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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 13 aprile 2006 (dep. 12 maggio 2006), n. 16338/2006 (697/2006)

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Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 13 aprile 2006 (dep. 12 maggio 2006), n. 16338/2006 (697/2006)
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False attestazioni nell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio: non è detto che sia reato

                          REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                       SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LATTANZI Giorgio - Presidente
Dott. COLONNESE Andrea - Consigliere
Dott. SANDRELLI Gian Giacomo - Consigliere
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio- Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubbliuca presso la Corte d'Appello di Catanzaro nei confronti di B.D., nato il ..., avverso la sentenza del 28.04.2005 della Corte d'Appello di Catanzaro;
Visto gli atti, la sentenza ed il procedimento;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Fumo Maurizio;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. E. Delehaye, il quale ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata;
Udito il difensore, Avv. ... che si è riportata alla memoria in atti;
  FATTO
B.D. è imputato del delitto ex art. 483 cp per avere, nell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello stato, falsamente attestato di non esser percettore di alcun reddito e di non essere intestatario di beni mobili registrati o immobili.
La Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, lo ha assolto perchè il fatto non sussiste, rilevando che il reddito effettivamente imputabile al nucleo familiare dello B. era, per quanto falsamente dichiarato, notevolmente inferiore alle soglie di inammissibilità al patrocinio gratuito e che dunque il falso, pur sussistendo, era innocuo.
Ricorre per cassazione il competente PG e deduce violazione di legge, assumendo che le autocertificazioni allegate alle istanze di gratuito patrocinio, se menzognere, determinano de iure la revoca del predetto beneficio. Invero, la valutazione di innocuità del falso non va rapportata alla funzione che l'atto assume, quale elemento dell'eventuale procedimento amministrativo, atteso che la tutela penalistica concerne l'alterazione in sè; essa, vale a dire, è posta a presidio della pubblica fede che si deve riporre nel documento, alla stregua della funzione rappresentativa riconosciutagli dalla legge.
Il 16.03.2005 è stata depositata memoria difensiva nell'interesse del B. con la quale si sostiene che non risponde al vero che qualsiasi falsità implichi necessariamente una lesione della fede pubblica, occorrendo, viceversa, che l'enunciato sia idoneo alla immutatio veri, avuto riguardo al contesto d'uso, sia nella sua materializzazione storica che nella sua proiezione e dimensione normativa.
In sostanza, il caso in esame sarebbe riconducibile al paradigma del reato impossibile ex comma II art. 49 cp.
Tanto premesso deve osservarsi che il ricorso è infondato e non per condivisione delle, pur pregevoli, argomentazioni svolte nella ricordata memoria difensiva, ma per insussistenza del fatto ascritto al B.
Com'è noto, l'art. 95 del Dpr 30.5.2002 n.115 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) sanziona le false, ovvero omesse dichiarazioni nelle comunicazioni contenute nell'attestazione dell'interessato relative alla sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
E' a tale norma, dunque, che deve farsi riferimento ex art.15 cp e non a quella di cui all'art. 483 stesso codice, erroneamente contestata al B.
Per le medesime ragioni (principio di specialità), è evidente che le due norme non possono essere poste in rapporto di concorso formale.
Ebbene, il ricordato art. 95 prevede:
a) reclusione da 1 a 5 anni e multa da Euro 309,87 a 1549,37 in caso di falsità od omissione;
b) aumento di pena se l'agente ha ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio o il mantenimento di tale regime.
Si tratta, come si vede, di sanzioni ben più elevate rispetto a quelle previste dall'art. 483 cp, del quale la fattispecie incriminatrice in esame non rappresenta una mera "clonazione", avendo struttura e finalità diverse e richiedenti un quid pluris, sia nelle modalità della condotta che nell'atteggiamento psicologico che necessariamente deve sorreggerla.
Ratio dellaa norma è - riconoscibilmente - quella di impedire (anche) mediante minaccia di sanzione penale, che siano ammessi al c.d. gratuito patrocinio soggetti che non ne abbiano diritto per mancanza dei presupposti di legge.
Il reato è costruito come fattispecie di pura condotta, eventualmente aggravata dall'evento, ma la condotta non si sostanzia nella esternazione di una qualsiasi falsa dichiarazione (o nella mera omissione), atteso che il rinvio che l'art.95 fa al comma I lettere b), c) d) dell'art. 79 incorpora nella fattispecie di reato (solo) i seguenti comportamenti:
1) Dichiarazione di false generalità;
2) Falsa attestazione delle condizioni di reddito previste per l'ammissione dall'art. 76;
Violazionedell'impegno a comunicare eventuali variazioni rilevanti di tali condizioni, se verificatesi nell'anno precedente.
Dunque è di tutta evidenza, per quanto riportato sub 2) e 3), che non qualsiasi infedele attestazione rileva, ma solo quelle che abbiano quale conseguenza l'inganno potenziale (art.95 prima parte) o effettivo (art.95 seconda parte) del destinatario della dichiarazione, vale a dire quelle dichiarazioni con le quali l'interessato affermi, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dal legislatore quale soglia di ammissibilità (art. 76) ovvero quelle dichiarazioni che neghino o nascondano mutamenti significativi (scil, sempre ai fini della valutazione di eventuale superamento della predetta soglia) intervenuti nel reddito dell'anno precedente a quello della richiesta.
Orbene, poichè nel caso in esame lo stesso PG ricorrente non contesta il fatto che il B. aveva occultato redditi che comunque erano inferiori a quello al di sopra dle quale non si ha diritto all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è ovvio che il reato a lui ascritto (che avrebbe dovuto essergli contestato non ex art. 483 cp, ma ex art- 95 Dpr 115/2002) non sussiste.
Questa Corte, pertanto, deve procedere alla riqualificazione della imputazione ed al rigetto del ricorso del PG, per le ragioni sopra epsoste.
     P.Q.M.
La Corte, qualificato il fatto come reato di cui all'art.95 Dpr n.115 30.05.2002, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma in data 13 aprile 2006.
Depositata in cancelleria il 12 maggio 2006.
 
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