Orazio Dente Gattola, La gestione delle videoconferenze (*)

1. Il dibattimento, quale lo hanno conosciuto generazioni di giuristi e di cittadini, sta subendo in questi anni vistose trasformazioni a seguito di una serie di innovazioni tecnologiche che hanno fatto venire meno la tradizionale unitarietà di tempo e di luogo.
La registrazione degli atti delle varie fasi è ormai un fatto corrente tanto da avere di fatto sostituito la tradizionale verbalizzazione manuale.
La riproduzione da parte dei mezzi di comunicazione di interi processi o di parti di essi è anch'essa un fatto ormai ricorrente ed è addirittura disciplinata legislativamente dall'art. 147 delle disposizioni di attuazione.
Tra le più recenti innovazioni si collocano le videoconferenze o collegamenti a distanza.
Allo stato abbiamo tre sistemi di collegamento a distanza.
Essi sono:
a) il collegamento a mezzo di cavi coassiali che è il sistema usato normalmente negli Stati Uniti per l'esame dei minori che siano stati vittime di violenze sessuali.
b) Il secondo, utilizzato in Italia nella fase iniziale dell'applicazione dell'art. 147 bis delle disposizioni di attuazione, realizzato via etere. Esso presenta il vantaggio di una resa qualitativa molto elevata e lo svantaggio di costi molto elevati.
c) Il terzo, quello in uso al momento in Italia, è realizzato mediante rete ISDN. In effetti si tratta di linee telefoniche digitali e cioè numeriche che funzionano a mezzo reti le quali trasformano i segnali audio-video ricevuti in maniera analogica in un flusso di segnali digitali che, una volta giunti a destinazione subiscono una trasformazione inversa.
Tale sistema si avvale della notevole diffusione sul territorio delle linee ISDN e, oltre a consentire la criptazione delle informazioni trasmesse, permette altresì di trasmettere documenti di ogni genere.
Il pregio maggiore consiste, però, nella limitatezza dei costi quantificabile in circa 80.000 lire all'ora.
Tecnicamente, però, il sistema non è ancora perfetto: di qui un'immagine non ancora perfetta con la possibilità di una scarsa fluidità delle immagini specie di quelle in movimento e di un certo ritardo, almeno un secondo, nella trasmissione dei suoni e, quindi, delle domande e delle risposte.
Appare a questo punto abbastanza agevole considerare come sussista ancora una certa differenza tra le udienze nelle quali siano presenti persone presenti in regime di videoconferenza e quelle "tradizionali".
La specificità dei processi di criminalità organizzata che vedono la partecipazione, sovente numerosa, di soggetti altamente pericolosi ha reso da sempre estremamente pericolosa oltre che complessa la loro trattazione.
La normativa sulle cd. videoconferenze muove in effetti dall'esigenza di evitare che le traduzioni dei detenuti nei cui confronti il Ministro ha disposto l'assoggettamento al regime dell'art. 41 bis ord. pen., stante la loro pericolosità, siano continuamente tradotti e, conseguentemente, riportati nei luoghi nei quali essi hanno commesso reati. La frequenza delle udienze, che di per sé costituisce un diritto, può in effetti pregiudicare "l'effettività dei provvedimenti di sospensione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario" (Atti Camera, XIII legislatura, doc. 1845). Si rendeva quindi necessario il ricorso ad un istituto che consentisse di evitare tali conseguenze negative e di tenere il detenuto lontano dal suo habitat naturale.
Un ulteriore vantaggio derivante dal venir meno delle traduzioni e dalla presenza dei detenuti in regime di videoconferenza è costituito dalla drastica riduzione dei costi non essendo più necessario trasferire uomini e mezzi dai luoghi di detenzione sino a quelli di celebrazione dei processi.

2. Il primo presupposto per la celebrazione di un processo in regime di videoconferenza è che si tratti di un dibattimento relativo ad uno dei reati previsti dall'art. 51 c. 3 bis c.p.p. e cioè per:
a) delitti tentati di cui agli artt. 416 bis e 630 c.p
b) delitti consumati di cui agli artt. 416 bis e 630 c.p.
c) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p.
d) delitti commessi al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dall'art. 416 bis
e) delitti previsti dall'art. 74 dpr 309/90
Non sono previste deroghe a tale principio. La tassatività della norma lo esclude.
Ciò non toglie che essa non possa essere applicata unicamente innanzi alle Corti di Assise e ai Tribunali in composizione collegiale.
