Mario de Giorgio, Utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: dopo l'abrogazione dell'oltraggio una nuova ipotesi di abolitio criminis?

La riforma del diritto penale tributario sta dando luogo a numerosi problemi applicativi in quanto il D.Lgs. 74/2000 - emanato sulla scorta delle direttive previste nella legge delega n. 205/99 - non contiene alcuna norma che disciplini l'applicazione dei nuovi precetti ai processi in corso. S'impone, pertanto, il riferimento ai principi generali del diritto ed in particolare all'art. 2 del codice penale, concernente la successione di leggi penali, anche se al riguardo vi è già stato chi, al fine di evidenziare i problemi che derivano dall'assenza di regole transitorie, ha parlato di "successione al buio" (Giarda, "il sole 24ore online", 8.6.2000).
In proposito, particolare interesse desta il problema della sorte del reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, in precedenza disciplinato dall'art. 4.1, lett. d), della L. 516/82. Al momento, infatti, l'orientamento giurisprudenziale non appare univoco: la stessa Corte di Cassazione ha in un primo momento ritenuto applicabile al caso di specie l'art. 2.3 C.p. (Cass. pen. III sez., 29.4.2000, Bellavia, in Guida al Diritto n. 22/2000), per poi precipitosamente ritornare su suoi passi aderendo all'opposto orientamento favorevole all'abolitio criminis (sent. 2.5.2000, ancora da depositare, in "il sole 24ore online" del 17.6.2000). L'ultima parola spetterà alle Sezioni Unite, opportunamente investite della questione, anche se taluni giudici di merito (G.U.P. La Spezia, 2.6.2000, Tribunale di Pisa, 18.5.2000 e 12.6.2000) hanno già pronunciato sentenze di non luogo a procedere per non essere più il fatto previsto dalla legge come reato.
Rebus sic stantibus, appare utile una breve riflessione sull'argomento onde meglio orientarsi all'interno di un quadro interpretativo e giurisprudenziale dominato dall'incertezza.
Orbene, una prima considerazione attiene alla mancanza nel D.Lgs. 74/2000 di una fattispecie equivalente al disposto di cui alla menzionata lettera d) dell'art. 4.1 L. 516/82; ne consegue che la mera utilizzazione sic et simpliciter di fatture per operazioni supposte inesistenti non viene più disciplinata, a differenza di quanto avveniva in passato, come ipotesi di per sé penalmente rilevante. Pertanto, e premesso altresì che l'art. 24.1 del D.Lgs. 507/99 ha espressamente abrogato l'art. 20 della L. 4/29 (che sanciva il principio di ultrattività della norma penale-tributaria), occorre verificare se nel corpus della nuova disciplina sia rinvenibile o meno una norma che ugualmente connoti di disvalore il semplice uso di false fatture.
Ebbene, sembrerebbe prima facie che la norma "corrispondente" all'art. 4, lett. d) L. 516/82 debba essere individuata nell'art. 2 del D.Lgs. 74/2000, che espressamente recita: "è punito … chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi". Di conseguenza, nel caso di specie dovrebbe trovare applicazione l'art. 2.3 C.p. in tema di successione di leggi penali nel tempo, con correlativa applicazione della legge più favorevole al reo.
Tale conclusione, tuttavia, non convince.
Il presupposto applicativo dell'art. 2.3 C.p., infatti, deve essere individuato, per giurisprudenza pacifica ed anche a giudizio di autorevolissima dottrina (Padovani, Diritto penale, 1995, p. 35 e segg., nonché Giarda, op. cit.), nell'omogeneità delle fattispecie che si susseguono nel tempo. In tal senso un primo indizio di omogeneità deve ravvisarsi nella descrizione del comportamento punito, che dovrebbe rimanere sostanzialmente inalterato nei suoi elementi costitutivi.
Tuttavia, nel caso di specie è immediatamente percepibile come la nuova fattispecie introduca in realtà un elemento ulteriore (e perciò disomogeneo) rispetto a quella contenuta nella legge 516/82: l'art. 2 del D.Lgs. 74/2000, infatti, postula un contegno aggiuntivo rispetto al semplice utilizzo di fatture false, vale a dire l'indicazione di dette fatture nelle dichiarazioni annuali.
Ma, a ben considerare, l'art. 2 non si limita ad un semplice arricchimento dei contorni del comportamento punibile. E' infatti possibile sostenere l'introduzione di una fattispecie di reato completamente nuova. Militano in favore di tale considerazione le seguenti osservazioni: a) la stessa rubrica dell'art. 2 è significativamente intitolata "Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti"; b) la relazione governativa al decreto legislativo espressamente precisa che la frode fiscale "resta integrata non dalla mera condotta di utilizzazione ma da un comportamento successivo e distinto, quale la presentazione della dichiarazione"; c) la pena viene rimodulata in base ad un elemento quantitativo, risultando addirittura