Motivi della decisione
1.   La  questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle  Sezioni Unite è la seguente: "se permanga la responsabilità da reato   dell'ente in riferimento ai fatti criminosi di falsità  nelle relazioni o  nelle comunicazioni delle società di revisione  dopo  la formale  abrogazione dell'art. 2624 c.c.,  comma 2, il cui contenuto di incriminazione è stato riscritto da altra  disposizione  del  decreto legislativo di abrogazione". 2.  Il ricorso,  come dianzi detto, investe le vicende normative della fattispecie  che   punisce  le  falsità  nelle  relazioni   o   nelle comunicazioni   delle    società  di  revisione,   disposizione   qui interessata  non  già   per  il  suo  rilievo  penale,   bensì   per l'idoneità   a   fondare   la  responsabilità  cd.  "amministrativa" dell'ente  nel cui interesse  ha agito il soggetto attivo  del  reato, secondo la previsione  introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs.  8 giugno 2001, n. 231.
Il   quesito  si  presenta apparentemente complesso  a  cagione  della  tormentata  vicenda  genetica  che ha  (sinora)  contrassegnato,  nel  nostro ordinamento, la materia della revisione contabile.
Pertanto,  in  via  preliminare, giova  alla  chiarezza  un  sommario ragguaglio su di essa.
2.1.   Le  falsità  incidenti sulle comunicazioni e  relazioni  delle società  di revisione furono introdotte nel nostro ordinamento penale dal  D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, art. 14 (norma diretta a garantire la  fedele  certificazione obbligatoria di bilancio).  Il  D.Lgs.  24 febbraio  1998, n. 58  (Testo unico delle disposizioni in  materia  di intermediazione   finanziaria, T.U.F.) riformulò  il  reato  mediante l'art.  175.  Il  riordino normativo dei reati societari, portato  dal D.Lgs.  11  aprile  2002,  n.  61, comportò  sia  la  riformulazione dell'art.   2624  cod.  civ.  sia  (art.  3)  la  loro   introduzione all'interno del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-ter  (lettere f e  g), e  cioè  nel  contesto  del  catalogo dei  cd.   "reati-presupposto", fondativi  della  responsabilità  degli  enti   conseguente  a  reato (ovviamente alle condizioni dettate dal D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5,  6  e  7  e, dunque, ad opera di persona rivestita delle qualifiche ivi    descritte  ed  al  fine  di  perseguire  interessi  e  vantaggi  dell'organismo).
2.2.  La L. 28 dicembre 2005, n. 262  (Disposizioni per la tutela  del risparmio  e  la  disciplina dei  mercati finanziari) riportò  alcune disposizioni relative ai revisori  contabili in seno al T.U.F., con la formulazione dell'art. 174-bis,  pertinente alle società  quotate  in borsa  (o a società da queste  controllate ed a società che emettono strumenti  finanziari  diffusi tra  il pubblico in  misura  rilevante) creando, in tal modo, un doppio  binario repressivo, rispetto all'art. 2624,  norma  destinata  a   reprimere il  solo  mendacio  reso  nella revisione contabile relativa a  società comuni ed articolata in reato contravvenzionale   (di   pericolo)  ed  in  fattispecie   delittuosa, caratterizzata   dalla   causazione  di  danno  patrimoniale   per   i destinatari  del messaggio  infedele dei revisori (precetti  tra  loro differenziati anche  relativamente al momento soggettivo).
2.3. A siffatto quadro è succeduto il D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, che,  all'art.  27, commi 1, 2 e 4, ha enunciato una  nuova  versione della  fattispecie, abrogando (art. 37, comma 34)  l'art.  2624  cod. civ.,   ma  di cui ha riproposto il contenuto anche nella sua  duplice  articolazione di ipotesi contravvenzionale e delittuosa  (rilevandosi  diversità  nell'identificazione  del  soggetto  attivo,  come  sarà  meglio indicato in seguito) ed ha abrogato anche (art. 40, comma  21)  l'art. 174-bis T.U.F. pur esso sostituito dal nuovo art. 27, che  ora  (comma  3)  presenta il reato quale ipotesi aggravata  del  paradigma  precettivo  comune  a  tutte le società  oggetto  di  revisione,  in  ragione  della  tipologia della società oggetto  di  revisione,  qui  identificata  come  "ente  di  interesse pubblico"  (riproponendo  la  medesima previsione sanzionatoria dell'abrogato art. 174-bis).
