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Penale.it - Valeria Falcone, Non specificare l’infondatezza delle dichiarazioni riportate equivale a diffamare (nota a Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 23 maggio 2008 - dep. 9 settembre 2008, n. 34940)

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Valeria Falcone, Non specificare l’infondatezza delle dichiarazioni riportate equivale a diffamare (nota a Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 23 maggio 2008 - dep. 9 settembre 2008, n. 34940)
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L'infondatezza della notizia va sempre specificata

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non è scriminato dall’esercizio del diritto di cronaca il giornalista che riporta nell’articolo delle vecchie accuse di un pentito ad un politico locale, in corsa per le elezioni comunali, senza precisare che si trattava di dichiarazione infondate richiamate solo come dato storico, cioè per dovere di narrazione.
Nella specie, la Cassazione penale ha annullato con rinvio, sia pur ai fini civili, la sentenza della Corte di appello di Milano, che aveva assolto un giornalista e un direttore responsabile di un quotidiano nazionale dai reati di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 c.p.) e di omesso controllo (art. 57 c.p.) per la pubblicazione di un articolo sulla situazione dell’amministrazione del Comune di Buccinasco, nel quale si scriveva che il politico locale P.M. era stato indicato dal pentito M.S. come “il referente delle cosche calabresi all’interno dell’amministrazione locale di Buccinasco”.
Con la sentenza in esame, la Corte Suprema precisa come la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto che nell’articolo incriminato fosse stato chiarito che le dichiarazioni del pentito erano state effettuate “sulla base di voci correnti e senza riscontri, tanto da uscirne indenne”. Tale citazione testuale è stata riferita dai giudici di secondo grado all’articolo in oggetto, mentre, afferma la Cassazione, “una tale precisazione nell’articolo non si trovava”, risultando riportata in un articolo successivo pubblicato a distanza di anni dal primo. Dal momento che il ragionamento della Corte territoriale è stato condizionato da un tale errore e si è fondato su una circostanza di fatto risultata inesistente, la Cassazione penale ha proceduto, quindi, all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili.
In conclusione, la V^ sezione della Cassazione penale considera espressione di legittimo esercizio di cronaca la divulgazione delle dichiarazioni di un pentito, che abbiano rilevanza pubblica essendo riferite ad un personaggio della politica, anche se le stesse siano poi risultate infondate, purchè il giornalista precisi che in seguito alle dichiarazioni medesime non è seguita nessuna iniziativa giudiziaria, nessuna indagine o condanna. Ciò rende evidente la portata solo storica del richiamo a tali dichiarazioni.
Tale pronuncia si inserisce nel filone giurisprudenziale della Cassazione penale e civile, che nel tempo ha dato rilevanza alla verità della notizia e alla necessità che la stessa sia completa e non travisata, come accade quando siano omessi fatti rilevanti per tentare di indirizzare il giudizio del lettore. Tra le altre: Cassazione penale, sez. V, 3 aprile 2008 n. 14062 in www.legge-e-giustizia.it;Cassazione penale, sez. V, 4 marzo 2005, n. 15986 in Ced Cassazione 2005, RV232131;Cassazione civile, sez. III, 4 luglio 2006, n. 15270 in Giust. civ. Mass. 2006, 7-8;Cassazione penale, sez. V, 14 febbraio 2005, n. 12859 in Ced Cassazione 2005, RV231687; Cassazione civile, sez. III, n. 11259 del 16 maggio 2007 in www.legge-e-giustizia.it.
 
Valeria Falcone, ottobre 2008
(riproduzione riservata)
 
 
 
Corte di cassazione
 
Sezione V Penale
 
Sentenza 23 maggio 2008, n. 34940
 
(dep. 9 settembre 2008)
 
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. NARDI      Domenico     - Presidente   -                     
Dott. PIZZUTI    Giuseppe     - Consigliere -                     
Dott. FEDERICO   Raffaello    - Consigliere -                     
Dott. SAVANI     Piero        - Consigliere -                     
Dott. DIDONE     Antonio      - Consigliere -                     
ha pronunciato la seguente:                                         
                      SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1)          P.M. N. IL (OMISSIS);
                               contro
2)       F.L. N. IL (OMISSIS);
3)       M.E. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 07/02/2007 CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.
SAVANI PIERO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Monetti Vito che
ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Tropea Luca;
udito il difensore avv. Mazzei P..
                
