Corte
di Cassazione, Sezione II Penale,
Sentenza 29 novembre 1999 - 22 gennaio 2000, n. 5808
(con nota di Andrea Guido)
CORTE
DI CASSAZIONE
Sez. II, sent. 29.11.1999, n. 5808 (dep. 22.1.2000)
Pres. Zingale - Est. Laudati - P.M. Fraticelli (concl. diff.) - Hezzernberges
Termini processuali in materia penale - Restituzione nel termine per proporre impugnazione - Notifica del provvedimento effettuata nelle ipotesi di cui all'art. 175 comma 2 seconda parte c.p.p. - Mancanza di prova circa la volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti - Ammissibilità.
Nell'ipotesi in cui la notifica dell'estratto contumaciale della sentenza o del decreto penale di condanna sia stata effettuata a norma degli artt. 159, 161 comma 4 o 169 c.p.p. mediante consegna di copia al difensore, unica condizione ostativa all'accoglimento dell'istanza di rimessione in termini per proporre appello oppure opposizione - tempestivamente proposta nel termine di cui all'art. 175 comma 3 c.p.p. - è rappresentata dalla volontaria sottrazione dell'imputato alla conoscenza degli atti del procedimento, ravvisabile soltanto in un comportamento diretto alla specifica finalità di non ricevere. (C.p.p., art. 175). (mass. red.)
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte
Rilevato
che con l'ordinanza di cui in epigrafe il Tribunale ha rigettato l'incidente
di esecuzione proposto dall'Hezzerberges, condannato con sentenza del 13.4.1993,
confermata in data 12.3.1998 dalla Corte di Appello di Genova, ritenendo la
ritualità della notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di
appello, effettuata presso il difensore attesa l'impossibilità di consegna
al domicilio dichiarato e l'inapplicabilità dell'istituto della rimessione
in termini;
che ha proposto ricorso per Cassazione la difesa deducendo inosservanza di legge
sia con riguardo alla ritenuta validità della notifica, attesa l'omissione
di ricerche penitenziarie che avrebbero fatto acclarare lo stato di detenzione
dell'imputato, sia con riferimento alla denegata restituzione in termini, non
vertendosi in ipotesi di volontaria sottrazione dell'interessato alla conoscenza
degli atti del procedimento;
che, sotto il primo profilo, la censura deve ritenersi infondata, non essendo
imposte, qualora risulti impossibile la consegna dell'atto al domicilio dichiarato,
quelle ricerche penitenziarie che lo stesso difensore definisce "utili"
(e quindi opportune, semmai, ma non doverose); che l'impossibilità di
notifica cui fa riferimento il comma 4 dell'art. 161 c.p.p. "deve ritenersi
correttamente acclarata allorquando, eseguite le ricerche sul luogo mediante
le opportune informazioni, l'ufficiale notificatore non sia stato in grado di
individuare il domicilio" (Cass. Sez. III 6.10.93 Milia);
che nella specie, come risulta anche dallo stesso atto con cui è stato
proposto l'incidente di esecuzione, il tentativo di notifica dello estratto
contumaciale presso l'abitazione dei genitori del ricorrente, ha avuto, in data
25.3.98, esito negativo, essendo in loco stata trovata altra famiglia;
che tanto, senza necessità di ulteriori ricerche rispetto a quelle già
eseguite in relazione al decreto di citazione per il giudizio di appello, legittimava
la notifica presso il difensore, atteso che il successivo stato di detenzione
non implicava l'impossibilità di comunicare all'ufficio la variazione
rispetto al luogo oggetto della prima dichiarazione;
che, per contro, risulta fondata la censura relativa al diniego della restituzione
in termini; che il Tribunale ha motivato il rigetto sul punto richiamando il
regime di semilibertà dell'Hezzernberges ritenuto tale da non impedirgli
una nuova dichiarazione di domicilio; che se l'osservazione è conforme
alla ritenuta validità della notifica, in riferimento all'ultima parte
del comma 4 dell'art. 161 c.p.p., la stessa risulta priva di pregio quanto alla
richiesta di rimessione in termini;
che il chiaro dettato dall'art. 175 c. 2 C. P. P. evidenzia nell'ultima parte
che qualora la sentenza contumaciale sia stata notificata mediante consegna
al difensore nei casi previsti dall'art. 159, 161 c. 4 e 169, ostativa alla