3.  Il criterio di imputazione, che permette l'addebito della condotta  della  persona  fisica  all'organismo,  nel  cui  interesse/vantaggio  questa   ha   agito,   suppone  la  commissione  di   illecito   (non  necessariamente  a  rilievo penale, cfr. per es. D.Lgs.  n.  231  del 2001,  art.  25-sexies   che prevede - secondo autorevole  dottrina  - un'ulteriore   responsabilità,  modulata  su  quella  discendente  da reato,   conseguente  alla commissione non già di  reato,  bensì  di violazione   amministrativa proprio della disciplina  sugli  abusi  di informazioni   privilegiate  e  sulla  manipolazione)  nell'ambito  di ipotesi   tassativamente previste dal legislatore (ed  elencate  dalle previsioni   della Sezione 3^ del Capo I del D.Lgs. n. 231 del  2001),  secondo  una  cernita che rinviene la sua filigrana  nelle  direttive  delle  convenzioni  internazionali e che si  articola  in  un  quadro  contrassegnato dal principio di legalità (come recita la rubrica del D.Lgs.  n. 231 del 2001, art. 2).  Principio che, pertanto, coinvolge, per  il tramite di una legge, non  soltanto la fattispecie costitutiva dell'illecito  (e  le  sanzioni  per   essa  previste),  ma  anche  il collegamento  tra  la  condotta della  persona fisica  e  la  speciale responsabilità para-penale dell'ente.
4.   Sinora  l'esperienza normativa ha favorito nel nostro ordinamento  l'espansione   della   tipologia   degli   illeciti   forieri   della  responsabilità  amministrativa degli enti ma, per  la  prima  volta,  proprio   con   il  D.Lgs.  n.  39  del  2010,   essa  ha   conosciuto l'abrogazione di una di queste fattispecie,  senza che il  legislatore abbia  voluto  intervenire  direttamente sul   catalogo,  fonte  della responsabilità medesima, cioè, il D.Lgs. n. 231 del 2001, art.  25- ter.   Opzione che contraddice anche la legislazione sulle  violazioni penali  a sfondo economico, ove evidente è apparsa, sino ad oggi,  la volontà   del  legislatore di accompagnare  la  risposta  prettamente penalistica,  a quella speciale, nei confronti dell'organismo  che  si ritiene  abbia  tratto vantaggio. Il D.Lgs. n. 39 del 2010  ha, quindi, incrinato  l'omogeneità del complessivo disegno  normativo,   con  un mutamento  del  tratto repressivo, anche se, in tema  di   tutela  del risparmio,  la  pur recente L. n. 262 del 2005  (Disposizioni  per  la tutela  del  risparmio  e  la disciplina dei  mercati  finanziari)  ha apprestato    un   inasprimento    sanzionatorio.   Tanto   giustifica l'incertezza dell'interprete davanti  al segno di forte discontinuità (non  compiutamente  palesato, mancando  -  come  si  è  detto  -  un esplicito intervento sul quadro del D.Lgs. n. 231 del 2001, art.  25- ter)  relativamente alla responsabilità amministrativa della società di  revisione (permanendo quella penale a carico dei suoi esponenti).
