Alfonso Maria Parisi, Giudice penale: Confisca - Diritti dei terzi - Diritti reali di garanzia - Rilevanza

Prevalenza dell'interesse pubblico sulle posizioni giuridiche soggettive individuali soltanto nell'ottica della specifica funzione che tipicizza la confisca e, quindi, rispetto ai diritti del condannato sulla cosa e non anche riguardo alle situazioni giuridiche soggettive dei terzi.

Sempre più spesso si vedono Istituti di credito alle prese con l’AG penale, che chiedono la revoca della confisca sul rilievo che tale provvedimento non può pregiudicare il diritto di pegno su certificati o titoli, del quale gli stessi istituti bancari sono titolari in virtù di rapporti bancari intercorsi con soggetti loro debitori, né la predetta misura può prevalere sulle garanzie reali che assistono i loro crediti, così come evidenziati.

Accade, infatti, sempre più frequentemente, in un mondo che sempre più si annoda su rapporti patrimoniali di rilevante entità, i soggetti interessati non forniscano alcuna giustificazione circa la loro provenienza in relazioni ai propri redditi, tanto da divenire oggetto di confisca, a norma dell'art. 644, comma 6 c.p., quale provento di attività usuraria.

Confisca che anche ai sensi dell'art. 12-sexies del D.L. 306/92 convertito nella L. 356/92, che deve prevalere sui redditi reali di garanzia delle banche per la duplice ragione che queste non possono considerarsi "estranee" al reato, e che non é configurabile alcuna tutela delle altrui situazioni soggettive incidenti su cose qualificate dalle norme repressive dell'usura come illecite in modo assoluto ed intrinsecamente criminose, la cui unica destinazione, per volontà espressa del legislatore, è costituita dall'utile pubblico, in quanto, in caso contrario, si finirebbe per attribuire un vantaggio all'autore dell'usura, dato che in tal modo, ammettendo che le banche possono far valere la prelazione sui beni dati in pegno, si renderebbe possibile l'estinzione delle obbligazioni dei soggetti interessati, i quali conseguirebbero, così, quell'illecito profitto che la legge penale intende negar loro.

Peraltro, sul punto non può negarsi che nel concetto di “appartenenza” debbano intendersi inclusi, oltre al diritto di proprietà, anche i diritti reali di garanzia e quantunque le banche debbano ritenersi estranee al reato, la confisca prevista per i gravi delitti di cui all'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 costituisce una sorta di espropriazione per pubblico interesse, che determina il trasferimento a titolo originario dei beni nel patrimonio dello Stato, sicché il legislatore, operando un preciso bilanciamento d’interessi, ha scelto di attribuire prevalenza all'interesse pubblico sulle posizioni giuridiche soggettive individuali in modo da impedire a chiunque di trarre vantaggio da proventi che non abbiano una lecita origine economica o, peggio, siano il prodotto del delitto di usura.

Disciplina, questa, ex art. 644 ultimo comma c.p. rafforzata dall'art. 1 della L. 7.3.1996 num. 108 e dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306/92 introdotto dall'art. 2 del d.l. 20.6.1994 n. 399 convertito nella L. 8.8.1994 n. 501, che ha rafforzato l'interpretazione che esclude la tutela dei terzi titolari di un diritto reale di garanzia e configura la confisca come una forma di espropriazione per pubblico interesse, identificato in una generale finalità di prevenzione penale, che consentirebbe finanche l'ablazione, senza alcun ristoro, degli eventuali diritti dei terzi sul bene confiscato.

Su tale non irrilevante questione, derivante anche da indirizzi differenti delle varie sezioni della S. Corte, è stato pure richiesto l'intervento autorevole delle Sezioni Unite (cfr. Cass. pen., sez. Unite, 08-06-1999 (28-04-1999), n. 9 - Pres. Bile F - Rel. Silvestri G - Bacherotti - P.M. (diff.), Abbate A.), anche per conseguire, nell'ipotesi di riconosciuta tutela del terzo, una interpretazione uniforme in ordine alle forme con le quali la tutela stessa deve essere realizzata.

Infatti, un attento riesame della specifica questione offre puntuali e univoci elementi di giudizio per ritenere che la linea interpretativa talora seguita nella giurisprudenza di legittimità debba essere precisata e ben delimitata, confermando la parte che corrisponde ad una corretta lettura della legge processuale ed espungendo, nel contempo, quelle implicazioni che risultano affatto incompatibili con il sistema processuale penale.