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
F.L. e M.E., nella rispettiva qualità di giornalista e direttore responsabile del quotidiano La Repubblica, dopo essere stati condannati dal Tribunale alle pene ritenute di giustizia, oltre il risarcimento del danno e la rifusione delle spese alla p.c. P.M., per il delitto di diffamazione a mezzo stampa, il primo, e di omesso controllo, il secondo, in relazione ad un articolo pubblicato il 5.6.2002 sulla situazione dell'amministrazione del Comune di Buccinasco in cui, riferendosi a P.M. si scriveva che era stato indicato dal pentito Mo.Sa. come il referente delle cosche calabresi all'interno dell'amministrazione locale di Buccinasco, sono stati assolti dalla Corte d'Appello, il F. perchè il fatto non costituisce reato per l'esercizio del diritto di cronaca e di critica, ed il M. per insussistenza del fatto.
Ricorre ex art. 576 c.p.p., per l'annullamento agli effetti civili della sentenza, la p.c. P.M., deducendo con il primo motivo contraddittorietà della motivazione della sentenza della Corte territoriale ed in particolare contraddizione tra l'indicazione del fatto per cui si procede, l'intero articolo in questione trasfuso espressamente nel capo A), ed il passaggio della motivazione in cui la Corte d'Appello ha riportato una frase nella quale cui si dava atto che le accuse di MO. erano risultate sfornite di riscontri, da ciò traendo spunto per l'assoluzione, frase attribuita all'artìcolo oggetto di procedimento che invece si trovava in un articolo successivo, pubblicato a distanza di anni, il 29.11.2005.
Con il secondo motivo deduce insufficiente motivazione della Corte d'Appello sul ricorrere della ritenuta scriminante, in merito alla quale il giudice nel riformare la sentenza di condanna non aveva considerato ed approfondito gli elementi - circa la parzialità della notizia e la sua incompletezza, con conseguente travisamento del vero - che gli erano stati sottoposti dalla p.c. nel giudizio di secondo grado.
Con il terzo motivo deduce l'erroneità della decisione della Corte territoriale con riferimento alle condizioni di applicabilità dell'esimente ritenuta in concreto, nonchè l'erroneità, dedotta con il quarto motivo, dell'affermazione della Corte che il P. avrebbe ben potuto operare una smentita con la richiesta di integrazione dei fatti pubblicati.
 
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene la Corte che il primo, assorbente, motivo sia fondato ed il ricorso debba essere accolto.
Infatti dal testo della sentenza impugnata emerge una contraddizione di fondo, tale da inficiarne il ragionamento che ha portato alla pronuncia assolutoria degli imputati.
Il capo di imputazione fa riferimento ad un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica in data 5.6.2002, quale presentazione della situazione politica emersa dal primo turno di elezioni per il rinnovo dell'amministrazione di Buccinasco, comune alle porte di Milano, per le quali era previsto a breve il turno di ballottaggio fra i candidati più votati. Nell'articolo si esaminavano le varie forze politiche presenti nel comune e si dava conto dell'esistenza di una lista civica asseritamente ispirata dal P., nei confronti del quale si affermava che era stato indicato dal pentito MO. S. come il referente delle cosche calabresi nell'amministrazione comunale di Buccinasco.
La Corte territoriale nella sua sentenza ha dato conto della motivazione del primo giudice, secondo cui la notizia, vera, che MO. aveva, all'epoca delle sue dichiarazioni quale collaboratore di giustizia, indicato il P. come referente delle cosche, aveva chiaro carattere diffamatorio perchè era stata data a circa dieci anni di distanza da quelle dichiarazioni e senza alcun riferimento al fatto che in seguito nessuna iniziativa giudiziaria, nessuna indagine o condanna era seguita a tali affermazioni, ed ha ritenuto di dover riformare in senso assolutorio per gli imputati una tale decisione sotto il profilo del ricorrere dell'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica, evidenziando come il richiamo dell'articolo all'indicazione da parte del MO. del P. quale referente politico dei clan malavitosi calabresi sarebbe stato chiarito come effettuato "sulla base di voci correnti e senza riscontri, tanto da uscirne indenne", con una citazione testuale che pare riferita all'articolo oggetto di imputazione, a dimostrazione dell'esistenza di quella specificazione che, rendendo evidente la portata solo storica del richiamo delle dichiarazioni di MO., ne consentiva la valutazione come legittimo e corretto esercizio del diritto di cronaca.
La Corte territoriale ha quindi considerato elemento decisivo per l'applicazione della scriminante quella precisazione, che tuttavia ha erroneamente riportato al testo dell'articolo del 2002, mentre nell'occasione per cui si procede una tale precisazione nell'articolo non si trovava.
Si tratta quindi di motivazione che si fonda su di una circostanza di fatto ritenuta come esistente, mentre risulta inesistente dal testo stesso del provvedimento impugnato, sulla base del mero esame del capo di imputazione che fa espresso richiamo dell'intero testo dell'articolo. Tutto il ragionamento della Corte territoriale è stato condizionato da un tale errore e da una tale intrinseca contraddizione, tanto che la decisione impugnata deve essere annullata e la situazione rivalutata nel merito, tenendosi conto dell'inesistenza del riferimento erroneamente considerato esistente dalla Corte d'Appello di Milano.
Trattandosi di impugnazione della parte civile ai soli effetti civili il rinvio per nuovo giudizio deve essere disposto ex art. 622 c.p.p. davanti al giudice civile competente per materia in grado di appello che deciderà anche sulla liquidazione delle spese relative a questo grado di giudizio.
 
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2008
 
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