5.  Ma ogni perplessità viene fugata quando dal quadro sistematico si  scende alla diretta lettura della novella. Nel rispetto del principio di   legalità  a cui si è già fatto cenno e seguendo  l'arresto  di questa  Corte - per cui "qualora il reato commesso nell'interesse o  a vantaggio   di  un  ente  non  rientri  tra  quelli  che  fondano   la  responsabilità  ex  D.Lgs. n. 231 del 2001  di  quest'ultimo,  ma  la relativa  fattispecie  ne  contenga o assorba   altra  che  invece  è inserita  nei  cataloghi dei reati presupposto  della stessa,  non  è possibile  procedere  alla scomposizione del   reato  complesso  o  di quello  assorbente  al  fine di configurare la  responsabilità  della persona  giuridica"  (Sez. 2, n. 41488 del  29/09/2009,  Rimoldi,  Rv.
245001) - non si offrono possibilità interpretative incerte.
In   particolare,  non  vi  è spazio per  appellarsi  ad  ipotesi  di  integrazione  normativa della fattispecie, a mezzo  di  un  possibile  rinvio  cd.  "mobile",  poichè - al  di  là  di  qualsiasi  quesito  coinvolgente  questa  delicata  materia  -  la  volontà  legislativa  risulta  evidente,  senza  postulare ulteriori  apporti  ermeneutici,  quando  sia  inquadrata  nella  complessiva  operazione  riformatrice  disposta dal legislatore mediante il D.Lgs. n. 39 del 2010.  6.   A   ben   vedere  la  presente  vicenda  consente  un   percorso  argomentativo  del  tutto  semplice  e  lineare  per  giungere   alla  soluzione del quesito giuridico. E' sufficiente, infatti, focalizzare  l'attenzione   sulla  effettiva  contestazione  mossa  dal   Pubblico  Ministero nel procedimento in esame, per accorgersi che la  norma  su  cui  si  fonda  l'accusa  non appartiene  al  novero  di  quelle  che  consentono  l'applicazione  della disciplina  para-penale  verso  gli  enti.  Invero, la pubblica accusa, dopo una qualche oscillazione,  ha  puntualizzato  l'addebito  nella  violazione  dell'art.  174-bis  del  T.U.F.,  norma scelta in considerazione della peculiare natura  delle  comunicazioni della società Banca Italease - oggetto della revisione  disposta  da  Deloitte  & Touche - ente ammesso  alla  quotazione   di Borsa,  cioè  società  cd. "aperta", destinata  a  soggiacere  alla  disciplina del T.U.F..
E', pertanto, l'art.  174-bis T.U.F. il cardine che qualifica l'accusa e  delimita l'ambito  del giudizio, postochè il giudice deve in  essa inquadrare  l'esatta   normativa giuridica che regola  la  fattispecie ascritta   all'ente:    anche   in  questa   speciale   procedura   la contestazione   dell'addebito è il referente (che espleta  la  stessa funzione   assegnata,  nel processo penale, all'art.  417  cod.  proc. pen.,  verso la persona fisica) mediante cui impostare il  sillogismo interpretativo per valutare la condotta oggetto di giudizio.
Orbene,   siffatta disposizione può ritenersi del tutto  estranea  al meccanismo   attributivo della speciale responsabilità amministrativa di  cui si  tratta. Infatti, la violazione dell'art. 174-bis T.U.F. è estranea  al   peculiare paradigma che collega l'azione della  persona fisica  all'ente   per cui essa agisce. Pertanto,  ogni  richiamo  che evochi   l'art.    174-bis  risulta  incapace  di  fornire   contenuto precettivo  al   proposito:  come  ha giustamente  rilevato  anche  la sentenza  oggetto  di ricorso, è carente di sostegno  giuridico  ogni integrazione mediante  il rinvio ad una disposizione che  non  è  mai esistita nel quadro  normativo di riferimento.
