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Penale.it - Corte di Cassazione, sentenza 26 settembre 2014 (dep. 15 ottobre 2014), n. 43142

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Corte di Cassazione, sentenza 26 settembre 2014 (dep. 15 ottobre 2014), n. 43142
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Quando Facebook fa indizio.

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENTILE Mario - Presidente -

Dott. GALLO Domenico - Consigliere -

Dott. DAVIGO Piercamill - rel. Consigliere -

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Consigliere -

Dott. DI MARZIO Fabrizio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 28/04/2014 del Tribunale di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Piercamillo Davigo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 28.3.2014 il G.I.P. presso il Tribunale di Massa dispose la custodia in carcere di M.M., indagato per rapina aggravata.

2. L'indagato propose istanza di riesame ma il tribunale di Genova, con ordinanza 28.4.2014, la rigettò.

3. Ricorre per cassazione l'indagato, tramite il difensore, deducendo vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. M. è raggiunto da chiamata in correità di P.G., ma non vi sarebbero riscontri individualizzanti rispetto al ricorrente per lo specifico fatto contestato. I filmati che ritraggono oltre a P. altro soggetto travisato non forniscono elementi relativi a M.. L'utenza (OMISSIS) è stata attribuita al ricorrente sulla base delle dichiarazioni di P.. I testi non hanno fornito elementi (ed anzi uno dice che il soggetto travisato potrebbe essere una donna), l'individuazione fotografica da parte di P. prova solo la conoscenza fra costui e M.; la dichiarazione del coindagato R.A. prova solo la conoscenza fra costui, P. e M.; le foto postate su Facebook da M. (che secondo l'ordinanza impugnata indicherebbero l'uso di abbigliamento ed orologio) sarebbero dati generici.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

E' mera affermazione, non suffragata dalla specifica indicazione di atti del procedimento, che l'utenza ritenuta in uso a M. M. sia stata a lui attribuita esclusivamente sulla base delle dichiarazioni di P.G..

Peraltro i movimenti di tale utenza, rilevati dai tabulati, non solo sono compatibili con la perpetrazione della rapina ad Aulla ma con il luogo di residenza dell'indagato ed attestano contatti con quelle di P. e di R.A.. Si tratta perciò di elemento estraneo alla chiamata in correità idoneo a riscontrarla.

Inoltre dal ricorso non emerge che sia stata allegata spiegazione alternativa dei contatti con i coindagati P. e R., riferiti anche da quest'ultimo.

I dati emergenti dai tabulati telefonici relativi a conversazioni intercorse tra apparecchi di telefonia mobile in uso a soggetti chiamati in correità ben possono costituire elemento di riscontro esterno individualizzante alle dichiarazioni accusatorie del chiamante, in assenza di plausibili spiegazioni alternative dei contatti avuti tra essi in luoghi e momenti significativi ai fini dell'accertamento del reato (Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 29383 del 24/06/2009 dep. 16/07/2009 Rv. 244303).

In secondo luogo la teste oculare Mi.An., impiegata della banca rapinata, ha riconosciuto al polso del rapinatore travisato un orologio vistoso, descritto come di tipologia analoga a quello con cui M. è ritratto nelle foto dello stesso postate su Facebook. Anche tale elemento è idoneo a riscontrare in modo individualizzante, sia in senso oggettivo che soggettivo la chiamata in correità.

2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

3. Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell'art. 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2014

 
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