Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Imperia,
Sentenza 10 - 26 aprile 2000, n. 82/00

N. 102/99 R.G.N.R.
N. 10055/99 R.G.G.I.P
N. 82/00 Reg. Sent.
Data del deposito: 26/4/2000

TRIBUNALE DI IMPERIA
UFFICIO DEL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Giudice di Imperia Dr.ssa Laura Russo, all'udienza del 10/4/2000, ha emesso la seguente

SENTENZA

nei confronti di:
B. S. nato a _______ il ________ residente ed elettivamente domiciliato in ________, difeso ed assistito dall'Avv. ________ del foro di _________
LIBERO - PRESENTE

IMPUTATO

a) art. 643 cp perché, per procurarsi profitto, abusando dello stato di deficienza psichica di D. M., che si trovava ricoverata presso il reparto neurologia dell'ospedale, la induceva ad emettere assegni (in data 22/10/98 per L. 440 mila; in data 24/10198 per L. 240 mila; in data 22111198 per L. 200 mila) a proprio favore e con danno per la predetta; in Imperia, Costarainera fra il 21 e il 24/10198; 22111/98;
b) art. 624 cp, 61 n. 11 cp, 61 n. 5 cp, 61 n. 2 cp, perché, al fine di procurarsi profitto, nonché allo scopo di commettere il reato che segue, si impossessava di una carta di credito e di una tessera bancomat sottraendoli alla predetta D.; fatto aggravato perché commesso approfittando delle condizioni psico-fisiche della D., ricoverata in ospedale, ed inoltre abusando della situazione di convivenza con la predetta;
e) art. 81 cpv cp, 12 L. 197/91, 61 n. 5 cp, perché, al fine di trarne profitto, senza esserne titolare, indebitamente utilizzava in più occasioni la carta bancomat e la carta di credito appartenente a D. M., per il prelievo di denaro e per la prestazione di servizi, anche falsificando la firma della titolare, per i seguenti importi:
- L. 1.234.290 per acquisti effettuati tramite tessera bancomat imputati al c/c _________ nel mese di ottobre 1998;
- L. 1.586.845 per acquisti effettuati tramite tessera bancomat su c/c 15811 nel mese di novembre 1998;
- L. 416 mila per acquisti effettuati tramite carta di credito intestata a D. M. fra il 25/711998 e il 12/1011998, anche mediante contraffazione della firma della titolare;
- L. 6.500.000 per prelievi effettuati tramite carta di credito fra il luglio ed il novembre 1998;
- L. 5.750.000 per prelievi effettuati tramite carta bancomat nell'ottobre - novembre 1998;
in Imperia e zone limitrofe, nelle date sopra specificate;
d) art. 485 cp, 491 cp, 646 cp perché falsificava un assegno dell'importo di L. 1 milione, tratto su ___________, a firma apocrifa D. M., e lo metteva all'incasso appropriandosi della predetta somma;
in Imperia, 9/10/98 ed in data vicina.

************

CONCLUSIONI DELLE PARTI:
Rito abbreviato

MOTIVI DELLA DECISIONE

In data 1.3.99 D. M. sporgeva denuncia-querela nei confronti di B. S., allegando:
di aver convissuto con quest'ultimo dal novembre 1997 al novembre 1998;
che nel corso della convivenza il B. si era ripetutamente fatto prestare da essa D. somme di denaro;
che dal 21.10.98 al 24.10.98 essa D. subiva un ricovero presso l'ospedale di Costarainera a seguito di un tentativo di suicidio;
che D. il ricovero il B., all'insaputa di essa D., si era appropriato dei di lei bancomat e carta di credito, che erano rimasti nella casa comune, e che venivano utilizzati per cospicui acquisti, come veniva successivamente appurato dall'esame degli estratti conto:
che, tornata all'abitazione comune, vi restava presumibilmente sino al 5 novembre successivo, allorché decideva di tornare all'abitazione della madre B. L.;
che si avvedeva di aver lasciato bancomat e carta di credito presso l'ex abitazione comune; richiesta la restituzione al B., questi consegnava la sola carta di credito, affermando di non aver rinvenuto il bancomat;
che nei giorni successivi il B. di recava a farle visita nell'abitazione della madre e, nell'occasione, si impossessava nuovamente della carta di credito, che veniva utilizzata il 6, 8 e 21.11;
che il 22.11 essa D. veniva nuovamente ricoverata presso l'ospedale di Costarainera in stato di etilismo; lo stesso giorno il cognato della D. si recava dal B. per farsi restituire le "carte di credito": l'imputato consegnò solo la cartaSì e, il giorno successivo, sostenendo il averlo casualmente rinvenuto, anche il bancomat;
che solo successivamente, allorché le proprie condizioni di salute erano migliorate, essa D. si era resa conto di come con le proprie carte erano stati fatti numerosi prelievi e acquisti presso esercenti che neppure conosceva.
Esperite le dovute indagini, richiesto dal P.M. il rinvio a giudizio per i reati in epigrafe, all'udienza preliminare la parte
offesa si costituiva parte civile; l'imputato chiedeva di essere giudicato con rito abbreviato; il giudice, acquisito il consenso del P.M., applicata la disciplina transitoria di cui all'art. 220 d.lgs. n. 51/98, disponeva procedersi con rito abbreviato e, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe riportate, decideva come da dispositivo secondo i seguenti motivi.
Le accurate indagini svolte hanno consentito di ben delineare lo svolgimento dei fatti.