Invero,  la  norma  non  fa  parte del  codice  civile,  appartenenza richiesta dalla generale previsione di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-ter, comma 1.  Inoltre, essa non è mai stata annoverata tra i cd.    "reati-presupposto"  idonei  ad  ascrivere  la  responsabilità  dell'ente:  non  lo  fu  al  momento  della  formulazione  del  testo  fondamentale in materia, il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-ter,  nè nel  contesto  del D.Lgs. n. 61 del 2002  (che, riformulando  l'intera legislazione  penale  societaria, abbinò   al  rilievo  penale  delle violazioni proprie dei revisori anche quello  amministrativo a  carico degli  enti  deputati  alla  revisione),  nè   in  epoca  successiva, segnatamente quando l'art. 174-bis in esame fu  introdotto dalla L. n. 262  del  2005, art. 35, che intervenne direttamente sulla disciplina in esame.
Infine, non assume alcun interesse segnalare la possibile continuità normativa  tra l'art. 2624 cod. civ.  e l'attuale testo, uscito  dalla riforma  della  materia  della   revisione  contabile,  postochè   la disposizione codicistica è stata  espressamente abrogata  e,  quindi, non  è  più capace di riferimento  ermeneutico di sorta, in funzione di  integrazione  del  D.Lgs.  n. 231 del  2001,  art.  25-ter   e  di attribuzione  della  speciale  responsabilità  da  reato    (diverso, chiaramente,  il  discorso  per  il  piano  strettamente   penalistico relativo alla persona fisica a cui sia riconducibile  l'illecito). Per questi  medesimi  motivi è inefficace il tentativo   (affacciato  dal ricorrente)  di  collegare l'art. 174-bis T.U.F.  alla   nuova  figura dettata  dal  D.Lgs.  n. 39 del 2010, art. 27,   intendendo  la  prima disposizione  quale una circostanza aggravante  della norma  di  nuovo conio:  l'estraneità della fattispecie  incriminatrice propria  delle società  quotate  rispetto  al novero di   quelle  attributive  della responsabilità  amministrativa  ex delicto,   sterilizza  una  simile opzione ermeneutica.
7.    La   conclusione   dianzi  tratta  pone   in   luce   l'indubbio  alleggerimento  della tutela para-penale nell'ambito della  revisione  contabile:  sensazione  che - in seno al D.Lgs.  n.  39  del  2010   - rinviene  conferma, per esempio, nell'omesso richiamo  alla   confisca "per  equivalente",  in relazione ai reati qui  esaminati,   ulteriore prova  della  discontinuità  rispetto al  tradizionale   orientamento legislativo. Atteggiamento coerente con l'esplicita  abrogazione della "parallela"  figura dettata dall'art. 2624 cod. civ.,  propria  della responsabilità  penale, ma riformulata dal D.Lgs. n.  39  del  2010, art.  27   in  termini letterali sostanzialmente uguali a quelli  già utilizzati   dall'abrogata figura, a dimostrazione  della  consapevole discrasia    tra  la  protezione  penalistica,  immutata,   e   quella amministrativa  da illecito, sottratta alla disciplina del  D.Lgs.  n. 231 del 2001  (sia pur senza un'espressa modifica dell'art. 25-ter del citato    compendio   normativo).   Tanto   ulteriormente   giustifica  l'impossibilità  di  introdurre, per via interpretativa,  quanto  il  legislatore  ha  chiaramente inteso lasciare  fuori  dalla  prensione  punitiva del sistema dedicato alla responsabilità degli enti.
8.   Il dubbio che la scelta normativa non sia frutto di negligenza  o di   involontaria svista del legislatore - ipotesi sottesa all'attuale  ricorso  ed  affacciata  anche  dall'ordinanza  di  rimessione  -  si  dissolve  osservando che già la L. n. 262 del 2005   (la  quale,  per altra  parte, arricchì il catalogo dei  "reati-presupposto" mostrando interesse   a  questa  leva  punitiva)   sancì  l'estraneità   della fattispecie dell'art. 174-bis del T.U.F. dal  novero ascrittivo  della speciale  responsabilità di cui si tratta, e,  al contempo,  integrò l'ambito  dei  casi  forieri di responsabilità ex   delicto  in  capo all'ente (D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-ter, comma 1, lett. r),  con la  previsione dell'illecito, di nuovo conio, dettato dall'art   2629- bis  cod.  civ.  (Omessa  comunicazione del conflitto  di   interessi, ipotesi  introdotta  anche con qualche forzatura repressiva,   essendo piuttosto   problematico  ipotizzare  che  siffatta   omissione    sia realizzata   nell'interesse  o  a  vantaggio   della   società),    a dimostrazione   dell'immutato  interesse  per  la  disciplina    sulla responsabilità da reato degli enti.