E' di tutta evidenza come le videoconferenze si svolgano di regola dinanzi a tali uffici giudiziari competenti in ordine ai reati di criminalità organizzata.
Non è però escluso che possano essere celebrati con collegamenti a distanza anche processi di competenza del giudice monocratico: il testo dell'art. 549 c.p.p prevede, infatti, che si osservino le norme previste per i processi di competenza del giudice in composizione collegiale "in quanto applicabili". La norma è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla formulazione ante riforma.
Ad onta delle perplessità da taluno espresse ben possono essere trattati dinanzi al giudice unico procedimenti aventi ad oggetto reati commessi avvalendosi della forza intimidatrice di associazioni di stampo mafioso o per favorire le stesse dal momento che la norma non prevede l'applicabilità ai soli procedimenti per i reati di cui all' art. 416 bis ma comprende, appunto, anche tali categorie. Possono essere infatti poste in essere condotte criminose non rientranti tra queste ma avvalendosi della forza intimidatrice dell'associazione di cui all'art. 416 bis ecc.
Analogo discorso è a farsi per il processo minorile in virtù del richiamo fatto dall'art. 1 d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448 (A.A..V.V.: Nuove strategie processuali per imputati pericolosi e imputati collaboranti, Milano 1998, p. 17).
Ci si chiede, poi, se si debba o meno procedere alla videoconferenza nell'ipotesi di una pluralità di imputazioni delle quali solo talune prevedano la possibilità di farvi ricorso. Appare evidente che in tal caso non potendosi per l'unitarietà del procedimento procedere a separazione dei procedimenti la risposta non potrà che essere affermativa.
Possono poi essere trattati con il regime della videoconferenza i procedimenti in grado di appello: lo si desume dal testo dell'art. 598 c.p.p. che estende al giudizio di secondo grado le norme di quello di primo grado "in quanto applicabili".
Ulteriore elemento indispensabile per la trattazione in regime di videoconferenza è lo stato di detenzione carceraria non importa se in applicazione della custodia cautelare o in espiazione di pena. Sotto tale profilo non è necessario che la detenzione sia dovuta ad uno dei reati di cui all'ar. 51 bis c. 3 c.p.p. Non rileva al riguardo che il soggetto si trovi detenuto a titolo definitivo o a titolo cautelare: rileva, invece, che si tratti di un titolo di reato per il quale è appunto possibile la celebrazione in videoconferenza.
Ove siano presenti tali presupposti il giudice dovrà valutare se siano presenti le condizioni previste dall'art. 146 bis c.p.p. e cioè:
a) ragioni di ordine e di sicurezza pubblica, elemento questo quanto mai generico nella sua formulazione. Ovviamente il termine "pubblico" non deve essere inteso con riferimento ad una pluralità di persone ben potendo esso riferirsi ad un solo soggetto chiamato a partecipare alla celebrazione di un processo.
b) Particolare complessità del dibattimento e la partecipazione possa cagionare un ritardo nella celebrazione specie se sono in corso più processi a carico dello stesso imputato in luoghi diversi. Il problema della con testualità dello svolgimento di tali processi non viene però in tal caso eliminato ma solo ridotto dal momento che non vi è alcun criterio per dirimere eventuali conflitti che continuino a sussistere od alcuna autorità che possa dirimerli. L'espressione dibattimento complesso va letta con riferimento alla previsione contenuta nell'art. 302 c. 2 c.p.p. per cui non si può che rinviare in ordine alla delimitazione di tale categoria a quanto elaborato dalla giurisprudenza.
c) Di detenuto sottoposto al regime dell'art. 41 bis reg. penitenziario. In tale ipotesi si tratta di evitare il cd. turismo giudiziario oltre che la possibilità che il detenuto, tornando nei luoghi dove ha commesso reati possa mantenere o riprendere i contatti con l'ambiente. Il legislatore è stato mosso in tal caso dall'intento di evitare il tristemente famoso fenomeno delle traduzioni con tutto quello che tale fatto comporta sia sul piano dei ritardi nella definizione dei processi,sia su quello del ritorno dell'imputato sul luogo del reato, sia, infine, su quello dei costi anche economici.