[E' omessa la parte riguardante le circonvenzione di incapace]

A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi per ogni altra imputazione contestata.
Anzitutto, gli estratti conto versati in atti confermano l'utilizzo, nei periodi indicati nei capi di imputazione, della carta bancomat e della carta di credito appoggiati al conto corrente della D.
Inoltre, la testimonianza resa dalla D. appare verosimile, scevra da contraddizioni, costante e uniforme nell'accusa.
La Suprema Corte ha più volte indicato i criteri di valutazione delle dichiarazioni della parte offesa dal reato, affermando che pur dovendo essere oggetto di attenta analisi critica, specie laddove la parte offesa é portatrice di un interesse economico, esse non necessitano di riscontri in senso tecnico ex art. 192 co. 3 c.p.p.
Nel presente processo sono, peraltro, presenti numerosi elementi di riscontro esterno a quanto affermato dalla D.:
1. sono stati escussi a s.i.t. i negozianti presso i quali sono stati effettuati gli acquisti contestati: tutti hanno dichiarato di conoscere il B. come loro assiduo cliente, hanno precisato che talora egli effettuava pagamenti con bancomat o carta di credito, hanno confermato che mai la D. é stata loro cliente o ha comunque effettuato acquisti presso di loro (testi M., L., V., D. B., L. R., C.);
2. sono stati acquisiti agli atti gli originali degli scontrini bancomat e carta di credito degli acquisti contestati, successivi al 21.10.98 data del primo ricovero della D.;
3. che il B. abbia fatto costante riferimento al denaro della D. per i propri acquisti emerge, con tutta evidenza, dalle dichiarazioni rese dal titolare del negozio "XXXXXXX", tale M. D., al quale l'imputato doveva quasi cinque milioni: il M. conferma quanto sostenuto dalla parte offesa in ordine alle modalità di estinzione di tale debito, ovvero di essersi recato presso l'abitazione della madre della D. e di aver ricevuto da B. un assegno della sua fidanzata;
4. é certamente probante la circostanza che, mentre la D. di trovava ricoverata (e risulta che il B. non si sia mai recato a trovarla: di talché, non é neppure ipotizzabile una qualche forma di consenso), l'imputato abbia effettuato col
bancomat della D. acquisti per lire 615.000 in due diversi negozi nonché diversi prelievi di contante.
Di talché, le dichiarazioni rese dalla madre e dal cognato della D., lungi dal fondare unico elemento di riscontro, costituiscono - solo - un ulteriore indizio probatorio nell'ampio quadro ricostruito dal P.M. In particolare, le s.i.t. rese da B. L. confermano solo, in realtà, la condizione di prostrazione psico-fisica della figlia; mentre quanto affermato da A. S. é preciso in punto restituzione carta di credito e bancomat, riferendo che "dopo molte insistenze riuscii a farmi restituire la carta di credito ma non il bancomat, perché a suo dire il bancomat l'aveva già restituito"; in realtà, é emerso che il bancomat veniva successivamente restituito dal B. sostenendo di averlo rinvenuto per caso: evidentemente, in quel periodo l'imputato era di poca memoria.
E' ben possibile, come afferma la difesa, che B. abbia (anche) utilizzato bancomat e carta di credito con l'autorizzazione della parte offesa: tale circostanza per nulla incide - ovviamente - sui diversi e penalmente rilevanti fatti di indebito utilizzo di cui si discute.
Ma l'imputato sostiene, anche, di aver restituito il bancomat al momento della chiusura del rapporto con la parte offesa: correttamente il P.M. ha rilevato che l'imputato o nega l'utilizzo dopo la cessazione della convivenza ovvero sostiene il consenso della D., poiché le due tesi sono tra loro inconciliabili.
In effetti, può fondatamente sostenersi che il B. abbia trattenuto e abusivamente utilizzato bancomat e carta di credito della D. dopo la cessazione della convivenza: la mancanza del consenso è - evidentemente - in re ipsa, poiché non é sostenibile che la parte offesa abbia inteso lasciare nella disponibilità dell'ex-convivente (al quale attribuiva una nuova relazione affettiva con la vicina di casa) il proprio conto corrente.
Comprensibile è poi la mancanza di immediata contestazione degli estratti conto, posto lo stato psico-fisico della D. nel periodo considerato, stato che certamente non le poneva il controllo sul proprio conto corrente come prima incombenza da svolgere.