remissione è solo la circostanza che l'imputato si sia volontariamente
sottratto alla conoscenza degli atti del procedimento;
che non può per tanto farsi riferimento alla colpa determinante la mancata
effettiva conoscenza del provvedimento, come previsto per l'ipotesi generale
di tardiva presa di cognizione, contemplata nella prima parte del suddetto comma;
che, indipendentemente dalla mancata apposizione di una virgola - che avrebbe
forse ancor meglio fatta chiarezza - prima della parola "OVVERO",
l'uso della disgiuntiva rende palese che l'ipotesi della sentenza contumaciale
notificata al difensore rende operante la sola condizione prevista nell'ultima
parte del comma in questione; che questa deve essere intesa nel senso che la
parte abbia "tenuto un comportamento diretto alla specifica finalità
di non ricevere" (Cass. 12.12.91 Quirini);
che si impone sul punto dell'annullamento dell'impugnata ordinanza dovendo il
Tribunale valutare alla luce di quanto dianzi osservato, se un tale comportamento
sia o meno riscontrabile nella fattispecie e se sussistano i presupposti per
la restituzione in termini.
PQM
annulla l'impugnata ordinanza limitatamente alla restituzione in termini e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Genova per nuovo esame.-
Nota di Andrea Guido
Con
la pronuncia in epigrafe, la Corte di Cassazione ha analizzato l'istituto della
rimessione in termini per proporre impugnazione od opposizione avverso sentenza
o decreto penale di condanna nella specifica ipotesi in cui la notifica del
provvedimento sia stata effettuata mediante consegna di copia al difensore ai
sensi degli artt. 159, 161 comma 4 oppure 169 c.p.p..
In generale, secondo l'art. 175 comma 2 seconda parte c.p.p., nelle fattispecie
ora indicate, il condannato può beneficiare della rimessione in termini
alla sola condizione di non essersi sottratto volontariamente alla conoscenza
degli atti del procedimento.
Sotto il profilo procedurale, la relativa richiesta deve essere depositata presso
la cancelleria del giudice competente per l'impugnazione (peraltro, "la
presentazione di un'istanza di restituzione in termini ad organo incompetente
non costituisce causa di inammissibilità, ma comporta in capo al giudice
adìto "solo l'obbligo di rilevare la propria incompetenza e trasmettere
gli atti al giudice competente": cfr. Cass. Pen., Sez. V. sent. 23.2.1995,
n. 310 (c.c. 1.2.1995) ric. Buono, in Arch. nuova proc. pen., 1995, p. 718)
entro dieci giorni dalla effettiva conoscenza del provvedimento, salvo che l'istanza
sia proposta congiuntamente a questioni circa la sussistenza del titolo esecutivo.
In tale ultima ipotesi, invero, la competenza a provvedere spetta al giudice
dell'esecuzione ai sensi dell'art. 670 comma 3 c.p.p.. Questi, infatti, se non
deve dichiarare la non esecutività del provvedimento e la richiesta non
è già stata proposta al giudice dell'impugnazione, decide sulla
restituzione. In tema, la Suprema Corte ha precisato che la disposizione citata
va intesa nel senso che "il divieto di riproporre al giudice dell'impugnazione
l'istanza già presentata a quello dell'esecuzione opera esclusivamente
qualora quest'ultimo si sia pronunciato, mentre non è inibito all'interessato
rivolgersi al giudice dell'impugnazione fintanto che il giudice dell'esecuzione,
cui in precedenza sia stata proposta la medesima domanda, non abbia ancora deliberato":
cfr. Cass. Pen., Sez. V, 2.8.1996, n. 2729 (c.c. 3.6.1996), ric. La Russa, in
Arch. nuova proc. pen., 1997, p. 248). Il termine di dieci giorni è stabilito
a pena di decadenza, e la Suprema Corte ha rilevato che lo stesso deve essere
rispettato in entrambi i casi descritti "occorrendo assicurare il medesimo
regolamento unitario e mantenere, in particolare, la decadenza stabilita dei
dieci giorni, di cui al comma 3 dell'art. 175 c.p.p., ad evitare che dalla opzione
in ordine alla competenza, affidata alla discrezionalità dell'istante,
derivi una disciplina difforme del requisito temporale di ammissibilità
dell'istanza, quando questa venga proposta ai sensi dell'art. 670 comma 3 c.p.p."
