Tribunale di Oristano, in composizione monocratica,
Sentenza 4 dicembre 2000

REPUBBLICA ITALIANA
Tribunale di Oristano


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Oristano in composizione monocratica

alla pubblica udienza del 4 dicembre 2000 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei confronti di:

N. C., nato a _________ il ____________, residente in __________, via _________, LIBERO PRESENTE, rappresentato e difeso dagli avv. L. e P., quali difensori di fiducia;

IMPUTATO

Del reato previsto e punito dall'art. 612 C.P. per avere, sottoscrivendo quale vice segretario provinciale della A. una lettera inviata alla R. Italia in cui veniva preannunciata una possibile iniziativa tesa a far desistere gli associati A. dall'effettuare acquisti d'auto presso la L. A. S.R.L., (concessionaria R. di Oristano), di fatto minacciato a L. A., che veniva a conoscenza di tale missiva tramite la sede nazionale R. il 19.10.1999, un male ingiusto.

Con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa R. L., Vice Procuratore Onorario delegato per l'udienza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso in data 4.5.2000 il Pubblico Ministero citava a giudizio l'imputato per rispondere del reato di cui all'epigrafato capo di imputazione.
All'udienza del 4.12.2000, la persona offesa veniva ammessa alla costituzione di parte civile; in assenza di questioni preliminari ex art. 491 CPP, il Pubblico Ministero procedeva alla relazione introduttiva, illustrando i fatti che hanno condotto all'odierno processo. Chiedeva, quindi, l'ammissione delle prove dedotte nelle liste, in particolare l'esame dei testi indicati.
La parte civile si associava alle istanze istruttorie del PM e si opponeva all'ammissione dei testi dedotto nelle liste depositate dalla difesa, per asserita irrilevanza della prova.
La difesa chiedeva a sua volta l'ammissione delle prove a discarico, in particolare il controesame dei testi dell'accusa. Chiedeva inoltre l'ammissione dei testi indicati nelle liste e produceva i documenti indicati nel verbale di udienza.
Il Tribunale, accertata l'ammissibilità e la rilevanza a norma dell'art. 190, 1° comma, CPP, ammetteva le prove dedotte dalle parti.
L'istruzione dibattimentale si svolgeva con le deposizioni dei testi L. A., P. A., D. M., P. G., i quali rendevano le dichiarazioni riportate nel verbale di udienza.
Conclusa l'istruzione dibattimentale, le parti concludevano come segue:
* il PM per la condanna alla pena di lire 100.000 di multa;
* la parte civile per la condanna alla pena di giustizia, al risarcimento del danno derivante dal reato e alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile;
* la difesa per l'assoluzione perché il fatto non sussiste.
Il Tribunale, all'esito della deliberazione, pronunciava sentenza dando pubblica lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'esito dell'istruzione dibattimentale impone l'assoluzione dell'imputato dal reato ascritto, in quanto il fatto commesso non costituisce reato.
Il fatto, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, può essere ricostruito nei seguenti termini.
In data 7.10.1999 P. A. (sentito come teste della difesa) si recava presso la concessionaria R. di Oristano, di cui è titolare l'odierna persona offesa L. A., per acquistare un'autovettura.
Il P. manifestava interesse verso un modello usato, una R. del 1992, ed iniziava le trattative per l'acquisto con S. S. (secondo quanto riferito dalla persona offesa), addetto alle vendite, dipendente del L.
Al P. veniva indicato il prezzo di lire 10 milioni e richiesta una caparra di lire un milione. Il P. accettava le condizioni di vendita e versava un acconto sulla caparra di lire 200.000, in quanto al momento non disponeva di altro contante. Il giorno dopo (8.10.1999) il P. si recava nuovamente in concessionaria e versava le 800.000 lire residue.
Dei due versamenti venivano rilasciate due quietanze regolarmente bollate, recanti la causale "deposito cauzionale sulla richiesta di una R. usata tg. XXXXX".
Secondo quanto riferito dal P. e dalla teste D. M. (fidanzata del P., che era insieme allo stesso al momento dell'acquisto) il venditore disse loro che in caso di ripensamento la caparra sarebbe stata loro restituita senza problemi.
Quattro giorni dopo il P. cambiò idea sull'acquisto, sia perché si era recato presso la concessionaria e aveva visto l'auto in officina, presumibilmente per riparazioni (mentre nel corso delle trattative gli era stato assicurato dal venditore che la stessa era "il gioiello della concessionaria"), sia perché il prezzo richiesto per l'automezzo era a suo avviso ben superiore a quello consigliato dalle riviste specializzate per un'auto di quel modello e anno di immatricolazione. Chiese quindi la restituzione della caparra, proponendo in subordine l'acquisto al prezzo di lire 4.500.000 (quotazione del modello di autovettura in esame indicato dalla rivista Quattroruote).
Le richieste del P. venivano respinte.
Il L. dichiarava in udienza che era prassi commerciale usuale della sua concessionaria richiedere ai clienti una caparra pari circa al 5 - 10% del prezzo del veicolo, e comunque non inferiore a lire un milione; che tale somma aveva la funzione di "bloccare la macchina", ossia di impedirne la vendita ad altri interessati, e che pertanto veniva trattenuta dalla ditta nel caso il cliente cambiasse idea sull'acquisto. Dichiarava inoltre che detta somma poteva comunque essere utilizzata dal cliente nell'arco dell'anno quale acconto per l'acquisto di altro veicolo presso la concessionaria.
Precisava ancora la persona offesa che normalmente, all'atto della conclusione favorevole delle trattative di acquisto, il contratto veniva redatto per iscritto su moduli predisposti, mentre nel caso di specie, stante la temporanea indisponibilità della modulistica, il contratto era stato concluso in forma orale, salvo il rilascio delle menzionate quietanze.
Stante il rifiuto della concessionaria di restituire la caparra (rifiuto confermato anche al padre del teste, P. G., che si era recato in concessionaria per muovere rimostranze), il P. aderiva in data 14.10.1999 all'associazione di difesa consumatori A. (copia del modulo di adesione in atti), e in pari data conferiva "mandato di rappresentanza" a N. C., odierno imputato, responsabile della sezione di Oristano della predetta associazione, incaricandolo della trattazione della vertenza insorta con il L. e conferendo allo stesso "tutte le più ampie facoltà nessuna esclusa ed eccettuata" (copia del mandato in atti).
Qualche giorno dopo l'imputato, secondo quanto riferito dal L., contattava telefonicamente la persona offesa, invitandolo alla restituzione della caparra e ammonendolo che in caso di persistenza del rifiuto si sarebbe rivolto alla sede centrale della R. in Italia, diffidando gli associati dall'acquisto di vetture presso la sua concessionaria.
Successivamente il L. veniva contattato dalla R. Italia, che gli trasmetteva via fax copia della lettera loro inviata dal N.
La lettera era del seguente tenore:

