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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 05 luglio 2006 (dep. 18 luglio 2006), n. 24767/2006 (2321/2006)

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Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 05 luglio 2006 (dep. 18 luglio 2006), n. 24767/2006 (2321/2006)
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Ex Cirielli: il nuovo 50 bis OP si applica anche alle condanne anteriori all'entrata in vigore della legge n. 251/05


                         REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                       SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente
Dott. CHIEFFI Severo - Consigliere
Dott. PEPINO Livio - Consigliere
Dott. TURONE Cesare Giuliano - Consigliere
Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da B.C., nato il ..., avverso l'ordinanza 09.12.05 del Tribunale di Sorveglianza di Roma;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Paola Piraccini;
Rilevato che il Procuratore Generale nella persona del Cons. Consolo chiedeva il rigetto del ricorso;  
                          FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma dichiarava inammissibile la richiesta di concessione della misura alternativa della semilibertà, avanzata da B.C., rilevando che la modifica legislativa introdotta dall'art.7, comma 5, della legge 5 dicembre 2005 n.351, entrata in vigore il giorno stesso della decisione, aveva elevato il limite per la concedibilità della misura alternativa all'avvenuta espiazione di due terzi della pena. Poichè il condannato aveva espiato solo anni 1, mesi 10 e giorni 27 di reclusione, contro agli anni 2 e mesi 8 richiesti, riteneva che la stessa domanda fosse inammissibile.
Contro la decisione presentava ricorso il condannato per violazione di legge, rilevando che detta norma era stata applicata con retroattività in violazione dell'art. 2 c.p., mentre ogni inasprimento degli effetti della recidiva poteva essere applicato solo nei confronti di condannati per delitti commessi dopo l'entrata in vigore della legge. Se, viceversa, si interpretava la norma nel senso che la disciplina transitoria consentiva l'applicazione retroattiva, allora doveva ritenersi tale legge costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 25 Cost.
La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato.
L'art.50 bis dell'Ordinamento Penitenziario, inserito dall'art. 7, comma 5, della legge 5 dicembre 2005 n. 251, prevede che la semilibertà possa essere concessa ai detenuti, ai quali sia stata applicata con sentenza la recidiva prevista dall'art.99, comma 4, c.p., solo dopo l'espiazione dei due terzi della pena e, pertanto, introduce una modifica delle regole di applicazione della misura, senza prevedere una disciplina derogatoria al principio tempus regit actum.
Orbene, la giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato che "le norme che regolano l'esecuzione della pena e le misure ad essa alternative non hanno contenuto di diritto sostanziale e, come tali, non sono soggette al principio di rango costituzionale sancito dall'art.2 cod. pen." (Sez. I, 11 febbraio 2000, n.999, rv 215502).
Inoltre, l'art.10 della stessa legge n.251 citata fissa il regime transitorio nei seguenti termini:
- al comma 2, stabilisce che le disposizioni di cui all'art.6 non si applicano ai processi in corso se i nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli previgenti;
- al comma 3, stabilisce che i nuovi termini di prescrizione, se più brevi, si applicano ai procedimenti in corso e ai processi pendenti in primo grado solo se non vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, e non si applicano ai processi pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione.
Per tutte le altre modifiche l'art.10 si limita ad utilizzare la formula "ferme restando le disposizioni dell'art.2c.p." e tale inciso deve essere interpretato nel senso che, solo qualora le modifiche riguardino norme che si riferiscono a istituti di diritto sostanziale, vale il principio stabilito dall'art.2 c.p..
D'altra parte il legislatore, nell'introdurre modifiche in materia di esecuzione della pena e di misure alternative alla detenzione, ha ritenuto in più occasioni di dettare la disciplina intertemporale, in particolare:
- nei confronti di persone condannate per delitti di criminalità organizzata, o comunque previsti dall'art.4 bis dell'Ordinamento Penitenziario, introdotto dall'art.1 del d.l. 13.5.1991 n.152, convertito nella legge 12.7.1991 n.203, ha previsto all'art.4 della stessa legge la non applicazione solo di alcune parti della nuova normativa a persone condannate per delitti commessi prima dell'entrata in vigore della legge (Sez. I 05 dicembre 1991 n.4686, rv 189064; Sez. I 27 gennaio 1992 n.366, rv 189237);
- nei confronti dei medesimi soggetti, in occasione della modifica dell'art4 bis e 41 bis Ordinamento Penitenziario, introdotta dalla legge 23 dicembre 2002 n.279, all'art.4 stessa legge ha previsto un regime transitorio secondo cui le limitazioni all'accesso alle misure alternative non potevano essere applicate a coloro che non erano stati condannati per quei reati prima dell'entrata in vigore della legge.