In particolare, l'indirizzo in esame deve essere ribadito nel punto relativo all'affermazione che l'Amministrazione finanziaria dello Stato deve partecipare al procedimento di esecuzione avente ad oggetto la confiscabilità o non di un bene, non essendo contestabile che - per effetto del provvedimento ablatorio che determina il trasferimento del bene nel patrimonio disponibile dello Stato - l'Amministrazione ha un evidente interesse alla decisione sull'incidente, dalla quale può derivare alla stessa, in modo diretto ed immediato, un pregiudizio o un vantaggio giuridicamente apprezzabile.

Né mai potrebbe assumere permeante rilievo il fatto che rispetto alle cose confiscate, sulle quali grava il diritto reale di garanzia, non sussistano le situazioni di “appartenenza” ai terzi (alle Banche) e di loro “estraneità al reato”, in quanto, pur essendo incontestato che nessun addebito di compartecipazione nell'attività delittuosa venga mosso ai suddetti terzi, tuttavia così non si attua una mancata limitazione degli effetti della confisca ai solo diritti spettanti sulle cose al soggetto attivo del reato, una volta soddisfatti i diritti dei creditori pignoratizi, dato che, come da noi già in precedenza osservato, benché nel concetto di “appartenenza” debbano intendersi inclusi, oltre al diritto di proprietà, anche i diritti reali di garanzia e quantunque le banche debbano ritenersi estranee al reato, tuttavia la confisca prevista per i gravi delitti di cui all'art. 12 sexies del d.l. n. 306 del 1992 costituisce una sorta di espropriazione per pubblico interesse, che determina il trasferimento a titolo originario dei beni nel patrimonio dello Stato, in quanto il legislatore, operando un preciso bilanciamento di interessi, ha scelto di attribuire prevalenza all'interesse pubblico sulle posizioni giuridiche soggettive individuali in modo da impedire a chiunque di trarre vantaggio da proventi che non abbiano una lecita origine economica o, peggio, siano il prodotto del delitto di usura.

 La questione di cui stiamo discutendo, data la sua delicatezza e la sua portata altamente incisiva nei di diritti dei terzi estranei al reato, è stata affidata per la sua uniforme risoluzione alle Sezioni Unite, onde stabilire se la confisca in materia di usura, prevista dall'art. 644, ultimo comma c.p., sostituito dall'art. 1 della l. 7.3.1996, n. 108, determini o non l'estinzione del diritto reale di garanzia sulle cose confiscate e, in caso negativo, quali siano le forme mediante le quali deve essere assicurata la tutela del terzo.

Orbene, mentre sul punto riguardante le modalità di salvaguardia del diritto del terzo sulle cose confiscate è registrabile un effettivo contrasto di decisioni, sul primo punto sussiste piena concordanza nella giurisprudenza della S. Corte, che risulta univocamente orientata nel senso che la confisca prevista dall'art. 240 c.p. non travolge i diritti reali di garanzia dei terzi, per cui al fine di verificare se quest'ultimo orientamento giurisprudenziale consolidato debba essere seguito anche in caso di confisca in materia di usura, è necessario accertare preliminarmente quali siano le caratteristiche strutturali e funzionali di tale particolare misura di sicurezza patrimoniale e in quale rapporto essa si trovi con la figura generale di confisca prevista dall'art. 240 c.p..

L'art. 644, ultimo comma c.p. stabilisce che “nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”.

La disposizione rappresenta l'espressione di una precisa linea di politica criminale della legislazione degli ultimi anni tradottasi nell'introduzione di forme speciali di confisca al dichiarato intento di contenere diffusi fenomeni di criminalità economica o di criminalità organizzata.

Le c.d. confische speciali si caratterizzano, rispetto a quella generale regolata dall'art. 240 c.p., per l'accentuazione sia della finalità general-preventiva sia di quella sanzionatoria, per l'obbligatorietà della misura e per l'ampliamento dell'oggetto.