" Oggetto: vertenza ditta L. concessionario R. Oristano / sig. P. A..

La scrivente associazione consumatori A./C. sede provinciale di Oristano, che agisce a nome e per conto del sig. P., nostro associato, vi invia come da accordi presi telefonicamente con la sig. R. il 15.10.99 la documentazione in nostro possesso attinente al caso in oggetto.
Auspicando un vostro intervento, per una soluzione positiva nei confronti del sig. P., il quale ha nella sua dichiarazione ampiamente descritto la contrattazione per l'acquisto dell'auto, in cui il personale dipendente della concessionaria, e o in tutti i casi presente ed autorizzato alle contrattazioni per la vendita di auto con la clientela che si reca in detti locali commerciali, ha garantito al sig. P. che in caso di ripensamento gli avrebbero reso integralmente il deposito cauzionale versato.
Non escludiamo nel caso in cui il sig, L. A. Concessionario delle auto da voi prodotte dovesse persistere, non rendendo l'importo lasciato in deposito cauzionale, azioni che mettano in guardia tutti i nostri associati, in provincia e ovunque risiedano, dal contrattare eventuali acquisti d'auto presso la concessionaria R. di Oristano.
Restiamo in attesa di un vostro riscontro e saluto cordialmente.

Vice segretario provinciale
C. N. "

Poco tempo dopo il L., anche dietro consiglio di un ispettore della R. Italia cui aveva sottoposto il problema, restituiva al P. la somma in questione, proponendo quindi querela in data 15.12.1999 nei confronti dell'imputato.

