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Rispetto a reati commessi per finalità di arricchimento personale da un soggetto che all’epoca della loro consumazione disponeva di adeguate risorse culturali, affettive, abitative ed economiche, l’avvio della sua revisione critica ed il ridimensionamento della sua pericolosità sociale possono normalmente considerarsi effettivi (e giustificare la concessione di benefici penitenziari) solo in presenza di congrue attività restitutorie delle utilità economiche costituenti il prezzo, il prodotto o il profitto dei reati stessi.
ORDINAMENTO PENITENZIARIO – ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA – MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE – AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE – DETENZIONE DOMICILIARE – PRESUPPOSTI PER LA CONCESSIONE – PROCESSO DI RIEDUCAZIONE – INIZIO – FATTISPECIE (Legge 26 luglio 1975 n. 354, norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, artt. 47, 47 ter).
Rispetto a reati commessi per finalità di arricchimento personale da un soggetto che all’epoca della loro consumazione disponeva di adeguate risorse culturali, affettive, abitative ed economiche, l’avvio della sua revisione critica ed il ridimensionamento della sua pericolosità sociale possono normalmente considerarsi effettivi (e giustificare la concessione di benefici penitenziari) solo in presenza di congrue attività restitutorie delle utilità economiche costituenti il prezzo, il prodotto o il profitto dei reati stessi.
N° . 2011/6594 e 2012/137 SIUS
N°............................................. SIEP
N° ............................................ Reg. Ordinanze
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale di Sorveglianza di Torino
composto da:
1) Dott. Giuseppe Vignera Presidente rel.
2) Dott. Monica Cali Giudice
3) Dott. Franco Romeo Esperto
4) Dott. Silvia Morrone Esperto
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei confronti di D. G., nato a xxxx il xxxx, detenuto presso la Casa circondariale “Don Soria” di Alessandria, difeso dall’Avv. P. Monti del Foro di Alessandria, nel procedimento di sorveglianza avente ad oggetto l’applicazione di misura alternativa alla detenzione in relazione alla pena di cui al seguente titolo esecutivo: provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino del 24 novembre 2011.
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D. G. sta espiando una pena complessiva di anni 3, mesi 6 di reclusione in virtù di un cumulo di pene inflitte con due condanne: la prima del Tribunale di Alessandria in data 27 maggio 2008 per appropriazione indebita continuata e falsità in scrittura privata continuata (fatti commessi dal 2000 al 2004 con abuso della propria professione di ragioniere); e la seconda per associazione per delinquere, falsificazione continuata ed indebito utilizzo continuato di carte di credito con l’aggravante del crimine transnazionale (fatti commessi dal 2004 al luglio 2009 nella sua qualità, tra l’altro, di consulente fiscale del “xxxx”, night club di Alessandria).
Applicato l’indulto e dedotto il presofferto, la pena residua da espiare risulta pari ad anni 1, mesi 9 e giorni 1 di reclusione.
L’esecuzione della pena, iniziata il 18 novembre 2011, terminerà il 18 agosto 2013.
Il detenuto ha chiesto l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare, deducendo l’esistenza di sostegni affettivi (rappresentati dall’anziana madre e dalla sorella) e la possibilità di continuare a svolgere la sua attività libero-professionale (ragioniere commercialista).
I Carabinieri di Alessandria hanno comunicato che:
- presso l’abitazione familiare (sita in xxxx, Via xxxx n. 68) il D. svolgeva pure la sua attività di ragioniere prima dell’arresto;
- il predetto ha sempre rispettato le prescrizioni inerenti alle misure cautelari (arresti domiciliari ed obbligo di presentazione alla P.G.) applicategli durante il procedimento di merito;
- non esistono controindicazioni da parte dei familiari circa l’accoglienza del congiunto.
La relazione di sintesi evidenzia:
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la formale correttezza della condotta del D. nel breve periodo di detenzione;
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la mancata espletazione di attività trattamentali strutturate;
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l’assoluta mancanza di revisione critica in ordine ai reati commessi (“Il soggetto si è espresso con un linguaggio tecnico che ha impedito la piena comprensione della dinamica dei fatti, anche se sostiene di essere estraneo a quanto contestatogli, nonostante sia indicato dai gestori del menzionato locale come il solo responsabile dei fatti ... Dimostra un basso livello di responsabilità, tanto che sistematicamente tende a proiettare la colpa delle proprie azioni su altri. I reati attribuiti sono strettamente attinenti all’ambito lavorativo di appartenenza del D. dove, in qualità di consulente fiscale, ha ricoperto un ruolo di elevata responsabilità tecnica ... I delitti contestati sono stati realizzati in un contesto caratterizzato da ingenti disponibilità finanziarie e da una particolare destrezza nelle transazioni finanziarie da parte degli autori”).