Ne consegue che al caso di specie può essere applicato il principio di diritto secondo cui le disposizioni che regolano l'applicazione delle misure alternative non hanno natura sostanziale e, salvo la previsione contraria contenuta in norme intertemporali, ad esse non è applicabile il disposto dell'art.2 cod. pen., bensì il principio tempus regit actum.
Una conferma a tale interpretazione della nuova normativa si rinviene nella sentenza delle Sezioni Unite Penali del 30 maggio 2006, ric. Aloi, depositata il 17 luglio 2006, secondo la quale le disposizioni che individuano i delitti ostativi alle misure alternative alla detenzione e quelle che per relationem individuano i delitti ostativi alla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, in quanto attengono solo alle modalità di esecuzione della pena stessa, non hanno natura di norma penale sostanziale e quindi non soggiacciono al principio di irretroattività stabilito dall'art.2 c.p. e dall'art.25, comma 2, della Costituzione.
Ulteriore riscontro si rinviene nella pronuncia n.257 del 2006 della Corte Costituzionale che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della nuova disciplina dei permessi premio di cui all'art.30 quater Ordinamento Penitenziario, come modificato dall'art.7, comma 1, legge n.251 del 2005, e sulla legittimità del regime transitorio in relazione agli artt. 25 e 27 Cost., non ha affrontato il problema del regime transitorio e ha sancito l'illegittimità dell'art.30 quater solo rispetto all'art.27, comma 3 Cost..
Ha stabilito che la preclusione alla fruizione del beneficio, scaturita dal nuovo regime per i condannati ai quali fosse stata applicata, prima dell'entrata in vigore della legge, la recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma 4 c.p., determina una violazione del principio costituzionale del fine rieducativo della pena, ove applicata a soggetti che abbiano già raggiunto uno stadio del percorso rieducativo adeguato al godimento del permesso premio.
Con la conseguenza che l'introduzione di una sostanziale regressione nella fruizione del permesso premio non collegata ad una corrispondente regressione comportamentale da parte del condannato si pone in evidente frizione rispetto alla stessa logica di progressività che muove l'intero programma trattamentale.
In motivazione la Corte Costituzionale ha anche affermato che tra le finalità che la Costituzione assegna alla pena vi è sia quella di prevenzione generale e di difesa sociale, sia quella di prevenzione speciale e di rieducazione, il che comporta una certa flessibilità della pena in funzione dell'obiettivo della risocializzazione del reo.
Infatti la variabilità delle scelte di politica criminale che il legislatore è chiamato a compiere, in funzione della dinamica dei fenomeni criminali, comporta la necessità di un sistema flessibile che sia idoneo a plasmare i singoli istituti in funzione delle diverse esigenze che le scelte comportano.
Ne discende l'impossibilità di censurare in astratto opzioni normative solo perchè di tipo repressivo rispetto alle precedenti in quanto il legislatore può, nei limiti della ragionevolezza, far prevalere di volta in volta l'una o l'altra finalità della pena, a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata.
La sentenza della Corte Costituzionale si pone nel solco di altra pronuncia dello stesso tenore, la n.173 del 1999, che dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art.4 bis, Ordinamento Penitenziario, in relazione all'art.27, comma 3, Cost., nella parte in cui non prevedeva che il beneficio del permesso premio potesse essere concesso nei confronti dei condannati che, prima dell'entrata in vigore del testo più rigoroso dell'art.4 bis O.P. a seguito delle modifiche legislative introdotte con D.L. n.306 del 1992, convertito nella legge n.356/92, avessero realizzato le condizioni per usufruire del beneficio richiesto.
Pertanto, venendo alla dedotta questione di legittimità costituzionale, deve esserne dichiarata la manifesta infondatezza, in quanto il principio di irretroattività della legge, qualora non sia riferito a norme di diritto penale sostanziale, non è di rango costituzionale (C. Cost. n.153 del 1994; C. Cost. n.419 del 2000), purchè le norme retroattive trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non violino altri valori e interessi costituzionalmente protetti.
Orbene, nel caso in questione, e cioè in relazione alla modifica dell'art. 50 bis O.P. sulle condizioni per essere ammessi alla misura alternativa della semilibertà, poichè non si tratta di disposizioni che ne impediscono l'accesso, bensì di disposizioni che richiedono l'espiazione di un terzo di pena in più, non vi è nè lesione del principio del carattere rieducativo della pena, nè di quello della ragionevolezza, rientrando la scelta nei poteri riservati alla discrezionalità del legislatore.
Il ricorrente deve pertanto essere condannato al pagamento delle spese processuali.
                         P.Q.M.
La Corte dichiara manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale; rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 05 luglio 2006
Depositata in data 18 luglio 2006
 

 
 
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