(in questi termini, cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 27.5.1995, n. 843 (c.c.
8.3.1995), ric. Tounsi, in Arch. nuova proc. pen., 1995, p. 637). La pronuncia
del giudice dell'esecuzione è necessariamente assunta all'esito di contraddittorio
ex art. 666 c.p.p, in quanto connessa ad un incidente in executivis; laddove
la richiesta sia stata proposta al giudice impugnazione, la decisione è
assunta per solito de plano. E' stata sollevata questione relativa alla necessità
di instaurare un procedimento camerale prodromico alla decisione, di recente
risolta dalla Suprema Corte in senso negativo: "sulla richiesta di restituzione
nel termine, il giudice non deve provvedere con la procedura in contraddittorio,
ma de plano, senza alcuna formalità" (così, cfr. Cass. Pen.,
Sez. IV, sent. 13.7.1998, n. 1329 (c.c. 23.4.1998), ric. Strazzera, in Cass.
Pen., 1999, n. 1320, p. 2617, con nota di GARUTI, Brevi note in tema di restituzione
nel termine per impugnare, ivi, p. 2618, cui si rinvia per gli opportuni richiami
relativi al - per vero non cospicuo - dibattito dottrinale sul tema). In senso
conforme, cfr. Cass. Pen., Sez. III, sent 15.4.1998, n. 703 (c.c. 19.2.1998),
ric. Oliva, in Arch. nuova proc. pen., 1998, p. 414, secondo cui "attesa
l'assenza, nell'art. 175 c.p.p., che disciplina il procedimento di restituzione
in termini, di qualsivoglia richiamo, ancorché implicito, alle forme
di cui all'art. 127 c.p.p., legittimamente la decisione sulla richiesta di restituzione
in termini per la proposizione di appello viene adottata con provvedimento de
plano"; vedi altresì Cass. Pen., Sez. V, sent. 21.5.1996, n. 1332
(c.c. 19.3.1996), ric. Losacco, in Arch. nuova proc. pen., 1996, p. 934, che
ha ritenuto l'applicabilità del rito de plano richiesto dall'art. 591
c.p.p. per la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione "perché
il procedimento di restituzione nel termine si configura come incidentale rispetto
a quello di impugnazione e la tardività costituisce una delle cause di
inammissibilità dell'impugnazione stessa"). L'ordinanza che respinga
la richiesta di restituzione nel termine è immediatamente ricorribile
in Cassazione; nel caso opposto, l'impugnazione può essere effettuata
solo in via differita, unitamente alla sentenza che decide il successivo giudizio
di impugnazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, ord. 29.3.1993, n. 603 (c.c. 22.2.1993),
ric. P.M. in proc. Fabbri, in Arch. nuova proc. pen., 1993, p. 818: "è
inammissibile l'impugnazione proposta in via autonoma avverso l'ordinanza concessiva
della restituzione in termini per la proposizione dell'impugnazione, anziché
unitamente alla sentenza che decide sull'impugnazione o sull'opposizione").
L'accoglimento della richiesta produce i seguenti effetti: 1) l'imputato è
rimesso in termini per impugnare la sentenza a decorrere dalla notifica dell'ordinanza
concessiva del beneficio; 2) ove sia stato instaurato rapporto esecutivo, ai
sensi dell'art. 175 comma 7 c.p.p., è ordinata la scarcerazione dell'interessato;
3) il corso della prescrizione del reato è interrotto dalla data in cui
era stata effettuata la notifica del provvedimento sino alla pronuncia dell'ordinanza
restitutoria (art. 175 comma 8 c.p.p.).-
Così brevemente delineato l'istituto in esame, è ora possibile
enucleare alcune brevi notazioni circa le condizioni fattuali per ottenere la
restituzione nel termine per impugnare nella ipotesi presa in considerazione
dalla sentenza in epigrafe.