Ci si pone il quesito se il rimando all'art. 41 bis si riferisca alla previsione contenuta nella prima parte e cioè ai casi di sospensione delle garanzie per una rivolta o per altre situazioni di emergenza o non piuttosto alla seconda parte e cioè ai casi di sospensione delle garanzie per motivi di ordine o di sicurezza pubblica nei confronti di taluni detenuti. Il rimando all'art. 4 bis ord. pen. contenuto nella seconda parte della norma è in linea con la previsione dell'art. 146 bis c.p.p,. così come previsto dall'art. 2 legge 11/1998: sembra quindi che la legge sulle videoconferenze si applichi solo ai detenuti che si trovino nella condizione prevista nella seconda parte.
Il dato letterale della norma in ogni caso conferma tale interpretazione dal momento che essa si esprime così: "qualora si tratti di detenuto nei cui confronti è stata disposta l'applicazione delle misure di cui all'art. 41 bis".

3. Ci si chiede se sia possibile procedere a videoconferenza nei confronti di un imputato detenuto in carcere che sia sottoposto al regime dell'art. 41 bis ma che non sia chiamato a rispondere di uno dei reati di cui all'art. 51 c. 3 bis c.p.p.
Al quesito la dottrina ha unanimente escluso tale possibilità sin dalle prime letture della normativa (cfr. per tutti: G. Fidelbo in Gazzetta Giuridica, n.10, 1998, p. 1). Il problema si è posto nel corso di un procedimento che vedeva alla sbarra un imputato che si trovava appunto sottoposto al regime di cui all'art. 41 bis e che non era chiamato a rispondere di uno dei reati di cui all'art. 51 c. 3 bis c.p.p. per il quale, paradossalmente, era stata attivata nel corso della stessa udienza attivata la videoconferenza in ordine ad altro procedimento per un reato viceversa compreso tra quelli di cui alla norma.
La questione è stata sollevata dal Tribunale di Torre Annunziata con un'ordinanza del 28 ottobre 1999 pubblicata nella GU 26.1.2000 prima serie speciale
Il tribunale è partito dalla premessa che la stessa Corte Costituzionale con la sentenza 342 del 1999 ha posto in rilievo come le traduzioni di detenuti sottoposti al regime dell'art. 41 bis siano possibili solo al prezzo di costi insostenibili sul piano dell'impegno di uomini e mezzi oltre che di una concreta vanificazione proprio dei principi posti a base dei provvedimenti di sospensione delle regole di trattamento penitenziario e proprio in relazione ai detenuti maggiormente pericolosi. La stessa Corte ha posto in risalto come i provvedimenti in questione siano adottati al fine di interrompere i legami tra gli associati mafiosi in vinculis ed il resto dell'associazione.
Tanto premesso si è ritenuto che il rigido ancoraggio dell'applicazione del regime delle videoconferenze ai soli processi per fatti previsti dall'art. 51 bis sia illogico ed irrazionale con ciò stesso venendosi a violare l'art. 3 Cost. espressione di un generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo così come stabilito con la sentenza 204 del 1982.
In tal caso sarebbe tolta ogni rilevanza al provvedimento ministeriale con il quale è stata ritenuta la pericolosità del detenuto.
D'altra parte la categoria dei reati previsti dall'art. 4 bis ord. pen. che è richiamato dall'art. 41 bis comprende anche reati non di stampo mafioso.
La normativa sulle videoconferenze consente in casi eccezionali la presenza del detenuto soggetto al regime di cui all'art. 41 bis nel caso in cui sia necessaria la sua presenza in aula e per il tempo strettamente necessario. Si tratta in buona sostanza dei casi in cui sia necessario procedere a ricognizione di persona o a confronti (art. 146 bis c. 7 c.p.p.). In tali casi siamo in presenza di un'altra norma irrazionale ed illogica e, dunque, viziata posto che la formulazione della stessa è tale da far ritenere che il legislatore abbia inteso consentire nei casi anzidetti il ritorno alle regole ordinarie. Sembra che non ci si sia resi conto delle conseguenze negative della partecipazione fisica dell'imputato che viene fatto tornare sui luoghi dai quali è stato fatto allontanare facendo venir meno anche in questo caso gli effetti della sottoposizione al regime dell'art.41 bis ord. pen.

4. Il momento nel quale deve essere disposta la videoconferenza va individuato nella fase prodromica alla celebrazione dello stesso e cioè antecedentemente alla prima udienza non tanto al fine di non appesantire quest'ultima quanto al fine di mettere in condizione la difesa di "organizzarsi" e di decidere se essere presente unicamente nell'aula nella quale viene celebrato il processo o di assicurare la propria presenza direttamente o a mezzo di un sostituto processuale nel sito remoto (146 bis c. 4 c.p.p.). Nulla osta a che la difesa sia presente unicamente in quest'ultimo: ciò in quanto il livello qualitativo del collegamento con la possibilità di udire e di vedere quanto accade è sufficiente a garantire le esigenze difensive.