Tali peculiari connotazioni sono indubbiamente riscontrabili nella confisca prevista dall'ultimo comma dell'art. 644 c.p., che corrisponde, difatti, ad un'ipotesi di confisca obbligatoria, la cui disciplina deroga in più punti le regole generali dettate dall'art. 240 c.p., dalle quali si discosta soprattutto nella parte in cui prevede che siano colpiti beni, denaro, utilità non direttamente collegati con il reato, dei quali il reo abbia la disponibilità anche per interposta persona, per un importo pari agli interessi, vantaggi o compensi usurari, e nella parte in cui rafforza la tutela della vittima dell'usura, contribuendo ad assicurarle in via prioritaria, rispetto all'acquisizione dei beni stessi nel patrimonio dello Stato, l'effettività del diritto alle restituzioni e al risarcimento dei danni.

L'indubbia specialità della confisca regolata dall'ultimo comma dell'art. 644 c.p. non vale, tuttavia, a rendere la misura completamente autonoma dalla disciplina generale posta dall'art. 240 c.p., dovendo al contrario ritenersi - in piena consonanza con l'opinione comunemente seguita in dottrina - che essa s’innesta, pur sempre, sulla regolamentazione di diritto comune, che resta, perciò, applicabile nei punti non derogati dalle norme speciali: con la conseguenza che, non rinvenendosi alcuna eccezione sulla specifica questione, anche la confisca prevista per il delitto di usura soggetta alla disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 240 e che essa incontra, perciò il limite costituito dalla appartenenza dei beni a soggetti estranei al reato, dei quali il reo non abbia la disponibilità diretta o per interposta persona.

La necessità di fare capo alla disciplina dettata dall'art. 240, comma 3 c.p. anche in tema di confisca disposta per il delitto di usura giustifica il richiamo all'indirizzo costantemente seguito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il concetto di “appartenenza”, al quale il terzo comma del citato art. 240 assegna la funzione di limite della confisca, non può essere circoscritto al diritto di proprietà, essendo la sua portata estesa ai diritti reali di godimento e di garanzia, che sopravvivono, perciò, alla misura di sicurezza patrimoniale (tra le tante cfr. Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994, Comit Leasing s.p.a. in proc. Longarini, rv. 199174; Cass., Sez. III, 24 marzo 1998, Galantino, rv. 210749; Cass., Sez. II, 14 ottobre 1992, Tassinari, rv. 193422).

Già in epoca risalente questa Corte ha chiarito che la presunzione di pericolosità che giustifica la confisca inerisce non alla cosa in sé, ma alla relazione in cui essa si trova con il criminale, sicché qualora il diritto di quest'ultimo sia ridotto o compresso dai diritti che terzi possono vantare sulla cosa, per realizzare il fine specifico della misura di sicurezza è sufficiente privarlo dei residui diritti che egli ha sul bene confiscato, senza necessità di sacrificare anche i diritti che sulla cosa hanno i terzi, la cui tutela, oltre che in un generale precetto dell'ordinamento giuridico, trova, dunque, una particolare giustificazione nella inutilità del sacrificio dei loro diritti per il perseguimento dei fini propri della confisca (Cass., Sez. I, 20 dicembre 1962, Stringari).

Queste argomentazioni hanno rappresentato l'immutata base logica e giuridica per la soluzione del problema della confisca sulle quali sia stato costituito un diritto di pegno regolare a favore di terzi, essendo registrabile su tale specifica questione un orientamento assolutamente uniforme nell'escludere che l'applicazione della misura di sicurezza patrimoniale possa determinare l'estinzione dell'altrui diritto reale di garanzia, sicché questo deve essere considerato come una forma di “appartenenza” della cosa, cui inerisce il c.d. diritto di seguito (tra le tante cfr. Cass., Sez. Un., 18 maggio 1994, Comit Leasing s.p.a. in proc. Longarini, rv. 199174, cit.; Cass., Sez. II, 15 maggio 1992, Tosarelli, rv. 190789; Cass., Sez. I, 8 luglio 1991, Mendella, rv. 187903; Cass., Sez. III, 30 novembre 1978, Giorgi, rv. 140566; Cass., Sez. II, 9 ottobre 1970, Cassa di Risparmio di Roma, rv. 115723).