Le forme di notifica legittimanti la richiesta concretano ipotesi in cui la
conoscenza effettiva e quella legale del provvedimento divergono in modo significativo.
In altri termini, si tratta dei casi in cui viene consegnata copia della sentenza
o del decreto penale di condanna al difensore (di fiducia o d'ufficio) perché
l'imputato è dichiarato irreperibile (escluso in questo caso il decreto
penale ex art. 460 comma 4 c.p.p.), perché risiede all'estero e non ha
dichiarato domicilio in Italia oppure perché non è stato possibile
effettuare la notifica al domicilio dichiarato od eletto, e quindi il destinatario
non ha diretta conoscenza dell'atto emesso dall'Autorità Giudiziaria.
In siffatti casi, il legislatore ha delineato un meccanismo restitutorio agile
ed efficace, diretto a contemperare l'esigenza di consentire all'interessato
di esperire le impugnazioni previste dalla legge avverso provvedimenti giurisdizionali
di cui non ha avuto effettiva conoscenza nei termini stabiliti dalla legge,
con quella di impedire che grazie a tale istituto possa essere artificiosamente
accorciato il decorso della prescrizione, come detto interrotto ai sensi dell'art.
175 comma 8 c.p.p.. In estrema sintesi, la notifica del provvedimento mediante
consegna di copia al difensore consente la definizione del procedimento penale
ed il passaggio in giudicato del medesimo. La riapertura del giudizio presuppone
la originaria ritualità della notifica del provvedimento ed è
subordinata ad una tempestiva richiesta (nel brevissimo termine di dieci giorni,
ritenuto peraltro soggetto alla sospensione feriale dei termini: sul punto specifico,
cfr. Cass. Pen., Sez. V, sent. 14.12.1998, n. 6336 (c.c. 25.11.1998), ric. Costantini,
in Arch. Nuova proc. pen., 1999, p. 312) da parte del condannato che, da un
lato, lucra la possibilità di fare valere le proprie ragioni avanti al
giudice dell'impugnazione e, dall'altro, subisce la sospensione del termine
prescrizionale dalla data della notifica della sentenza o del decreto a quella
della notifica dell'ordinanza restitutoria.
Oltre alla tempestività della richiesta, unica condizione cui la legge
subordina la concessione del beneficio è che l'interessato non si sia
"sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento".
La lettera della legge ha significato inequivoco, poiché limita l'inapplicabilità
dell'istituto alle condotte dell'interessato specificamente finalizzate a non
prendere cognizione delle decisioni emesse a proprio carico, e ciò a
prescindere da eventuali profili di colpa. In questo senso, merita segnalazione
una recente decisione di merito, che, pur rilevando estremi colposi nella condotta
dell'interessato, che non aveva provveduto a comunicare il mutamento del domicilio
dichiarato alla Polizia Giudiziaria, ha comunque concesso il beneficio della
restituzione nel termine atteso che la notifica dell'estratto contumaciale era
stata effettuata ai sensi dell'art. 161 comma 4 c.p.p. (cfr. Appello Genova,
Pres. ed Est. Odero, ord. 15.11.1999, Sow, inedita). Per converso, la Suprema
Corte ha esattamente individuato profili di volontaria sottrazione alla conoscenza
degli atti nella condotta del fallito - imputato di bancarotta fraudolenta -
allontanatosi dal comune di residenza senza autorizzazione del giudice delegato,
ai sensi dell'art. 49 legge fallimentare (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 1.6.1996,
n. 2410 (c.c. 20.5.1996), ric. Benini, in Arch. nuova proc. pen., 1996, p. 934).-
In altri termini, perché sia negata la restituzione nel termine per impugnare,
occorre venga positivamente accertato un comportamento diretto a sottrarsi agli
effetti dei provvedimenti emessi dall'Autorità Giudiziaria. Tale interpretazione,
per la verità largamente condivisa presso i giudici di merito, come testimoniato
- seppur indirettamente - dall'esiguo numero di decisioni di legittimità
sul punto, trova oggi esplicita conferma da parte della Suprema Corte che, con
la decisione in epigrafe, ha annullato un provvedimento che - a quanto è
dato di capire - aveva negato la restituzione individuando profili di mera colpa
a carico del condannato. Tale arresto giurisprudenziale conferma una ormai risalente
pronuncia, puntualmente richiamata in motivazione, relativa ad una fattispecie
in cui ad un giostraio, condannato per emissione di assegni a vuoto, era stato
contestato di non essersi positivamente attivato per prendere cognizione dell'esito
del procedimento penale. La Corte già in allora aveva stabilito che la
corretta interpretazione della seconda parte del secondo comma dell'art. 175
c.p.p. era quella in oggi ribadita con la pronuncia edita in epigrafe, ossia
che la restituzione nel termine potesse essere respinta solo in caso di accertamento
di una condotta diretta alla specifica finalità di non ricevere. In particolare,
cfr. Cass. Pen., Sez. III, sent. 14.2.1992, n. 3786 (c.c. 12.12.1991), ric.