più elevata rispetto a quella stabilita dalla L. 516/82 per i casi di indicazione di elementi passivi fittizi superiori a trecento milioni; d) la stessa relazione governativa, poi, evidenzia come una soluzione di tal fatta sia stata suggerita dalla stessa legge delega, la quale alla lettera b) dell'art. 9 esclude la soggezione a soglie di punibilità "di fattispecie concernenti … l'utilizzazione di documentazione falsa"; e) in definitiva muta l'obiettivo della sanzione penale (con tutte le conseguenze generalpreventive e specialpreventive che ciò comporta), in quanto ad essere punito non è solo il (pur ambiguo) mero utilizzo di fatture false, ma il ben più pregnante (da un punto di vista fiscale e tributario) comportamento concretantesi nella mancanza di veridicità delle dichiarazioni annuali (in armonia con le disposizioni di cui agli artt. 3 e 4 dello stesso decreto, anch'esse concernenti reati in materia di dichiarazioni).
Vi è da dire, poi, che l'operatività nel caso di specie dell'art. 2.3 C.p. trova un ulteriore ostacolo. Difatti, l'applicazione dell'art. 2 del D.Lgs 74/2000 al comportamento realizzato sotto l'impero della precedente normativa implicherebbe una surrettizia estensione "ora per allora" della condotta penalmente rilevante, con conseguente lesione di ben due principi costituzionali: il principio di obbligatorietà dell'azione penale, previsto dall'art. 112 Cost., e quello di irretroattività della norma penale, così come desumibile dall'art. 25 Cost.
In ordine all'azione penale, infatti, si correrebbe il rischio di un suo esercizio "a posteriori", in quanto l'intervento del Pubblico Ministero sarebbe volto a perseguire comportamenti - quali la redazione delle dichiarazioni annuali - che in passato, a differenza di adesso, non erano rilevanti per l'integrazione del reato (sul punto significativa è stata la sentenza n. 518 del 10.2.2000 della VI Sezione Penale della Corte di Cassazione in tema di abrogazione del reato di oltraggio).
Quanto alla vulnerazione del principio di irretroattività, essa deriva dalla considerazione che la sanzione penale deve avere una funzione di orientamento del comportamento dei consociati, con conseguente necessità di delimitare con precisione le condotte illecite da quelle penalmente irrilevanti. Ebbene, se si adattasse al passato l'attuale fattispecie di reato, si creerebbe una situazione paradossale in quanto si finirebbe con il "rimodellare" (rectius: ricostruire ex novo) l'elemento soggettivo dell'agente, ed in particolare si dovrebbe sostenere che il disegno del reo si estendeva anche ad un elemento a quell'epoca non necessario ai fini dell'integrazione della condotta rilevante.
Infine, appare priva di pregio l'obiezione, che pur viene mossa, secondo cui l'art. 2 del D.Lgs. 74/2000 dovrebbe trovare applicazione anche alle pregresse ipotesi di mera utilizzazione di fatture false per effetto del disposto di cui al comma 2 ("il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie …"), volendosi in particolare sostenere che l'"avvalersi" di fatture per operazioni inesistenti determina necessariamente la registrazione di queste nelle scritture contabili obbligatorie.
Orbene, tale obiezione, destinata sostanzialmente alla creazione di una sorta di "stampella dogmatica" per consentire la punizione della "claudicante" ipotesi di semplice uso di documenti falsi, in realtà si risolve in una interpretatio abrogans dello stesso comma 1 dell'art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, giacché, così opinando, non si comprenderebbe per quale motivo il legislatore delegato avrebbe dovuto specificare nel primo comma che la condotta si ritiene integrata con l'indicazione delle poste fasulle nelle dichiarazioni, ben potendo tale assunto desumersi dal capoverso della norma stessa. In realtà, il comma 2 ha la funzione di meglio delimitare (come specificato anche nella relazione governativa) l'ambito operativo della fattispecie descritta nel primo comma: in definitiva il reato si compie quando, avvalendosi di fatture false (dovendosi per queste intendere, ai sensi del comma 2, quelle registrate nelle scritture contabili obbligatorie), si compila una dichiarazione annuale mendace.
Mette in conto da ultimo evidenziare come non sarebbe possibile punire il mero utilizzo di false fatture nemmeno sub specie di tentativo, stante l'espresso disposto di cui all'art. 6 del D.Lgs. 74/2000 ("I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo").
In definitiva, appare nettamente preferibile ritenere che il reato un tempo previsto dall'art. 4, lett. d), della l. 516/82 oramai non sia più previsto dalla legge come reato.

Pisa, lì 20.6.2000

Avv. Mario De Giorgio (mario.degiorgio@tiscalinet.it)

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