Del   resto,  nel  nostro  sistema, non è  una  anomalia  il  diverso  contenuto punitivo offerto dalla tutela propriamente penalistica e da  quello  "para-penalistico".  Proprio  nel  contesto  della  revisione  contabile  è dimostrato il mancato richiamo ad opera del  D.Lgs.  n. 231  del  2001  delle ipotesi criminose di cui all'art. 177  (Illeciti rapporti   patrimoniali  con la società  di  revisione)  e  art.  178 (Compensi  illegali) del T.U.F., sempre rimaste (come l'art.  174-bis) esterne   all'area di questa peculiare responsabilità.  Ulteriormente attesta   siffatta indipendenza anche la vicenda dell'art.  2625  cod. civ.   (Impedito  controllo) che, pur esente da  abrogazione,  risulta  significativamente ridimensionato, nella sua sfera d'applicazione, ad  opera  del D.Lgs. n. 39 del 2010, essendogli sottratta - quanto  alle società "non aperte" - la materia della revisione contabile.
9.   Ricercare  le  ragioni di siffatta opzione normativa,  una  volta  esclusa   l'ipotesi  di  casualità  o  di  tratto  privo   di   ogni  ragionevolezza  nella  scelta  del  legislatore,  è   compito   che,  afferendo  a scelte di politica discrezionale, non spetta al  giudice di   legittimità. Ma è doveroso un breve cenno anche in questa sede, per   apprezzare compiutamente il portato della riforma in esame,  nel suo  inquadramento complessivo in seno alla disciplina della revisione  contabile:  è sicuramente riduttiva ed impropria la sola prospettiva che   si  limiti ad osservare la mera modifica della disciplina  della  responsabilità  amministrativa  da reato  dell'ente,  ambito  troppo  angusto  per  fugare  le  perplessità di  irragionevolezza,  evocate  dall'ordinanza di rimessione.
Infatti,  il senso complessivo della riforma disposta dal legislatore a mezzo del D.Lgs. n. 39 del 2010  è assai più incisivo e complesso, qualificandosi come un intervento  ampio e pervasivo nel sistema della revisione  contabile,  risultato di   un'opera  protesa  alla  globale razionalizzazione e riordino del dato  normativo.
Va  subito  osservato che, non si  tratta di orientamento irrispettoso della volontà della Direttiva U.E.  2006/43/CE, di cui deve ritenersi attuazione  (per  l'espressa  segnalazione del legislatore  italiano), allorquando  viene  imposta   agli  Stati  membri  la  previsione   di "sanzioni  effettive   proporzionate e dissuasive  nei  confronti  dei revisori  legali e delle  imprese di revisione contabile,  qualora  le revisioni  legali  dei  conti non siano effettuate conformemente  alle disposizioni  di   applicazione  della presente  direttiva"  (art.  30 Direttiva   cit.).    Infatti,  il  corpus  della   riforma   annovera espressamente   sanzioni amministrative e penali, che in  nessun  modo possono   considerarsi simboliche. Esse includono anche  (in  ossequio all'art.   30,  comma  3, Direttiva cit.) la revoca dell'abilitazione, pena ad  efficacia interdittiva, quando, invece, il D.Lgs. n. 231  del 2001, art. 25-ter  fa conseguire ai reati societari "presupposto" mere sanzioni  pecuniarie. Il momento repressivo è inserito in un  insieme che   costituisce un impianto sanzionatorio sistematicamente organico.