* * *

Le considerazioni di diritto che il Tribunale ritiene di dover formulare in relazione alla fattispecie in esame sono le seguenti.
L'ipotesi accusatoria afferma che l'espressione non escludiamo nel caso in cui il sig, L. A. Concessionario delle auto da voi prodotte dovesse persistere, non rendendo l'importo lasciato in deposito cauzionale, azioni che mettano in guardia tutti i nostri associati, in provincia e ovunque risiedano, dal contrattare eventuali acquisti d'auto presso la concessionaria R. di Oristano abbia carattere minaccioso, in quanto prospettante nei confronti del L. l'ingiusto danno consistente nel calo delle vendite che subirebbe la ditta dell'imputato a seguito della campagna dissuasiva attivata dal N.
Detta tesi è, ad avviso di questo Tribunale, priva di fondamento, in quanto il comportamento "minacciato" dall'imputato, lungi dal rivestire carattere di illiceità, costituisce esercizio di un diritto, a norma dell'art. 51 C.P., e dunque priva l'espressione utilizzata nella lettera del carattere dell'antigiuridicità. In altri termini, il "male" prospettato nella citata missiva non può essere qualificato "ingiusto" per gli effetti di cui all'art. 612 C.P.
Questa conclusione risulta fondata sulle seguenti argomentazioni.
L'imputato è vice segretario provinciale della A., associazione senza scopo di lucro avente, tra le finalità associative, la tutela dei consumatori che vi aderiscono nelle vertenze e nei contrasti in cui gli aderenti possono restare coinvolti nell'acquisto di beni e servizi.
Come precisato nello statuto associativo allegato agli atti, costituisce finalità dell'associazione "la difesa, l'informazione, la formazione, l'educazione e la protezione dei consumatori, degli utenti, dei cittadini e dell'ambiente" (art. 1 Statuto).
In particolare, l'art. 4 precisa alla lettera F che tra le attività dell'associazione rientra anche il "tutelare gli interessi economici e giuridici del consumatore - utente, ivi compresa la costituzione, l'assistenza e la rappresentanza in giudizio", mentre alla lettera Q viene previsto il "promuovere la mobilitazione dei consumatori - utenti e ogni altra azione utile ad affermare gli interessi dei consumatori [...]".
Il fenomeno dell'associazionismo tra consumatori (tutelato dall'art. 18 della Costituzione), che negli ultimi anni ha conosciuto una rapida espansione, risponde all'esigenza di riaffermare la parità di trattamento tra consumatori e produttori- distributori di beni e servizi. Normalmente, difatti, sono questi ultimi soggetti, in virtù del soverchiante potere economico - contrattuale, ad imporre agli utenti le condizioni di contrattazione; attraverso l'associazionismo i consumatori possono riequilibrare in proprio favore il proprio potere negoziale, assicurando in tal modo un più equo contemperamento dei contrapposti interessi delle parti.
Della liceità del fenomeno dell'associazionismo tra consumatori non è possibile dubitare, anche perché sovente simili associazioni vengono coinvolte, con funzione consultiva, nei processi di formazione della normativa del settore, ovvero partecipano a vario titolo all'attività di organi amministrativi deputati a funzioni di vigilanza sul mercato.
La legge, d'altro canto, attribuisce alle associazioni in questione la legittimazione alla proposizione delle azioni inibitorie previste dall'art. 1469sexies C.C., e delle altre azioni previste dalla legge (1).
Una volta accertata la liceità di simili associazioni, nonché la rilevanza giuridica e istituzionale, oltre che sociale, del loro operato, appare evidente che gli atti posti in essere dagli organi dell'associazione nell'adempimento delle finalità statutarie sono del tutto legittimi e costituiscono espressione e specificazione dei diritti costituzionalmente consacrati di associazionismo (art. 18) e di libera manifestazione del pensiero (art. 21).
Se così è, deve riconoscersi a dette associazioni un diritto di informazione dei propri associati e di critica nei confronti dell'operato dei produttori e venditori di beni e servizi: in difetto di simili facoltà, l'attività dell'associazione sarebbe praticamente impossibile, con conseguente sostanziale vanificazione delle libertà costituzionali richiamate.
D'altra parte, sono ormai estremamente diffuse (oltre che pienamente lecite) pubblicazioni periodiche, riviste specializzate, siti Internet, trasmissioni radiofoniche e televisive nelle quali i comportamenti degli operatori commerciali e i prodotti e servizi da essi offerti sul mercato vengono analizzati, posti a confronto, e anche sottoposti a critiche talvolta assai severe.