In ogni caso nella fase precedente il dibattimento il provvedimento che dispone la videoconferenza assumerà la forma del decreto che, essendo stato emesso al di fuori del contraddittorio delle parti, va comunicato al p.m. e va notificato agli imputati e ai difensori interessati almeno dieci giorni liberi prima dell'udienza (146 bis c. 2 c.p.p.).
Una volta aperto il dibattimento ovviamente la competenza a disporre la videoconferenza spetterà non più al Presidente ma al Collegio come dimostra l'espressione "il giudice" (art. 146 bis c. 2). Pur non essendo previsto dalla normativa un termine a difesa appare in tale ipotesi opportuno un rinvio del processo (Fidelbo: op. cit. p. 3) al fine di consentire alla difesa di potersi organizzare predisponendo quanto necessario, se del caso, a garantire la presenza nella postazione remota.
Appare opportuno che, una volta aperto il dibattimento il provvedimento venga emesso in udienza al fine di evitare possibili ritardi o disguidi conseguenti ad eventuali omesse notifiche pur non essendo preclusa la possibilità di emetterlo nell'intervallo tra un'udienza e l'altra.
A norma dell'art. 586 c. 2 c.p.p. le ordinanze che dispongono in materia di videoconferenza sono impugnabili unitamente alla sentenza.
I termini per proporre impugnazione sono indicati dall'art. 585 c. 1 c.p.p.
Il provvedimento che dispone la videoconferenza rappresenta un atto dovuto nel senso che il Presidente od il Collegio non possono non disporla come si rileva dalla stessa dizione del testo la partecipazione al dibattimento a distanza è disposta …, formulazione che lascia intendere come in presenza di tali circostanze non vi sia alcun margine di discrezionalità.
A differenza di quanto previsto dall'art. 147 bis c.p.p. per l'esame dei cd. collaboratori di giustizia e per gli imputati in procedimento connesso l'art. 146 bis c. 3 prevede che la presenza dell'imputato sottoposto al regime di cui all'art. 51 bis ord. pen. abbia luogo in condizioni di assoluta reciprocità sia visiva sia uditiva. In ogni caso nel caso che la videoconferenza riguardi più imputati tutti costoro dovranno essere posti in condizione di vedere non solo quanto accade nell'aula di udienza ma di vedere anche gli altri.
Ove per motivi tecnici o per altri motivi non sia possibile collegare tutti i siti remoti ben può essere attuata la concentrazione dei soggetti in uno o più siti remoti.
Il fatto che la postazione remota sia in tutto parificata all'aula di udienza comporta che innanzi tutto il Presidente ha nei riguardi della postazione remota gli stessi poteri di vigilanza e di direzione dell'udienza
Allo stesso modo anche per i reati commessi nella postazione remota si applicano le regole proprie dei reati commessi nell'aula di udienza (art. 476 c.p.p.): non sembra infatti che vi siano differenze tra i due casi dal momento che, pur non potendo il pubblico essere presente nelle postazioni remote sia per ragioni di sicurezza sia per essere le stesse ubicate per lo più in strutture carcerarie, vi è l'identica possibilità di percepire quanto vi accade.

5. Quanto all'assistenza all'udienza va osservato come l'art. 147 bis disp.att. c.p.p. nella formulazione vigente preveda che essa sia prestata ad opera di un ausiliario abilitato e nominato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente, laddove per la vecchia formulazione della norma era possibile che essa potesse essere assicurata o dall'ausiliario o da "altro pubblico ufficiale autorizzato".
Appare evidente che la modifica è stata dettata dall'esigenza di garantire al massimo la regolarità dell'udienza.
Quando non si procede ad esame dell'imputato è possibile che l'ausiliario venga sostituito da un ufficiale di p.g. che non abbia svolto attività di indagine scelto dal giudice o dal presidente in caso di urgenza.
Quanto tali formalità vengano rispettate nella pratica è ben altro discorso essendo ormai invalsa la prassi della presenza di ufficiali di p.g. appartenenti alla polizia penitenziaria senza alcuna designazione da parte dell'autorità giudiziaria procedente.