Quirini, in Arch. nuova proc. pen., 1992, p. 810 ed in Cass. Pen., 1993, n.
444, p. 707: "nel caso di notifica con il rito degli irreperibili, la restituzione
nel termine ai fini dell'impugnazione può essere negata soltanto quando
l'interessato si sia posto volontariamente in condizioni di rendere a lui stesso
impossibile la conoscenza dell'atto, tenendo un comportamento diretto alla specifica
finalità di <non ricevere>". L'odierna decisione si conforma
a tale precedente, non senza effettuare una puntuale esegesi del dettato legislativo,
rilevando (correttamente) la mancanza di una virgola tra le due parti del secondo
comma dell'art. 175 c.p.p., ma sottolineando come l'uso della disgiuntiva "ovvero"
(redatto in caratteri maiuscoli nell'originale manoscritto della decisione)
non possa non indicare una chiara differenziazione tra le due parti della proposizione
legislativa.-
Occorre infine segnalare come la giurisprudenza di legittimità si fosse
attestata su posizioni analoghe con riferimento al codice di rito previgente.
Sul punto, in particolare, cfr. Cass. Pen., Sez. V, sent. 13.12.1989 (c.c. 4.10.1989),
Del Deo, in Cass. Pen., 1991, n. 1372, p. 1809, con nota adesiva di DE STEFANO,
Nuova disciplina della restituzione in termini e giudizio in contumacia, cui
può farsi riferimento anche per comprendere la genesi dell'attuale disciplina
dell'istituto, direttamente derivante da obblighi internazionali assunti dalla
Stato italiano. Secondo tale decisione, ai sensi dell'art. 183 bis c.p.p. 1930,
introdotto dalla L. 22/1989, con il quale erano state apportate modifiche all'istituto
della restituzione nel termine attraverso l'anticipazione della disciplina attualmente
vigente, nell'ipotesi di sentenza notificata mediante consegna di copia al difensore
a norma degli artt. 170, 173 oppure 177 bis, ai fini del diniego della restituzione
nel termine per impugnare "non rileva la colpa come tale dell'imputato,
ma occorre che egli abbia tenuto una condotta diretta a sottrarsi volontariamente
alla conoscenza degli atti del processo, così da mettersi, per fatto
proprio, in condizione di non poter venire a conoscenza della sentenza stessa".
In motivazione, la Suprema Corte aveva correttamente chiarito che in tali casi
la restituzione nel termine per proporre appello "non esclude ed anzi presuppone
che la pronuncia sia stata emessa nel rispetto del principio del contraddittorio
e sia stata quindi regolarmente notificata all'imputato e che questi tuttavia
non ne abbia avuto effettiva conoscenza".-
Conclusivamente, la sentenza edita in epigrafe appare condivisibile, avendo
applicato correttamente un istituto diretto a permettere la piena esplicazione
del diritto di difesa in ipotesi in cui la conoscenza del provvedimento emesso
dall'Autorità Giudiziaria è meramente teorica, e non certo effettiva.-
avv. Andrea Guido - novembre 2000
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