Il diritto di informazione e di critica nei confronti degli operatori commerciali da parte delle associazioni di consumatori può pertanto, ad avviso di questo Tribunale, essere sostanzialmente assimilato, mutatis mutandis, a quello di cronaca e critica giornalistica, e dunque sottoposto alle stesse limitazioni: correttezza di forma, veridicità del fatto, presenza di un pubblico interesse alla diffusione della notizia (2).
Alle stesse condizioni è perciò ben possibile considerare lecita un'attività informativa rivolta non alla generalità dei consociati, ma alla ben più ristretta platea degli aderenti all'associazione: sarebbe difatti del tutto irragionevole pretendere da simile informazione un rigore maggiore di quello consentito alle comunicazioni rivolte alla generalità dei cittadini.
Ne consegue che un'associazione di consumatori ha il pieno diritto di informare gli associati, nell'ambito delle finalità statutarie e nei limiti visti, della minore o maggiore qualità di un prodotto, della maggiore o minore convenienza di una determinata offerta, e quindi anche del più favorevole o meno favorevole, o scorretto, o illecito comportamento di un determinato operatore commerciale.
Né ciò deve sorprendere, essendo ormai del tutto lecita, ad esempio, la c.d. pubblicità comparativa, nella quale un operatore commerciale presenta nominativamente ed esplicitamente i prodotti della concorrenza e ne evidenzia i difetti, a vantaggio dei propri prodotti.
Da tali premesse occorre dunque muovere per valutare la condotta posta in essere dall'imputato.
Passiamo ad analizzare l'antecedente logico fattuale dell'asserita minaccia, ossia il comportamento serbato dal venditore nei confronti del P.
E' pacifico che al momento del versamento della caparra il contratto di compravendita dell'autoveicolo si fosse validamente perfezionato per effetto della manifestazione del consenso: ciò è stato esplicitamente ammesso dal P., e quantunque il contratto non sia stato stipulato in forma scritta per asserita temporanea indisponibilità della modulistica, trattasi nella fattispecie di negozio a forma libera che si perfeziona con la semplice manifestazione del consenso.
Che la somma di lire un milione sia stata versata a titolo di caparra, essendosi perfezionato l'accordo sulla vendita del veicolo, non può essere messo in discussione, in quanto nessun rilievo cogente per il giudice ha la causale "deposito cauzionale" apposta sulla quietanza (jura novit curia).
Il deposito cauzionale è invero una figura contrattuale atipica (per nulla assimilabile al deposito di tradizione romanistica), annoverabile tra le garanzie reali dell'obbligazione, consistente nella dazione di una somma di denaro all'atto della stipulazione del contratto, a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto medesimo, normalmente fruttifera, e destinata, in caso di esatto adempimento, ad essere restituita al contraente che l'ha consegnata all'atto della conclusione del contratto. Tipico esempio di deposito cauzionale è la somma, solitamente pari a 3 mensilità, che il conduttore versa al locatore all'atto della stipulazione di un contratto relativo ad una casa di civile abitazione, a norma dell'art. 11 legge 27.07.1978 n. 392.
Nel caso di specie la somma in questione non è stata certamente consegnata con tale finalità! Essa serviva a "bloccare la macchina", impedendone la vendita a terzi, e doveva essere imputata al prezzo complessivo del veicolo. In altre parole, essa aveva la funzione di garantire l'adempimento del contratto.
E' dunque del tutto corretto qualificare la somma di denaro de qua come caparra; irrilevante è invece che si tratti di caparra confirmatoria (avente la funzione di garanzia della serietà degli intenti negoziali del contraente, operando come incentivo all'adempimento), ovvero penitenziale (con la quale il contraente acquista il diritto di recesso unilaterale): in entrambi i casi, il recesso o l'inadempimento della parte che ha versato la caparra comportano come conseguenza la perdita della somma versata (artt. 1385, 2° comma, e 1386, 2° comma, C.C.).
Ne deriva che, astrattamente parlando, la prassi commerciale serbata dall'azienda della persona offesa nella vicenda dovrebbe essere qualificata come legittima.
Tuttavia la disciplina codicistica della caparra è pienamente derogabile dalle parti. Un imprenditore, ad esempio, può legittimamente introdurre condizioni di maggior favore, impegnandosi alla restituzione della caparra in caso di ripensamento, per procacciarsi il favore della clientela.
Al P. e alla sua fidanzata il venditore, nel caso di specie, assicurò che in caso di loro ripensamento la somma sarebbe stata restituita, e poiché si trattava di soggetto autorizzato, o comunque preposto, alla vendita, non vi è dubbio che tale impegno fosse vincolante anche per il L., o che il P. non avesse motivo di dubitare della sua validità e serietà.