E'    dato,   allora,   comprendere  la   ragione   che   ha   portato  all'estromissione   dell'ulteriore  profilo   della   responsabilità  amministrativa   degli   enti,   nell'ottica   di   una    perseguita  semplificazione.
Ancora,  la  più  compiuta  portata repressiva  del  nuovo  testo  si avverte   nell'estensione    del  novero  dei   soggetti   interessati dall'illecito:  esso non  coinvolge soltanto quanti appartengono  alla società  di  revisione, ma  si estende anche  ai  responsabili  della società  oggetto della  revisione medesima. Inoltre,  la  riforma  ha assicurato  un  presidio   pubblicistico, specializzato,  nel  momento della  sorveglianza  sugli   operatori, in  questa  delicata  area  di garanzia  per  il  risparmio  diffuso, avendo,  da  un  lato,  avocato (D.Lgs.  n. 39 del 2010, art. 22)  il controllo sui revisori contabili e  sulle  società  che non hanno  incarico di revisione  su  enti  di interesse  pubblico, al Ministero  dell'Economia e  delle  Finanze  e, d'altro canto, avendo assegnato a  CONSOB il controllo sui revisori  o società di revisione legale su enti  di interesse pubblico.
Di  significativo  momento (anche definitorio) è l'unificazione della "revisione  legale",   intesa dall'art. 1, comma  2,  lett.  m)  quale "revisione  dei conti  annuali o dei conti consolidati  effettuata  in conformità alle  disposizioni del presente decreto legislativo",  con quella già  prevista, come revisione contabile, dall'art. 155 T.U.F., grazie  al   controllo  contabile sinora imposto  dal  codice  civile, all'art.  2477  per le società a responsabilità limitata o  all'art. 2409 per le  società per azioni.
L'intervento  normativo ha  anche variato la categoria delle  società di  revisione (attività  dianzi riservata a quanti erano iscritti  al Registro  tenuto  dal   Ministero della  giustizia,  oggi  abrogato  e sostituito da un unico  Albo presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze)  a  cui  si  riferivano i precetti. Invero, dando  esecuzione alla  menzionata  direttiva comunitaria, ha creato -  a  fianco  delle società  cd.  "chiuse" - il novero degli enti "di interesse pubblico" (di  derivazione   anglosassone: public interest  entities),  definito dall'art.  16  a   sostituzione,  nell'ambito  dei  revisori,   "delle società  con azioni  quotate, delle società da queste controllate  e delle  società  che   emettono strumenti finanziari  diffusi  tra  il pubblico  in  misura  rilevante" (come recitava l'abrogato  art.  2624 cod.   civ.),   in  vista  di  una  più  organica  regolamentazione, rinvenibile nel D.Lgs. n. 39 del 2010, artt. 16-19.
Per  ciò  che  riguarda  la normativa strettamente  penalistica,  la riforma:
-  ha  espressamente abrogato il vecchio sistema punitivo (a  cui  si riferiva  il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-ter),  limitato,  per  le società  cd. "chiuse", ai soli comportamenti di  falso nell'attività di  revisione  e  di impedito controllo da parte  degli amministratori della  società  sottoposta a revisione, testo che  ignorava  le  più perniciose  ipotesi di analoghe violazioni afferenti a   società  cd.