La stessa, pertanto, così conclude: “Si ritiene che l’applicazione di una misura alternativa alla detenzione non possa prescindere da una revisione critica del reato che, allo stato dell’osservazione, non si può considerare sufficiente in considerazione dell’aggravante relativa al crimine transnazionale addebitato. Pertanto, al fine di agevolare una focalizzazione delle responsabilità del D. si propone l’intervento di un esperto ex art. 80 O.P. che favorisca una rielaborazione dei suoi trascorsi e consenta di valutare l’affidabilità in riferimento ai futuri benefici penitenziari”.
Queste condivisibili conclusioni impongono il rigetto delle domanda unitamente alle seguenti considerazioni:
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la dedotta opportunità lavorativa del soggetto avrebbe nella fattispecie scarsa valenza rieducativa, atteso che tutti i reati di cui al titolo esecutivo sono collegati proprio all’attività libero-professionale del condannato;
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pure gli invocati sostegni affettivi ed abitativi esistevano già all’epoca di commissione dei reati di cui al titolo esecutivo e, pertanto, rappresentano un dato “neutro” ai fini della valutazione della rieducazione del reo;
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alle “potenzialità enormemente lucrative” dei reati di cui alla sentenza del GIP del Tribunale di Torino in data 11 aprile 2011 non è corrisposta alcuna attività restitutoria o riparatoria da parte del D. (unica attività che nella fattispecie potrebbe rappresentare un concreto indice di effettivo avvio del percorso di rieducazione e/o di effettiva revisione critica da parte del condannato in ordine ai reati accertati con codesta sentenza), il quale pertanto non appare sotto alcun profilo meritevole di benefici penitenziari e/o di misure alternative alla detenzione: misure che allo stato servirebbero ad assicurare (non la “rieducazione” del condannato rispetto a modelli di vita socialmente adeguati, ma soltanto) il concreto godimento od il consolidamento dei risultati economici dei crimini commessi dal detenuto.
Si osserva ancòra al riguardo quanto segue.
Pur senza contestare la validità scientifico-culturale delle metodologie e delle categorie di pensiero usualmente utilizzate dagli organi dell’Amministrazione penitenziaria preposti (all’interno o all’esterno degli istituti di pena) alle attività di osservazione e di trattamento dei condannati, dalla stessa Magistratura di sorveglianza e persino dalla Corte di cassazione nell’occuparsi del “disadattamento sociale” del reo in funzione del suo superamento o ridimensionamento con l’ausilio delle misure alternative alla detenzione [metodologie e categorie concettuali che non di rado non si discostano molto da quelle rinvenibili negli “originari” studi criminologi e sociologici delle società preindustriali e/o industriali avviati nell’Europa occidentale e del Nord-America negli ultimi anni del 1800 e nei primi decenni del 1900]; e pur senza contestare quella concezione (che in modo quasi sempre inespresso ispira quelle metodologie e quelle categorie) postulante una sorta di “diffusività collettiva, generale ed indiscriminata del fenomeno” (come se il “disadattamento sociale” costituisse una condizione connaturale ad ogni essere umano dopo la perdita dei dona praeternaturalia goduti nell’Eden: se si vuole essere realistici, invero, ed a prescindere dall’area dei soggetti portatori di problematiche di tipo psichiatrico, nella società italiana il fenomeno de quo sembra attualmente interessare prevalentemente l’area dell’immigrazione irregolare, quella dell’emarginazione nelle periferie metropolitane e quella della conflittualità endofamiliare); pur senza contestare tutto questo, sta di fatto che il “disadattamento sociale” di una determinata persona chiamata ad espiare una pena detentiva (scilicet, al momento della condotta criminosa e quale suo potenziale coefficiente) non può presumersi sempre e comunque, ma deve avere precisi elementi rivelatori: deve, cioè, (quanto meno) essere indiziariamente verosimile.
Tale “disadattamento”, poi, deve tendenzialmente escludersi quando (ed ancor più in assenza dei predetti elementi rivelatori) risulta che all’epoca della consumazione dei reati la persona disponeva di adeguate risorse culturali, affettive, abitative, economiche et similia (come è accaduto del caso sub iudice).
Pertanto, rispetto a reati commessi per finalità di arricchimento personale da un soggetto che all’epoca della consumazione dei reati stessi disponeva di tutte codeste risorse, l’avvio della sua revisione critica ed il conseguente ridimensionamento della sua pericolosità sociale possono normalmente considerarsi effettivi (e giustificare la concessione di benefici penitenziari) solo in presenza di congrue attività riparatorie e/o restitutorie delle utilità economiche costituenti il prezzo, il prodotto o il profitto del reato: attività che nella fattispecie non risultano essere state compiute.
P.Q.M.
rigetta l’istanza.
Torino, 22 febbraio 2012
Il Presidente estensore
dr. G. Vignera
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