Il L. ha negato che il suo dipendente possa avere assunto simile impegno, ha negato che il S. abbia inteso derogare alla disciplina normativa della caparra, ammettendo soltanto che in simili casi la caparra viene posta a disposizione del cliente per un anno per l'acquisto di un altro veicolo presso la concessionaria.
Alle trattative per l'acquisto dell'autovettura erano peraltro presenti soltanto il P., la D. e il venditore (S. S.). L'audizione di quest'ultimo, sollecitata dalla parte civile a norma dell'art. 507 CPP, non è stata tuttavia ammessa dal Tribunale in quanto non "assolutamente necessaria", per i seguenti motivi.
Il P. e la D. hanno più volte ribadito che il S. promise loro la restituzione della caparra in caso di ripensamento, precisando inoltre che tale impegno fu formulato per vincere la loro titubanza alla stipulazione del contratto di compravendita del veicolo.
In senso contrario si hanno solo, come visto, le dichiarazioni del L., non presente al fatto.
E' inoltre significativa, a conferma di tale ricostruzione, la scarsa trasparenza nelle trattative di acquisto dell'autovettura, e in particolare la mancata redazione del contratto in forma scritta: è difatti inverosimile ritenere che una grossa concessionaria d'auto si trovi sprovvista, sia pure temporaneamente, di modulistica per la stipulazione di contratti di vendita di autoveicoli!
Ritiene il Tribunale che il S. abbia evidentemente formulato tale promessa al solo scopo di indurre il P. a concludere il contratto.
E' scarsamente verosimile ritenere difatti che, qualora al P. non fosse stata effettivamente rivolta tale promessa, lo stesso avrebbe insistito tanto per la restituzione della somma, giungendo ad iscriversi ad una nota associazione di consumatori e dando mandato al responsabile provinciale per la risoluzione della vertenza.
E' parimenti inverosimile ritenere che il S., qualora fosse stato citato come teste dal Tribunale ex art. 507 CPP, avrebbe, deponendo in udienza, ammesso tale comportamento scorretto, rischiando così gravi sanzioni da parte del proprio datore di lavoro ed eventuali azioni penali (nemo tenetur se detegere).
Ma la veridicità del fatto, ai fini della sussistenza dell'esimente di cui all'art. 51 C.P. in relazione al caso di specie, non deve essere valutata tanto dal punto di vista della verità storica, quanto nella diligenza posta dall'imputato nell'accertamento dei fatti. Al pari del giornalista nell'esercizio del diritto di cronaca3, difatti, il N. non aveva l'obbligo (e neppure i mezzi) per l'accertamento della verità storica, ma soltanto quello dell'ordinaria diligenza nella verifica della veridicità dei fatti esposti dal P. Obbligo di ordinaria diligenza che ha pienamente assolto interpellando le parti, esaminando la documentazione, contattando la R. Italia ai fini della bonaria composizione della vertenza.
Si deve radicalmente escludere che il N. abbia perseguito un proprio interesse personale (diverso dalla semplice gratificazione morale) nella trattazione della vertenza, non essendo emerso alcun elemento in tal senso. D'altra parte, la somma versata dal P. per aderire all'A. (lire 50.000 annue) è assolutamente inadeguata per giustificare un personale coinvolgimento dell'imputato nella controversia.
Accertato il requisito della veridicità del fatto, passiamo ad analizzare gli ulteriori requisiti necessari per il legittimo esercizio del diritto di critica e informazione.
Per quanto riguarda la forma della missiva incriminata, essa è evidentemente civile e corretta, priva di espressioni offensive. La lettera è redatta su carta intestata dell'associazione e il N. sottoscrive nella sua qualità di vice segretario provinciale.
Per quanto concerne la presenza di un apprezzabile interesse all'informazione degli associati, si osserva che in base alle considerazioni pregresse l'associazione ha il pieno diritto di informare gli associati di eventuali prassi illecite, o scorrette, o persino semplicemente meno favorevoli, poste in essere degli operatori commerciali della zona.
D'altra parte la "minaccia" rivolta dal N. verteva appunto sull'informazione degli associati, e non della generalità dei residenti nell'oristanese, e aveva ad oggetto, secondo quanto prospettato, non già il diffidare dall'acquisto di autovetture presso la concessionaria del L., sibbene l'osservare particolare cautela nella fase delle trattative.
Ne deriva che il male prospettato dal N. nella missiva inviata alla R. Italia non può essere qualificato "ingiusto", in quanto costituisce legittimo esercizio dell'attività di informazione e di critica che l'A. vanta nei confronti dei propri associati e nei riguardi degli operatori commerciali.
Il N. deve essere dunque assolto perché il fatto non costituisce reato, per difetto di uno degli elementi costitutivi essenziali della fattispecie incriminatrice.