Lo stesso principio è stato affermato, rispetto alla confisca prevista dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306/92, con riferimento all'ipoteca iscritta sull'immobile confiscato (Cass., Sez. I, 10 giugno 1994, Moriggi, rv. 198942) e, per la confisca ex art. 240 c.p., con riguardo al privilegio automobilistico di cui al r.d. 15.3.1927, n. 436 (Cass., Sez. IV, 7 marzo 1985, Costa, rv. 168435) ed alla compattezza di tale orientamento, che non ha mai subito deroghe nel riconoscimento che la confisca non può sacrificare i diritti reali di terzi sulla cosa, fa riscontro l'enunciazione di identici principi ad opera della giurisprudenza civile di questa Corte in materia di confisca amministrativa, che - pur essendo connotata da finalità e da presupposti tutt'affatto particolari - rappresenta, pur sempre, un istituto contiguo alla confisca penale per il meccanismo traslativo attraverso il quale opera e per la funzione preventiva e repressiva di illeciti: anche sul tale tema, infatti, si è stabilito che la confisca non fa venire meno i diritti di garanzia costituiti sulla cosa a favore di terzi (Cass. civ., Sez. Un., 30 maggio 1989, n. 2635; Cass. civ., Sez. I, 17 dicembre 1987, n. 9399; Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 1978, n. 811; Cass. civ., Sez. III, 30 maggio 1967, n. 1207).  Deve, dunque, riconoscersi che la giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, è consolidata nel senso che nessuna forma di confisca può determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituititi sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito.

Pur non avendo espresso esplicito dissenso dal consolidato indirizzo giurisprudenziale, la Sezione rimettente ha, però, implicitamente ma inequivocamente, posto in dubbio la perdurante attendibilità di tale linea interpretativa, ponendo il quesito se la tutela dei terzi titolari di un diritto reale di garanzia possa o non essere mantenuta a fronte della speciale disciplina della confisca prevista per il delitto di usura dagli artt. 644, ultimo comma c.p. e 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, ed a sostegno della soluzione negativa è stata richiamata la   prevalenza delle esigenze di tutela della collettività, salvaguardate dalla confisca rispetto all'eventuale pregiudizio del terzo, quanto la qualificazione della misura patrimoniale in esame come “una sorta di espropriazione per pubblico interesse”, corrispondente ad una generale finalità di prevenzione penale, “che consentirebbe sinanco l'ablazione, senza alcun ristoro, degli eventuali diritti dei terzi sul bene confiscato”.

Tale tesi, che pur ha trovato un'eco in talune decisioni giurisprudenziali di merito, però non può essere condivisa, in quanto è smentita da convergenti elementi logici e sistematici in base ai quali le stesse Sezioni Unite hanno riaffermato il costante indirizzo giurisprudenziale favorevole al riconoscimento della tutela dei diritti reali di garanzia costituiti a favore dei terzi sulle cose oggetto della confisca, non sussistendo nel vigente sistema normativo alcun argomento in grado di attribuire una plausibile base giustificativa all'opinione contraria alla salvaguardia dei diritti dei terzi.    Infatti non pare conferente il riferimento alla confisca quale modo di acquisto a titolo originario ed al riguardo deve precisarsi che il carattere originario della fattispecie traslativa, sebbene posto in dubbio da taluna dottrina, è stato sottoposto di recente ad acuta riflessione critica nella giurisprudenza civile della Corte di Cassazione, nella quale è stato rilevato che “al di là di tralaticie enunciazioni di natura meramente definitoria e classificatoria”, la reale causa giuridica del trasferimento deve essere individuata alla luce della effettiva disciplina legale dell'istituto ed è stato precisato che la confisca, compresa quella regolata dall'art. 240 c.p., dà luogo “ad un acquisto a favore dello Stato, in relazione al bene confiscato, non altrimenti definibile che come derivativo proprio in quanto esso non prescinde dal rapporto già esistente fra quel bene e il precedente titolare, ma anzi un tale rapporto presuppone ed è volto a far venir meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l'attuare il trasferimento del diritto dal privato (condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose) allo Stato” (cfr. Cass. civ., Sez. I, 3 luglio 1997, n. 5988).

Del resto, anche a voler tenere ferma l'opinione tradizionale che riconduce la confisca nella categoria dei modi di acquisto a titolo originario, deve comunque escludersi che tale classificazione possa far derivare dalla misura di sicurezza patrimoniale l'effetto di determinare l'estinzione degli “iura in re aliena” dei quali siano titolari soggetti diversi da quello nei cui confronti è esercitata la pretesa punitiva, dal momento che la fattispecie traslativa si connota nel senso della originarietà, per l'unica ragione che il trasferimento del diritto si realizza autoritativamente, indipendentemente dalla volontà del precedente titolare e su basi esclusivamente legali.    Il che non significa, tuttavia, che il trasferimento stesso possa avere ad oggetto un diritto di contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare, per cui, in altri termini, la confisca, quale che sia la configurazione che voglia adottarsi, investe il diritto sulla cosa nella esatta conformazione derivante dalla peculiare situazione di fatto e di diritto esistente all'epoca del provvedimento, con l'ovvia conseguenza che lo Stato, quale nuovo titolare di esso, non può legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità.