Quanto al capo d), risulta che B. abbia posto l'assegno all'incasso, mentre la D. ha disconosciuto la propria firma; pare a questo giudice che, senza ricorrere a una perizia, sia rilevabile ictu oculi (v. le lettere "a", "e", "r") la difformità tra la firma apposta sul predetto assegno e quelle con certezza apposte dalla D. (denuncia, verbali s.i.t.). La complessiva credibilità e attendibilità della parte offesa consente di ritenere provato quanto contestato dal P.M., ovvero che il B. abbia falsificato la firma della stessa D. per incassare la somma indicata di lire un milione.
La difesa non può ragionevolmente sostenere una sorta di "malanimo" della parte civile deducendo dalla denuncia di furto sporta il 13.8.1999 (a indagini sostanzialmente concluse, poiché la richiesta di rinvio a giudizio é del 7.9.99): il motivo di ostilità, perché possa rilevare, deve evidentemente preesistere alla denuncia che dà origine al procedimento penale, mentre è del tutto comprensibile (non compete a questo giudice stabilire se ciò sia anche giustificabile) che, successivamente alla presa d'atto di un comportamento illecito nei propri confronti, si tenda ad attribuire ulteriori illeciti alla medesima persona. Del resto che nella parte offesa difetti un particolare astio emerge anche dalla circostanza che nella denuncia ella ha omesso particolari - poi positivamente verificati nel corso delle indagini - che avrebbero potuto corroborare le proprie affermazioni, ad esempio in ordine all'aver la D. sostenuto le spese dell'abitazione comune sino alla cessazione della convivenza (dall'esame del conto corrente del B. risultano uscite per pagamenti utenze dal novembre 98).
Infine, non pare meritare alcun commento l'osservazione della difesa, in base alla quale se non si fosse interrotta la convivenza la D. non avrebbe certo sporto querela: é forse il caso di ricordare che può sporgersi querela per furto nei confronti del coniuge separato?
Quanto all'elemento soggettivo, le modalità dei fatti come emergono dagli atti impongono di ritenere nel B. la coscienza e volontà della sottrazione delle carte della D. (che, si ricorda, in quel momento si trovava ricoverata), dell'indebito loro utilizzo, nonché della falsificazione dell'assegno di cui al capo d) e della conseguente appropriazione della somma.
Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, diversamente da quanto concluso dal P.M., ritiene questo giudice che i fatti contestati al capo b) debbano qualificarsi come furto aggravato e
non come appropriazione indebita. Infatti, l'art. 646 c.p. presuppone una situazione legittima di possesso, ovvero non un semplice rapporto materiale tra l'agente e la cosa, ma un potere di fatto autonomo sulla cosa stessa, esercitato al di fuori della sfera di vigilanza e di custodia del titolare; tant'é che non é necessario che l'agente abbia la materiale disponibilità della cosa, essendo sufficiente la disponibilità giuridica.
Non pare che la condotta attribuita all'imputato al capo b) possa qualificarsi quale interversione del possesso; il bancomat e la carta di credito sono titoli nominativi, in ipotesi utilizzabili dal solo intestatario; tuttavia, é comune esperienza che l'utilizzatore possa essere persona diversa dall'intestatario ma tale evenienza avviene col consenso (espresso o implicito) del firmatario, il che certamente non rende l'utilizzatore possessore della tessera, poiché non gliene conferisce la disponibilità giuridica: in ipotesi, accertata la divergenza tra utilizzatore e titolare, il creditore potrebbe anche rifiutare il pagamento ovvero (come in realtà succede, a salvaguardia della rapidità delle transazioni) richiedere all'utilizzatore un documento per risalire a un eventuale indebito utilizzo.
Ritiene, pertanto, questo giudice che la sottrazione del bancomat e della carta di credito vada correttamente qualificata quale ipotesi di furto.
Corretta pare la qualificazione giuridica della contestazione di cui al capo c), nonché dì falso e di conseguente appropriazione indebita di cui al capo d).
Alla luce di tali risultanze istruttorie deve, pertanto, essere affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati subb b), c), d) come originariamente contestati, ricorrendone nella condotta tutti gli elementi costitutivi.
Ricorrono, altresì, le circostanze aggravanti di cui all'art. 61 nn. 11, 5, 2 c.p. contestate al capo b): vi é connessione teleologica tra il furto e l'indebito utilizzo delle carte di debito e di credito; vi é, certamente, l'approfittamento delle condizioni della parte offesa, ricoverata in ospedale, sia con riferimento alla sottrazione sia con riferimento all'indebito utilizzo; vi é, infine, l'abuso della relazione di coabitazione che, ovviamente, ha favorito la sottrazione delle carte.

