Leonardo Tamborini, Profili penali della masterizzazione di supporti informatici

Masterizzare un programma informatico non è come detenere un programma masterizzato o masterizzare musica. La diversità di trattamento si evince dalla lettura degli artt. 171- bis (che tutela i programmi) e 171- ter (che tutela la musica e le immagini) della legge 633/1941 sul diritto d'autore.

Prima di analizzare le due disposizioni e i campi da esse regolati occorre notare che, mentre le due fattispecie della detenzione (171- bis comma 1 prima parte e 171- ter comma 1 lett. d ) riguardano solo supporti tutelati dalla Siae, quelle della duplicazione (171- bis comma 1 seconda parte e 171- ter comma 1 lett. a ) si estendono a qualsiasi programma od opera, compresi quelli per i quali il d.P.C.M. 338/2001 non prevede l'apposizione del contrassegno Siae.

Le norme che sanzionano la duplicazione abbracciano, dunque, anche gli album fotografici famigliari e i programmi a vario titolo disponibili in Internet ( open source , freeware , shareware, public domain o no copyright ), salvo il consenso dell'autore, che esclude il reato. Si ritiene, infatti, che il consenso, laddove non è richiesto il contrassegno, faccia venir meno il carattere “abusivo” della condotta, elemento esplicitato al principio di entrambe le disposizioni.

Il consenso dell'autore non può, ovviamente, avere alcuna rilevanza dove vi è obbligo di contrassegno e, dunque, tutela della Siae: la plurioffensività della condotta (contro l'autore ma anche contro la Siae) comporta per l'autore la perdita della esclusiva disponibilità del diritto. Ciò spiega la mancanza dell'espressione “abusivamente” in entrambe le norme che regolano l'ipotesi della detenzione.

Ma l'inserimento utile ed elegante di questo avverbio è la ciliegina… sul pasticcio, come vedremo di seguito.

1. Programmi informatici (art. 171- bis )

La duplicazione e la detenzione sono entrambe regolate dall'art. 171- bis . La prima parte della norma, come modificata dall'art. 13 legge 248/2000, punisce: “Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto”. La seconda parte, invece, punisce chi: “ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione…” (ipotesi che per brevità chiamiamo della detenzione).

L'interpretazione di questa seconda parte è resa problematica dalla stridente presenza di due complementi di fine: il primo, “ai medesimi fini”, sembra richiamare il fine di profitto della prima parte, il secondo “a scopo commerciale o imprenditoriale” sembra limitare il dolo specifico a queste due sole finalità (la seconda delle quali, peraltro, pleonastica). La lettura restrittiva è preferibile: poiché i due incisi sono inconciliabili occorre negare significato a uno dei due e, senza scomodare il principio del favor rei , è più difficile ignorare il secondo, più specifico e collocato di seguito al verbo, che il primo. Ma ancor più rispettosa dei principi classici di ermeneutica è la lettura che dà simultanea considerazione lessicale a tutte le espressioni: la prima (fine di profitto) delimitata dalla seconda (scopo commerciale o imprenditoriale). In altre parole, è richiesto quel particolare fine di profitto che è il fine commerciale. Un'altra interpretazione che, comunque, toglie ogni valore prescrittivo al primo inciso.

Si può concludere che, mentre la duplicazione è reato se è finalizzata profitto, la detenzione richiede il più limitato fine commerciale o imprenditoriale. La differenza di trattamento non è di poco conto se si considera che, nella consolidata giurisprudenza, il fine di profitto è quasi inteso alla stregua di una clausola di stile (cfr., ex plurimis : Cass., 14-02-1990, Bevilacqua: “Il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, in qualsiasi soddisfazione o godimento che l'agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione”; in materia di tutela del diritto d'autore vedi Cass., sez. III, 25-06-2001, Ashour: “In tema di detenzione di prodotti privi di contrassegno Siae, la modifica del primo comma dell'art. 171- bis legge 633/1941, apportata dall'art. 13 legge 248/2000, che ha sostituito al dolo specifico del «fine di lucro» quello del «fine di trarne profitto», comporta un'accezione più vasta, che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale, e amplia pertanto i confini della responsabilità dell'autore”), mentre il fine di commercio o imprenditoriale richiede lo scambio con contropartita economica (anche diversa dal denaro).

