77; Traversi, Gli altri reati, p. 5.

[13] Giancarlo Montedoro, op. cit., p. 102. Nello stesso senso Valerio Napoleoni, op. cit., pp. 164, 165; Elena Busson, op. cit., p. 329.

[14] Si veda tra i tanti provvedimenti art. 21, 7° comma, DL 69/89 conv. in L. 154/89; DPR 23/92; L. 75/93.

[15] Tra i pochi sostenitori ricordiamo Traversi, I reati tributari in materia di imposte dirette e di Iva, Milano, 1986, p. 266

[16] Cfr. Caraccioli, Tutela penale, p. 125; Conti, Reati tributari, p. 306; Bricchetti-De Ruggiero, I reati tributari, p. 356.

[17] Relazione Governativa al decreto legislativo, op. cit. p. 43.

[18] V. Mongillo, Considerazioni sulla nuova disciplina degli atti interruttivi della prescrizione dei reati tributari, in Rassegna Tributaria, n° 4/2000, p.1178.

[19] In tal senso ad esempio Tribunale di Milano, 29.5.1990, in Il Fisco, n° 30/1990 p. 4856; Tribunale di Bologna, 19.10.1990, in Foro Italiano, 1990, II, p. 716; Tribunale di Bari, 20.1.1994 , in Il Fisco, n° 35/1994, p. 8415.                                     

20 Sull’argomento si veda Lanzi, Lezioni di diritto penale tributario, Parma, 1985, p. 76; Scevola, Constatazione e interruzione della prescrizione nella l. 516/82, in Il Fisco, n° 47/90, p. 6933.

21 Il quale stabilisce che “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”.

[22] Drigani, La Cassazione stringe le maglie della prescrizione, in Corriere Tributario, 1991, pp. 1759 ss; Catrambone, La prescrizione dei reati tributari e la prescrizione fiscale nell’imposizione diretta, in Il Fisco, n° 35/1987, p. 5523.

[23] Cass. Pen., Sez. III, 30.11.1999-13.1.2000; Cass. Pen. 27.5.1999, Cannone; Cass. Pen., Sez. III, 5.3.1998, Mauti.

[24] Cass. Pen., Sez. III, 21.3.1997, n° 581, in Il Fisco, 1998, p. 15379; contra però di recente Cass. Pen., Sez. III, 25.10.1999-11.1.2000, in Cass. Pen. n° 11/2000, p. 3125 ss, che, partendo dalla considerazione della “diversità ontologica e funzionale” esistente tra il verbale di constatazione e l’avviso di accertamento, esclude la possibilità di ritenere quast’ultimo atto interruttivo.

25 Di recente è stata esclusa l’idoneità della minuta di iscrizione a ruolo ad interrompere il corso della prescrizione da Tribunale Rimini, 19.2.1999-4.3.1999, in Il Fisco, n° 29/1999, p. 9736.

26 Vedi ad esempio Izzo, Interruzione della prescrizione dei reati quale istituto insufficientemente garantito, in Il Fisco, n° 3/1995; recentemente Vecchio, Omesso versamento di ritenute d’acconto ed interruzione della prescrizione, in Il Fisco, n° 5/1999, pp. 1528 ss.

[27] Tutte le formalità e le notizie che il processo verbale ex art. 24 cit. deve contenere sono indicate espressamente nella Circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza del 15.10.1981 n° 1.

[28] V. Mongillo, op. cit., p.1188.

[29] Facciamo riferimento ad esempio ai casi previsti agli artt. 36 bis (liquidazione sulla base della dichiarazione) e 36 ter (controllo formale della dichiarazione) del DPR n° 600/1973.

[30] Si veda in giurisprudenza ex pluribus Cass. Pen., 27.5.1999, Cannone; Cass. Pen., 19.2.1999, Canevari; Cass. Pen., 12.3.1997, Schifino; in dottrina Bricchetti-De Ruggiero, op. cit., p. 356; Spagnolo, Diritto penale, p. 553.

[31] Relazione Governativa al decreto legislativo, op. cit. p. 43.

[32] Valerio Napoleoni, op. cit., p. 244.

[33] In dottrina vedi Romano, in Commentario, a cura di Romano-Grasso-Padovani, III, p. 91; in giurisprudenza Cass. Pen. 17.12.1991, Musettini.

[34] Si veda al riguardo Napoleoni, op. cit., pp. 243, 244.

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