Tali notazioni trovano inequivoca conferma nella funzione della confisca, la cui causa giuridica non è costituita dall'acquisizione del bene al patrimonio dello Stato, con il sacrificio dei diritti dei terzi, ma è identificabile, invece, nell'esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso con l'autore del reato e di sottrarlo alla sfera di disponibilità di quest'ultimo, tanto che l'acquisizione del bene allo Stato è una conseguenza della sottrazione e non già l'obiettivo della confisca, il cui “fine primario e immediato è la spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa ... e l'acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituisce soltanto una conseguenza necessaria di tale spoliazione” (cfr. Cass., Sez. I, 20 dicembre 1962, Stringari), di tal che il richiamo al bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato, risolto dalla legge con la prevalenza attribuita al primo sul secondo, può essere pertinente soltanto nell'ottica della specifica funzione che tipicizza la confisca e, quindi, ha un senso rispetto ai diritti del condannato sulla cosa e non anche riguardo alle situazioni giuridiche soggettive dei terzi.

Queste stesse riflessioni contribuiscono a rivelare che non sono neppure producenti le analisi ricostruttive che fanno perno sulla nozione di provvedimento ablatorio e di espropriazione per pubblico interesse, trattandosi di tentativi di trasposizione sul terreno della confisca di istituti e di fenomeni giuridici che possono avere una qualche utilità soltanto sul piano meramente classificatorio e descrittivo, ma non possono legittimare la contaminazione tra discipline legali totalmente divergenti quanto a presupposti e finalità.

Peraltro e sotto altro profilo, proprio la normativa in materia di espropriazione regola espressamente la sorte dei diritti su cosa altrui, stabilendo che questi non possono impedire gli effetti del provvedimento ablatorio e che, una volta pronunciata l'espropriazione, tutti i diritti anzidetti si possono far valere non più sul fondo espropriato, ma sulla indennità che lo rappresenta (art. 52, comma 1 e 2 l. 25.6.1865, n. 2359), dal qual concetto deriva che pure se dovesse ritenersi praticabile il riferimento alla disciplina dell'espropriazione per pubblico interesse, dovrebbe, comunque, riconoscersi che il diritto reale di garanzia e la prelazione che lo assiste potrebbero essere fatti valere dal creditore sulle somme ricavate dalla liquidazione delle cose confiscate.

L'intrinseca criminosità della cosa che attribuisce alla confisca l'effetto di escludere la sopravvivenza di qualsiasi diritto dei terzi, corrisponde ad una nozione ben definita nella quale, in base alle regole generali poste dall'art. 240 c.p., sono riconducibili le “cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato” (comma 2 n. 2), sempreché tali attività non siano consentite neppure con autorizzazione amministrativa (comma 4), per cui è palese che nel caso di specie il riferimento alla categoria delle cose oggettivamente ed intrinsecamente criminose ha valore meramente assertivo e non è convalidato da alcun elemento di riscontro normativo, essendo manifesto che ai certificati di deposito confiscati non può assegnarsi il connotato della pericolosità “ex se”, indipendente, cioè, dalla identificazione del soggetto cui appartengono, e che la confiscabilità dipende unicamente dalla relazione in cui essi si trovano col responsabile del delitto di usura, ditalché l'obbligo di confisca viene meno nell'ipotesi di “appartenenza” di detti certificati a persone estranee al reato.

Peraltro, nella giurisprudenza della S. Corte è stato chiarito che la misura di sicurezza patrimoniale non estingue la garanzia reale e che, a seguito del soddisfacimento del creditore garantito, l'Amministrazione dello Stato subentra nel credito verso il debitore-reo, proprietario del bene confiscato, in virtù delle disposizioni sulla surrogazione legale ex art. 1203 c.c. (Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 1978 n. 811) ed in applicazione di tale principio deve, quindi, riconoscersi che la tutela del diritto di pegno e la sua resistenza agli effetti della confisca non comporta l'estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato, ma determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio, dato che al creditore garantito subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore per conseguire le somme che non ha potuto acquisire perché destinate al creditore munito di prelazione pignoratizia.