P.Q.M.

Il Tribunale di Oristano in composizione monocratica

* Visto l'art. 530 CPP, assolve N. C. dal reato ascritto, perché il fatto non costituisce reato.
* Visto l'art. 544, 3° comma, CPP, indica in giorni 40 il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

Così deciso in Oristano, addì 4.12.2000

Il GIUDICE
Dott. Salvatore Carboni

 

(1) In giurisprudenza, v. ad es., Trib. Palermo, 23-02-1997, Adiconsum Sicilia - Soc. Aeroviaggi, in Vita not., 1997, 704; Trib. Roma, 8 maggio 1998, Movimento Federativo Democratico c. Ania e altro, in Resp. civ. e prev. 1999, 502; Trib. Roma, 27 luglio 1998, Assoc. naz. impr. assicur. e altro, c. Movimento Federativo Democratico, in Resp. civ. e prev. 1999, 503; Consiglio Stato sez. VI, 15 dicembre 1998, n. 1884, Codacons, c. Min. trasp. e altro, in Giur. it. 1999, 627; Consiglio Stato a. gen., 17 aprile 1997, n. 59, Min. poste, in Cons. Stato 1998,I,1850 (s.m.); T.A.R. Lazio sez. II, 29 maggio 1997, n. 1053, Codacons e altro, c. Min. poste e altro, in T.A.R. 1997,I,2232; Consiglio Stato sez. IV, 7 ottobre 1997, n. 1100, Min. sanità c. Soc. Cilag., in Foro amm. 1997,2665; Consiglio Stato sez. VI, 9 agosto 1996, n. 1010, Min. ambiente c. Codacons e altro, in Foro it. 1997,III, 264;

(2) Cass., sez. III, 20-08-1997, 7747/1997, Gibilisco - Soc. Terme Crodo, in Giur. it., 1998, 1111; Cass., sez. III, 02-07-1997, 5947/1997, Soc. L'Unità - Soc. Messina, in Mass., 1997; Cass., sez. I, 07-02-1996, 978/1996, Tabocchini - Rai-Tv, in Foro it., 1996, I, 1253; Cass., sez. I, 07-02-1996, 982/1996, Rendo - Fava, in Foro it., 1996, I, 1252.
3 "I criteri ai quali occorre attenersi per valutare se l'esercizio del diritto di cronaca sia legittimo e non comporti l'illecita lesione dell'onore e della reputazione sono: a) l'utilità o l'interesse sociale a fruire delle informazioni oggetto della cronaca; b) la verità oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, dei fatti esposti; c) la necessaria adozione, da parte del giornalista, di una forma civile della esposizione dei fatti e della loro valutazione": Cass., sez. I, 07-02-1996, 982/1996, Rendo - Fava, in Foro it., 1996, I, 1252, cit.

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