Ci si chiede se la mancanza di un ausiliario abilitato e nominato dal giudice, stante l'ormai consolidato ricorso all'opera di ufficiali di P.g. appartenenti all'amministrazione penitenziaria, sia o meno causa di nullità.
L'art. 177 c.p.p. prevede che non sono possibili nullità se non nei casi previsti dalla legge.
L'art. 142 c.p.p., che apparentemente è l'unica norma riferibile alla fattispecie, dice che salvo particolari disposizioni di legge il verbale è nullo se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto.
Tuttavia l'art. 126 c.p.p. nello stabilire che il giudice è assistito dall'ausiliario ogni qual volta proceda al compimento di un atto salvo che la legge stabilisca diversamente sembra costituire un ostacolo invalicabile per una prassi piuttosto discutibile.
Per dare una soluzione al problema occorre a questo punto stabilire quali siano i compiti dell'assistente presente nella postazione remota e quali mansioni collaborative del giudice egli abbia, ma soprattutto quale sia il margine di autonomia del quale egli dispone nella compilazione del verbale.
Della questione, a quanto risulta, si è occupata una sola volta la giurisprudenza con la sentenza Cavallo ed altri del 20 novembre 1998/15 marzo 1999 n. 3333 (in Guida al diritto, 1999, n. 15 p. 64) risalente però alla vecchia normativa. Non sembrano condivisibili le conclusioni alle quali perviene la sentenza dal momento che il verbale redatto nella postazione remota, pur essendo destinato a confluire in quello redatto nell'aula, non è del tutto autonomo rispetto a quest'ultimo in quanto chi assiste il giudice non si limita a dare atto della presenza dell'imputato o della persona da sentire ma compie una serie di atti relativi alla regolarità dell'udienza sotto forma di certificazioni o di attestazioni e che, viceversa l'assistente presente in udienza non può compiere quanto meno per il fatto che le telecamere presenti nella postazione non riprendono tutto il campo.
Si pensi ad esempio all'attestazione relativa all'indisponibilità da parte del teste di consultare appunti od altro.
Una possibile soluzione viene da Cass. pen., sez. VI, 4 aprile 1995, n. 6182, Tarquinio e altro per la quale " La documentazione degli atti del giudice è diretta a dare formale rappresentazione e conservazione degli stessi anche al fine di ogni decisione su eventuali incertezze o contestazioni in ordine al loro compimento e il solo soggetto abilitato alla documentazione degli atti e quindi alla redazione del verbale è l'ausiliario. La sua mancata assistenza e sottoscrizione del verbale dell'udienza preliminare danno luogo a nullità a regime intermedio del verbale stesso che travolge il decreto che dispone il giudizio. Tale nullità è sanabile se non eccepita subito dopo l'accertamento da parte del tribunale della regolare costituzione delle parti per il dibattimento".
Indubbiamente vi è in occasione delle videoconferenze una pluralità di verbali i quali conservano la loro autonomia.

6. Quanto alle garanzie difensive durante il dibattito parlamentare si disse che l'imputato avrebbe dovuto assistito da due difensori, uno nell'aula di udienza, l'altro nella postazione remota dandosi 'per scontato che vicino all'imputato sedesse un difensore e che laltro fosse presente in aula dando implicitamente per scontato che la presenza di un solo difensore ovunque egli si trovi non possa garantire una difesa adeguata. Di qui la possibilità del ricorso alla figura del sostituto (art.l02 c.p.p.) il quale si affianca al dominus.
Vi è, però, un evidente disparità di trattamento tra imputati i quali siano in grado di assicurarsi l'assistenza da parte anche di un sostituto. Per l'imputato non abbiente, invece, la duplice assistenza risulta preclusa dall'art.4 comma 3° legge n. 217 del 1990, laddove stabilisce che l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato non può essere concessa se il richiedente è assistito da più di un difensore. Un problema del tutto analogo si pone per la fesa di ufficio possibile sempre da un solo professionista (art. 97 comma 1° c.p.p.).
Ad ogni buon conto, il legislatore si è preoccupato di garantire la libertà del flusso di informazioni tra assistito e difensore, stabilendo che "il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei". Si allude qui ad un collegamento realizzato tramite l'installazione di apposite linee telefoniche tali che attraverso esse dovrebbe essere assicurata la segretezza delle conversazioni che intercorrono tra il difensore ed il suo assistito. La norma (art. 146 c. 4 c.p.p.) contempla, però, solo l'ipotesi, per così dire tipica, ignorando l'esigenza di un collegamento della medesima natura tra il difensore che sieda nell'aula di udienza e quello che si trovi nella postazione remota, accanto all'imputato. Al di là dell'infelice formulazione sembra che il livello tecnico debba essere identico.
