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Penale.it - Francesco Gatti, Disfatta nella notte di San Valentino: brevissimi appunti critici a margine delle SS.UU. 14 febbraio 2008, n. 7208 circa la scriminante di cui all’art. 384 c.p.

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Francesco Gatti, Disfatta nella notte di San Valentino: brevissimi appunti critici a margine delle SS.UU. 14 febbraio 2008, n. 7208 circa la scriminante di cui all’art. 384 c.p.
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Le SS.UU., con la decisone che si annota, hanno risolto -con buona pace delle raccomandazioni della dottrina più attenta- l’annosa querelle sulla natura della norma di cui all’art. 384, I comma, c.p., specificandone i limiti di applicabilità, statuendo che “la causa di esclusione della punibilità per il delitto di falsa testimonianza, prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, non opera nell’ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi”.
In buona sostanza, ad avviso dei Giudici di Piazza Cavour, l’art. 384, I comma, c.p. altro non è che specificazione della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p., con medesimi presupposti, limiti, e ambiti di applicabilità.
Ad avviso di scrive, invero, la scriminante speciale è ben diversa da quella generale di cui all’art. 54 c.p., e non contiene affatto una locuzione identica a quella “pericolo non volontariamente causato, né altrimenti evitabile” ivi contenuta.
La migliore dottrina (VINCENZO MANZINI, Trattato, Vol. V, n. 1596) precisa che “la ragione di questa esimente consiste nella applicazione del principio etico giuridico: nemo tenetur se accusare, e nel riconoscimento della forza incoercibile degli affetti familiari. (…) In sostanza, la disposizione in esame prevede un’ipotesi speciale dello stato di necessità, regolata con norma che deroga a quella generale dell’art. 54, perché l’esimente in discorso, a differenza di quella contemplata nell’art. 54, è applicabile ancorché il pericolo sia stato volontariamente causato e possa essere altrimenti evitato”, ribadendo il concetto già espresso nella Rel. Min. al progetto definitivo del codice penale, Vol. V, parte II, pag. 179 in cui Alfredo Rocco chiarisce che la stessa costituisce una “estensione specifica dello stato di necessità”.
Pure FRANCESCO ANTOLISEI, in Diritto penale, parte speciale, vol. II, pag. 875 sostiene che “l’esimente in parola…viene giustificata con l’istinto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se accusare) e con l’esigenza di tener conto dei vincoli di solidarietà familiare”.
Egli aggiunge che “senza dubbio si tratta di una forma speciale dello stato di necessità e differisce dall’ipotesi tipica prevista dall’art. 54 del codice, in quanto non presuppone che il pericolo non sia stato causato dall’agente e si applica, perciò, anche allorché è stato l’agente stesso a determinare la situazione in cui si trova”. Infatti per l’Autore tra le due esimenti (quella di cui all’art. 384 c.p. e quella di cui all’art. 54 c.p.) vi è una profonda differenza sostanziale, in quanto lo stato di necessità implica l’esistenza di un conflitto di interessi di uguale natura, mentre nella scriminante di cui all’art.384 c.p., invece, si ha un conflitto tra interessi eterogenei.
Queste indicazioni, ad eccezione di qualche pur significativa pronuncia, erano state disattese invece per lungo tempo dal S.C.: infatti, quell’orientamento secondo il quale al testimone che è stato avvertito di esercitare la facoltà di astensione, non si applica la scriminante in esame si è protratto per dieci lustri a partire dalla nota sentenza della Cass. pen., Sez. III, 30 giugno 1951, Donghi, in Giust. pen., 1952, II, 965.
Esso fu interrotto -con particolare entusiasmo dalla Dottrina- da una decisione alquanto significativa: la Sentenza n. 44761 della VI Sezione penale della Cassazione pronunciata il 4/10-13/12/2001, Mariotti, con cui il S.C. aveva autorevolmente interpretato l’art. 384 c.p. in modo conforme, secondo gli Autori, al dato normativo.
Con questa decisione si statuì che “in tema di reato di falsa testimonianza, la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p. è applicabile anche quando il prossimo congiunto dell’imputato abbia operato la scelta di non avvalersi della facoltà di astenersi dal testimoniare”.
Usando le parole di Antolisei, l’Estensore sosteneva che “la libera scelta di testimoniare nell’ipotesi in cui non si eserciti, ove prevista, la facoltà di astenersi, non incidono sulla operatività della esimente dell’art. 384 c.p., che ha una sua autonomia e trova la sua giustificazione nell’istinto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e con l’esigenza di tenere conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà familiare”. Ciò in quanto “tale esimente richiama solo genericamente lo stato di necessità, perché identica è la situazione psicologica presa in considerazione, ma differisce nettamente dall’ipotesi tipica dell’art. 54 c.p., in quanto non presuppone che il pericolo non sia stato causato dall’agente. Invero, la necessità di cui all’art. 384, I comma, c.p. non si riferisce all’obbligo di rendere la testimonianza, bensì all’inevitabilità del nocumento che, senza di essa, si sarebbe verificato”.
“In conclusione -secondo la Cass., Sez. VI, 4 ottobre 2001, Mariotti- non può fondatamente sostenersi che la norma di cui al primo comma dell’art. 384 c.p. ha il suo fulcro nel dovere di testimonianza, per inferirne che non è applicabile a chi abbia deposto il falso dopo essere stato avvertito, a norma dell’art. 199 c.p., della facoltà di astenersi dal rendere la testimonianza. Tale tesi non ha alcun aggancio nel diritto positivo, riduce irragionevolmente il campo di operatività della norma, non considera soprattutto che la esimente in parola non è limitata alla falsa testimonianza, ma si estende ad altri reati, come la frode processuale o il favoreggiamento personale, nei quali -evidentemente- la necessità non può essere collegata in alcun modo alla violazione di un dovere.
Ad avviso di scrive ogni diversa interpretazione della scriminante speciale -ivi compresa quella fatta propria dalle SS.UU nella notte della disfatta di San Valentino- è incompatibile con numerose norme della Costituzione.
In primo luogo, l’irrazionale restringimento del campo di operatività della scriminante speciale di cui all’art. 384 c.p. si pone in evidente contrasto con il principio di solidarietà civile e sociale contenuto nell’art. 2 della Costituzione, e specificatamente riaffermato dall’art. 29 della Cost., che definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Inoltre, così operando si crea una ingiustificata disparità di trattamento, con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione, tra coloro i quali sono processati per reati contro l’amministrazione della giustizia (per esempio, la frode processuale o il favoreggiamento personale) nei quali la necessità non può essere collegata in alcun modo alla violazione di un dovere, e coloro che sono invece processati per il reato di cui all’art. 372 c.p.
Infine, e ciò è ben più grave, quest’anomala ed ingiustificata compressione dell’ambito di operatività della causa di non punibilità contenuta nell’art. 384 c.p. comporta una palese e subdola violazione del principio di legalità, che notoriamente trova il suo fondamento, oltre che nell’art. 1 c.p. e nell’art. 12 disp. prel. al codice civile, nell’art. 25, II comma, della Costituzione.
Palese perché, come precisato dalla dottrina più attenta e dalla sentenza Mariotti, tale tesi non ha alcun aggancio con nel diritto positivo.
Subdola perché detta interpretazione non amplia l’applicazione di una disposizione incriminatrice, ma riduce irragionevolmente il campo di operatività di una norma scriminante.
 
 
- Francesco Gatti, Avvocato in Perugia - febbraio 2008
(riproduzione riservata)
 
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