Ritiene questo giudice siano concedibili le attenuanti generiche stante l'incensuratezza dell'imputato; tali attenuanti possono ritenersi solo equivalenti alle aggravanti contestate tenuto conto delle modalità di condotta particolarmente pervicace e insensibile nei confronti della parte offesa nonché del danno economico arrecato.
Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., ritiene questo giudice possa indicarsi la pena base per il reato più grave di cui al capo b) anni uno di reclusione e lire 1.000.000 di multa tenuto conto della giovane età del B.; tale pena viene aumentata a anni due e mesi sei di reclusione e lire 1.500.000 di multa: tale elevato aumento (anni uno per il capo c) e mesi sei per il capo d)) si giustifica evidenziando come il furto sia stato - in realtà - solo il momento propedeutico alla commissione degli ulteriori ripetuti fatti di reato, continuati per un cospicuo periodo di tempo, e che hanno costituito l'effettiva causa del danno cagionato alla parte offesa. Tale pena viene ridotta, ex art. 442 c.p.p., a anni uno e mesi otto di reclusione e lire 1.000.000 di multa.
Segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
Può concedersi all'imputato la sospensione condizionale della pena attesa la sua incensuratezza e potendosi presumere che si asterrà dal commettere in futuro ulteriori reati.
Quanto alle domande di parte civile, deve certamente riconoscersi alla D. tanto il danno patrimoniale (consistente quantomeno nelle somme sottratte attraverso l'indebito utilizzo di bancomat e carta di credito e l'incasso dell'assegno di cui al capo d)) quanto il danno morale, quest'ultimo di grado decisamente elevato per le modalità della condotta, particolarmente odiosa, posta in essere dal B..
Si ritiene, peraltro, di pronunciare la sola condanna generica al risarcimento, e rimettere le parti nanti il giudice civile ai fini dell'effettiva determinazione del danno che, in questa sede, non pare possibile; sono, infatti, pendenti tra le parti altre questioni risarcitorie, di talché occorre unitariamente valutare tutte le questioni civilistiche compresi i versamenti effettuati dal B. (allegati per almeno lire 8.000.000) ai fini della loro corretta imputazione per l'estinzione dei vari debiti; si
aggiunga che, essendo stata pronunciata sentenza assolutoria per il capo a), sarà onere della parte offesa dimostrare, nanti il giudice civile, l'abuso e/o la falsità nel riempimento degli assegni ivi indicati. In tal senso, non pare accoglibile neppure la domanda sulla provvisionale.
Segue, infine, la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile, liquidate come in dispositivo.

P. Q. M.

Visti gli artt. 438 e ss., 530 c.p.p.,

ASSOLVE

B. S. dal reato ascritto sub a) perché il fatto non sussiste.
Visti gli artt. 438 e ss., 533 e 535 c.p.p.,

DICHIARA

B. S. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi b), c) e d) e ritenuta la continuazione tra i reati contestati, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, e diminuita la pena ai sensi dell'art. 442 c.p.p., lo condanna alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione e lire #1.000.000# di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visto l'art. 163 c.p., dispone la sospensione condizionale della pena inflitta per anni cinque alle condizioni di legge.
Visto l'art. 539 c.p.p., condanna B. S. al risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti dalla parte offesa, e rimette le parti nanti il giudice civile per la loro liquidazione.
Visto l'art. 541 c.p.p., condanna B. S. alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile che liquida in complessive lire #2.544.304#.

Imperia, li 10.4.2000

Il Giudice
(dott. Laura Russo)

Depositato in Cancelleria il
26 aprile 2000

[torna alla primapagina]