Ovviamente l'imputato presente in videoconferenza è soggetto alle stesse regole previste per il rito cd. ordinario per cui se egli non può comparire al dibattimento "per caso fortuito, forza maggiore o legittimo impedimento, il dibattimento è sospeso o rinviato" (art. 486 comma 1° c.p.p.), talché solo la rinuncia a comparire liberamente fatta dall'imputato può legittimare la limitazione del contraddittorio. E' poi garantita la sua partecipazione cosciente al procedimento (artt. 70 e seguenti c.p.p.), al punto che, se essa non può aversi per infermità psichica, o fisica- il procedimento deve essere sospeso.

7. La normativa sulle videoconferenze si applica anche ai procedimenti che si svolgono in camera di consiglio (art. 45 bis) trattandosi di situazioni sostanzialmente identiche stante la necessità di assicurare la partecipazione dell'imputato detenuto assicurando nel contempo la necessaria sicurezza.
La formulazione della norma è, però, tale da generare incertezze.
Il fatto che essa faccia riferimento alla persona dell'imputato sembra comunque condurre alla conclusione che in tanto il soggetto dovrà essere presente in videoconferenza in quanto egli abbia già acquisita tale veste. Appare poi chiaro che la normativa sulle videoconferenze si applichi anche nei gradi di giudizio successivi al primo. Certamente essa non è possibile nei procedimenti di prevenzione nei quali il soggetto che partecipa all'udienza riveste la qualifica di "interessato". Il discrimen tra udienze camerali nelle quali è possibile la videoconferenza ed udienze nella quale, viceversa, essa non è possibile sembra passare attraverso la necessità, ferma restando in tal caso la possibilità della rinuncia, o la facoltatività della sua presenza.
Una particolare ipotesi di presenza necessaria in regime di videoconferenza è quella dell'udienza di riesame (art. 309 c. 9 c.p.p.) per la quale è previsto un termine di tre giorni che è inferiore a quello di dieci giorni previsto dall'art. 146 bis c. 2 c.p.p. Tale circostanza aveva fatto ritenere che non fosse possibile la partecipazione in regime di videoconferenza nell'udienza di riesame. Il senso dei lavori preparatori, specie nella parte in cui è stata giudicata superflua un'espressa menzione dell'udienza preliminare, porta alla conclusione che il richiamo all'art. 127 comma 1° c.p.p. sia un fatto meramente formale: diversamente opinando la mancata partecipazione dell'imputato ad un atto così importante potrebbe aprire la strada al dubbio di un'ulteriore vizio di legittimità costituzionale. Discorso non dissimile è a farsi per quanto concerne l'udienza preliminare: il fatto che talora il difensore abbia a sua disposizione un termine inferiore ai 10 giorni per decidere le sue strategie processuali e, cioè, per decidere se essere presente in aula o nel sito remoto a contatto fisico con il suo assistito viene dunque ad essere temperato dal fatto che si tratta di udienze nelle quali non si procede all'assunzione di alcuna prova.
Nel caso quindi
a) dell'incidente probatorio, (art. 401 comma 3° c.p.p.),
b) b) dell'udienza preliminare, nei casi in cui l'imputato non si presenti all'udienza e si debba procedere alla rinnovazione della citazione (artt. 485 comma 1°) o si sia verificato un impedimento a comparire (art. 486 commi 1 e 2 c.p.p.) per cui egli abbia diritto alla fissazione della data della nuova udienza della quale gli sarà dato tempestivo avviso ( art. 420 comma 1° c.p.p.),
c) c) del giudizio abbreviato nel quale vigono di regola le disposizioni previste per l'udienza preliminare, in quanto applicabili (art.441 comma 1° c.p.p.),
l'attivazione della partecipazione a distanza non presenta particolari problemi.
La Corte costituzionale (sentenza n. 41/1991), ebbe ad affermare che l'art. 309 comma 8° c.p.p. non escluda la comparizione personale del detenuto fuori della circoscrizione, se questi ne abbia fatto richiesta oppure se il giudice lo ritenga necessario.