Ma la sola riconducibilità del diritto reale di garanzia nella nozione di “appartenenza” di cui all'art. 240, comma 3 c.p. non basta, però, a giustificare l'intangibilità della posizione giuridica soggettiva e l'insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca, atteso che l'applicazione delle regole generali poste dallo stesso art. 240 implica, altresì, che la cosa confiscata deve appartenere, nel senso dianzi chiarito, a “persona estranea al reato” ed il concetto di “estraneità” è stato variamente inteso nella giurisprudenza di legittimità, essendo stato interpretato, talora, nel senso della mancanza di qualsiasi collegamento, diretto o indiretto, con la consumazione del fatto-reato, ossia nell'assenza di ogni contributo di partecipazione o di concorso, ancorché non punibile (Cass., Sez. I, 6 novembre 1995, Amadei, rv. 202757 e 202756; Cass., Sez. VI, 21 febbraio 1994, Gentilini ed altri, rv. 198479), e altre volte, nel senso che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità (Cass., Sez. II, 14 dicembre 1992, Tassinari, rv. 193422, cit.; Cass., Sez. III, 19 gennaio 1979, Ravazzani, rv. 141690).

E su tal ultimo aspetto, poi, particolare rilevanza assume l’attività di soggetti che banche non sono, ma delle quali esplicano sostanzialmente la funzione e che danno luogo ad una abusiva attività finanziaria, di cui all'art. 132,d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, che, secondo quanto è stato già stabilito (Cass. pen., Sez. II, 8 gennaio 1998, n. 5285, P.M. in proc. Nesso, m. CED. 209.597), in base al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia si perfeziona allorquando l'agente pone in essere una delle condotte indicate dall'art. 106 del medesimo decreto (concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, assunzione di partecipazioni, prestazione di servizi a pagamento, intermediazioni in cambi, tutte meglio specificate dal D.M. Tesoro 6 luglio 1994) inserendosi abusivamente nel libero mercato (sottraendosi, così, al controllo di affidabilità e di stabilità) ed operando indiscriminatamente tra il pubblico, il che comporta la necessità che la predetta attività sia professionalmente organizzata con modalità e strumenti tali da prevedere e consentire la concessione sistematica di un numero indeterminato di mutui e finanziamenti, rivolgendosi ad un numero di persone potenzialmente vasto e realizzandosi, così, quella latitudine di gestione tale da farla trasmigrare dal settore privato a quello pubblico e ricondurla, quindi, nell'ambito di operatività della legge bancaria, ed occorre aggiungere, per meglio definire la fattispecie criminosa in oggetto, che quando si fa riferimento all’offerta di servizi di finanziamento o di intermediazione di cambi al “pubblico” dei potenziali utenti e fruitori, il termine non deve essere necessariamente inteso come sinonimo di collettività indifferenziata di persone, interessate all’attività finanziaria per gli scopi più diversi, ma può essere considerato anche come comprensivo di una limitata cerchia di persone operanti in un determinato settore, e perciò individuabili in concreto in quanto restino in quel determinato ambito, senza, peraltro, che occorra il finanziamento o il diverso tipo di attività, attuati a loro favore, debbano anche dagli utenti essere destinati all'acquisto di beni di consumo o di servizi diretti a realizzare indispensabili finalità personali, commerciali o professionali, giacché anche finalità di tipo diverso possono venire in considerazione, quali quelle puramente voluttuarie e finanche moralmente riprovevoli, venendo queste a caratterizzare solo indirettamente l’attività finanziaria abusiva.

            Di conseguenza, dato che l'attività di credito può essere svolta anche da parte di un singolo professionista al di fuori di una struttura societaria (art. 121 del t.u. n. 385 del 1993) e che detta attività bene può essere programmata e predisposta per una schiera limitata di persone (argomento ex art. 106, 4° comma, stessa legge, che prevede l'esercizio del credito "ristretto" ai soci di una società), ponendo in essere in tal modo operazioni analogicamente catalogabili nel novero del contratto di sconto bancario,.

- avv. Alfonso Maria Parisi - Messina - giugno 2001 -

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