La differenza di trattamento assume maggiore rilievo nella pratica processuale per il fatto che è difficile provare la duplicazione fuori dalla flagranza o dalla quasi flagranza. Consegue la derubricazione in semplice detenzione di tutti i casi in cui la duplicazione non può essere dimostrata.

2. Musica e immagini (art. 171- ter )

Per musica e immagini l'art. 171- ter , a differenza dell'art. 171- bis , richiede lo stesso dolo specifico sia per la duplicazione sia per la detenzione, che sono penalmente rilevanti solo se avvengono “ per uso non personale” e “a fini di lucro” (la prima perfettamente rientrante nella seconda e, dunque, pleonastica), sulla falsariga di quanto previsto dall'articolo precedente in tema di detenzione di programmi.

Restano di rilevanza penale solo i fatti finalizzati allo scambio lucroso, il quale presuppone una spesa e un ricavo. Il lucro, a differenza del profitto, non può consistere, infatti, in una qualsiasi utilità. La nozione di “fine di lucro”, forse, è più ristretta anche di quella di “fine commerciale”, che non richiede spesa e ricavo ma solo il vantaggio di uno scambio. Perché, comunque, non sia stata adottata la stessa espressione dell'articolo precedente, scelta che avrebbe evitato lo sforzo esegetico appena accennato, resta una delle domande cui è difficile dare una risposta ma cui solo si può dare un ordine.

3. Conclusioni

Si può concludere che:

1) masterizzare o detenere programmi, musica o immagini masterizzati non è reato salvo che siano a scopo commerciale o che la duplicazione abbia a oggetto programmi informatici

2) il consenso dell'autore vale solo se i supporti non tutelati dalla Siae

Perché tali regole si trovino esposte in centinaia di parole, alcune delle quali prive di senso giuridico (sopra abbiamo individuato almeno tre pleonasmi), altre incomprensibilmente non coordinate tra loro (vedi ancora supra , e si potrebbe aggiungere: perché l'aggravante del comma 2 dell'art. 171- ter non riguarda più chi detiene per la vendita ma chi pone in commercio?), altre ancora manifestamente sovrabbondanti che sembrano estrapolate più da un dizionario dei sinonimi e dei contrari che da una gazzetta ufficiale (“duplica... importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione / trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico / introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, o distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o comunque cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio, fa ascoltare in pubblico / fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali…”: davvero c'era bisogno di tutti questi verbi?) sono interrogativi che, non trovando adeguata risposta, si trasformano in preoccupazioni; perché la duplicazione di programmi è trattata in modo diverso e più severo rispetto alla detenzione di programmi e alla duplicazione e detenzione di musica e immagini è altro interrogativo che non può trovare risposta nemmeno nella dietrologia che Bill Gates conta più di Eros Ramazzotti.

Certo è che la legge 633/1941 presenta un testo martoriato da recenti e continui interventi (l'ultimo dei quali, il d.l. 72/2004, risale al marzo scorso) che aggiungono freneticamente lettere, parole, pene, articoli e commi con desinenze latine, a discapito del disegno organico della disciplina, come testimonia la clamorosa vicenda della depenalizzazione involontaria della contraffazione delle smart card compiuta con il d.l.vo 373/2000 e superata dalla legge 22/2003.

La rincorsa della legge di tutela del diritto d'autore dietro alla fulminea evoluzione tecnologica non è agevolata dall'uso questa tecnica legislativa. E il distacco sembra inesorabilmente aumentare.

- dott. Leonardo Tamborini, Sostituto procuratore presso il Tribunale di Massa - aprile 2004

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