Ad analoga conclusione si deve pervenire per gli incidenti di esecuzione. Per quanto concerne, invece, i procedimenti nei quali la partecipazione sia un fatto meramente eventuale sembra esclusa per i reati di cui all'art. 51 comma 3-bis c.p.p la necessità della videoconferenza per il semplice motivo che in tal caso la partecipazione dell'imputato non sarebbe più una partecipazione volontaria ma si trasformerebbe in partecipazione necessaria.
Dalla lettura dei lavori preparatori si ricava in effetti la volontà del legislatore di volere l'applicazione di tale forma di partecipazione dell'imputato a procedimenti camerali come il riesame delle misure coercitive, l'appello per quelle cautelari, per gli incidenti di esecuzione. La partecipazione a distanza è inoltre possibile ogni volta che il giudice ritenga necessaria la presenza dell'imputato o del condannato, anche a seguito di sua richiesta.
Sotto il profilo del funzionamento dell'istituto della videoconferenza nelle udienze preliminari va detto solo che in esso è identico rispetto a quello previsto per le udienze dibattimentali alle quali quindi si rimanda. Basti qui sottolineare come i vizi attinenti alla notifica del provvedimento che dispone la partecipazione a distanza si risolvono in una causa di invalidità e dunque in nullità assolute.

8. L'art. 147 bis disp. att. C.p.p. prevede l'esame a distanza della persona sottoposta a programma di protezione anche di tipo urgente o provvisorio su impulso di ufficio o a richiesta di parte, stante l'interesse della persona ad evitare l'esposizione al rischio della presenza in luoghi ove la presenza malavitosa sia particolarmente forte, o, infine, su richiesta dell'autorità che ha disposto il programma o le misure di protezione.
Con il riferimento alle misure urgenti e a quelle provvisorie ci si riferisce a quelle disposte dal Capo della Polizia (art. 11 c. 1 lg. 15 marzo 1991 n. 82).
Il legislatore ha previsto ipotesi di ammissione facoltativa del collaborante all'esame a distanza (comma 2 dell'art. 147 bis) e di ammissione obbligatoria (comma 3).
Nel primo caso il giudice, ove ritenga appunto opportuno ricorrere al cd. telesame, dovrà richiedere il parere delle parti in conformità al generale principio in virtù del quale tutti i provvedimenti aventi il contenuto di ordinanza devono essere emessi nel contraddittorio delle parti
Costituisce un'ipotesi di ammissione facoltativa quella prevista dall'art. 495 c. 1 c.p.p. (nuova ammissione della prova) o quando vi siano difficoltà ad assicurare la comparizione della persona.
Le ipotesi di ammissione obbligatoria al cd. telesame sono sostanzialmente tre ed hanno tutte natura soggettiva. Quella di cui alla lettera a) investe persone ammesse a programmi o a misure di protezione "nell'ambito di un processo per taluno dei delitti indicati nell'art. 51 comma 3-bis c.p.p.", laddove la mancata ripetizione di quanto precisato dal comma 1, parrebbe, per l'argomento a contrario, negare rilievo a programmi o a misure di tipo provvisorio. Quella di cui alla lettera c) opera, invece, "quando nell'ambito di un processo per taluno dei delitti previsti dall'art. 51 comma 3-bis c.p.p. devono essere esaminate le persone indicate nell'art. 210 c.p.p. nei cui confronti si procede per taluno dei delitti di cui al medesimo art. 51 comma 3-bis c.p.p. anche se vi è stata separazione dei procedimenti.
Una problematica quanto meno più delicata è quella che si apre con la previsione di cui alla lettera b), per la quale si procede ad esame a distanza quando nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità di cui all'art. 3 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119.
Innanzi tutto il soggetto dovrà essere sottoposto al telesame con le precedenti generalità al fine di prevenire possibili individuazioni delle nuove.
Il testo vigente va interpretato nel senso che la visibilità delle fattezze del dichiarante deve sempre essere assicurata nel corso del telesame, eccezion fatta per coloro nei cui confronti sia stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità. A tal punto si manifesta, però, un'evidente mancanza di omogeneità del trattamento riservato rispetto a quanto previsto per le persone ammesse a programmi o a misure di protezione. E' infatti evidente la ratio sottesa al fatto di escludere la visibilità di costoro nel corso dell'esame protetto che abbia luogo in udienza.