"aperte" e punite ai sensi del T.U.F. (art. 174-bis e seguenti);
-  ha riformulato i precetti per il versante penalistico, mediante il D.Lgs. n. 39 del 2010, artt. 27 e 29,  seguendo - commi 1 e 2 - talora (quasi)  pedissequamente  il vecchio  testo  del  codice  civile  (con esclusione,  dunque, di una cesura di  qualche rilievo ai  fini  della successione della legge penale);
-  ha innovativamente tratteggiato il momento soggettivo dell'illecito  penale,  grazie  al richiamo dei tratti tipici della  contravvenzione  prevista  dal  D.Lgs.  n.  39  del 2010,  art.  27,  comma  1,   così distinguendosi dall'abrogato art. 174-bis T.U.F., che ignorava  sia il dolo  specifico proteso ad ingiusto profitto, sia - inutile  connotato - la consapevolezza della falsità della  relazione/comunicazione;
-  ha ridisegnato la  risposta sanzionatola, prevedendo pene più alte per  i  delitti   commessi nell'ambito della revisione degli  enti  di interesse   pubblico, adeguandosi al metro seguito dal  T.U.F.  per  i comportamenti  commessi nella revisione delle società cd. "aperte";
-   ha  disposto (per il vero, con infelice formulazione)  un  aumento  della pena fino alla metà, qualora il reato abbia cagionato danno di  rilevante  gravità  o  alla società di revisione  o  alla  società  oggetto  della  revisione, con esclusione  della  fattispecie  -  qui  considerata  -  del D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 27,  che  si  modella quale reato di pericolo;
-   ha  previsto  per  tutte  le previsioni incriminatrici  aggravanti  speciali.  Sul  piano strutturale della fattispecie, la  riforma  dei  2010 ha:
-  individuato  il  soggetto  attivo  degli  illeciti  forieri  della responsabilità disciplinata dal D.Lgs. n. 231 del 2001  non più  nei "responsabili  della revisione" e neanche nel "socio o  amministratore della società di revisione" (come dettava l'abrogato art.  156, comma 1,  T.U.F.), ma nella persona fisica del revisore (D.Lgs. n.  39  del 2010,  art.  1,  lett. l):  "il revisore legale  a  cui  è  conferito l'incarico",  ovvero,   all'interno della società,  "il  responsabile dello  svolgimento  dell'incarico"), pertanto in colui che  appone  la firma   in  calce   alla  relazione  (e,  per  adeguarsi  alla   nuova previsione,  il  D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 8, comma  1,  lett.  h),  impone   di   evidenziare  in  calce  alla  comunicazione,   l'autore  dell'incombente),   così   scostandosi   dal   generale    paradigma  "istituzionale"  proprio  dell'art. 25-ter  rispetto  alla  modalità  ìndividuativa fondante la responsabilità amministrativa  dell'ente,  paradigma stabilito in via generale dal D.Lgs. n. 231 del 2001,  art. 5   (lett. a e b). Parimenti, rilevante è la modalità propria  delle  società  cd.  "aperte",  a cui si riferiva l'abrogato  art.  174-bis  T.U.F.  ("I  responsabili della revisione delle società  con  azioni  quotate,  delle società da queste controllate e delle  società  che  emettono  strumenti  finanziari diffusi tra  il  pubblico  in  misura  rilevante"),  non  più  allineata  al  richiamo  dell'elenco   delle  società  soggette a revisione obbligatoria, ma mediante rinvio  alla  categoria  "dell'ente  di interesse pubblico", nozione  definita  dal D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 16.
E'  stato attuato, pertanto, un esteso riordino normativo per il quale non   è  dato  percepire,  nel vaglio di  legittimità  spettante  al giudice    ordinario,  alcuno  scompenso  valutabile  in  termini   di  irragionevolezza,  residuando  -  invece  -  una   scelta   politica,  contrassegnata dalla discrezionalità, esente da possibile  scrutinio in  termini di legittimità. 10.  Per queste ragioni la doglianza portata  dall'attuale ricorso non rinviene fondamento ed esso va rigettato.
Pertanto, può essere enunciato il seguente principio di diritto:
"il  D.Lgs.  27  gennaio 2010, n. 39,  nell'abrogare e riformulare  il contenuto   precettivo  dell'art.   174-bis  T.U.F.  (Falsità   nelle relazioni o nelle comunicazioni delle  società di revisione), non  ha influenzato in alcun modo la disciplina  propria della responsabilità amministrativa da reato dettata dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art.  25- ter,   poichè le relative fattispecie non sono richiamate  da  questo testo   normativo e non possono conseguentemente costituire fondamento di  siffatta responsabilità".
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.