L'espressa abrogazione, decretata dall'art. 5 della legge 11/1998 dell'art. 6 comma 8° d.lgs. n.119 del 1993 fa cadere l'indefettibilità dell'esame a distanza, dal momento che il giudice può ben ritenere può discrezionalmente ritenere assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare.
Le modalità di conduzione del telesame sono state perfezionate. Dopo avere mantenuta la necessità che il collegamento audiovisivo garantisca la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova il legislatore, in linea con le prescrizioni dell'art. 146-bis comma 6° disp. att., ha attribuito al solo ausiliario del giudice il compito di documentare le operazioni effettuate escludendo quindi la possibilità di fare ricorso ad ufficiali di polizia giudiziaria. Egli deve, tra l'altro, dare atto delle cautele adottate per garantire il regolare svolgimento dell'esame: è evidente in tal caso l'intento di evitare che il dichiarante possa avvalersi di appunti (art. 499 comma 5° c.p.p.).
Il telesame si trasforma in videoconferenza se la persona da sottoporre all'esame deve essere assistita da un difensore. Stando all'art. 147- bis comma 4° disp. att. si applicano le regole previste dall'art. 146-bis commi 3°, 4° e 6° disp. att. Appare qui sufficientemente chiaro l'intento complessivo del legislatore anche se, come sovente accade nei casi in cui una norma rinvii ad un'altra la tecnica usata non è delle migliori. Sembra che sia da escludere che per gli imputati di reato connesso o collegato valgano per intero le regole stabilite per la documentazione della partecipazione a distanza. Non rivestendo esse la qualifica di parti, la partecipazione al dibattimento dei soggetti da esaminare nelle forme ex art. 210 c.p.p. si esaurisce nell'effettuazione dell'esame. Come è stato già detto nella postazione ubicata nel sito remoto l'assistenza al giudice dovrà essere prestata unicamente da un ausiliario del giudice.
E' evidente nel caso del telesame come venga tagliato il legame tra le parti e le fonti di prova nel senso che esse vengono raccolte e si formano fuori della presenza fisica delle prime.
Nel caso, poi, che sia stato emesso il decreto che autorizza il mutamento delle generalità (art. 147 bis c. 3 lett. b) a tale limitazione si aggiunge il fatto che devono essere adottate tutte le cautele atte ad evitare che il volto del dichiarante sia visibile dai presenti. In tale ipotesi si ha, però, un bilanciamento tra il diritto alla difesa (art. 24 c. 2 Cost.) e quello alla incolumità proprio del dichiarante che, diversamente, si troverebbe esposto al pericolo.
La norma non sembra quindi affetta da vizi di costituzionalità.
Non sembra, viceversa, corretta oltre che conforme alla costituzione la previsione del 5 comma dell'art. 147 bis c.p.p. laddove prevede che si possa far ricorso al telesame su istanza di parte nel caso di nuovo esame ex art. 495 c. 1 c.p.p. o di difficoltà ad avere la presenza della persona che deve deporre.

9. Nell'ultimo articolo della legge è detto che il termine di efficacia della legge è fissato al 31 dicembre 2000.
La previsione era del tutto assente dai vari disegni di legge sulla materia e venne inserita all'ultimo minuto non tanto per agganciare la normativa a quanto previsto per l'art. 41 bis ord. pen. quanto al fine di consentire l'approvazione della normativa da parte di un parlamento piuttosto riluttante a farlo, com'è agevole rilevare dalla lettura dei lavori parlamentari oltre che per prevenire possibili eccezioni di illegittimità costituzionale.
L'intento di rafforzare, perdurando l'emergenza malavitosa, il regime di cui all'art. 41 bis è stato infatti contemperato con l'esigenza di prevedere una durata limitata dell'istituto. L'intenzione del legislatore, una volta decorso il termine anzidetto, era, verosimilmente, quella che riprendesse vigore la normativa precedente.
Appare a questo punto evidente l'ambiguità di fondo del progetto del quale è, a quanto se ne sa, allo studio la proroga con l'eliminazione di alcune storture come quella del differente trattamento a seconda del tipo di imputazione della quale il detenuto deve rispondere e che ha portato il Tribunale di Torre Annunziata a sollevare l'eccezione di illegittimità costituzionale della quale si è detto.

dott. Orazio Dente Gattola
Presidente di Sezione - Tribunale di Torre Annunziata - maggio 2000

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(*) Relazione presentata all'incontro organizzato dal C.S.M. "Il diritto della società informatica", Frascati 25/27 maggio 2000