Penale.it

Google  

Penale.it - Valeria Falcone, Aspetti penali della diffamazione a mezzo stampa (nota a Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 13 giugno 2008 – dep. 29 luglio 2008, n. 31619).

 La newsletter
   gratis via e-mail

 Annunci Legali




Valeria Falcone, Aspetti penali della diffamazione a mezzo stampa (nota a Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 13 giugno 2008 – dep. 29 luglio 2008, n. 31619).
Condividi su Facebook

Versione per la stampa

“Per l'individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica, è sufficiente il riferimento inequivoco a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto. Non occorre che dell'offeso sia indicato specificamente il nome, bastando che questi sia individuabile, per esclusione e in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che sia un ristretto gruppo di persone”.
Con sentenza del 29 luglio 2008 n. 31619, la Cassazione penale rigetta il ricorso presentato da una redattrice di un quotidiano locale avverso la sentenza della Corte di appello di Milano 31 ottobre 2007, che confermando quella di primo grado aveva accertato la sua penale responsabilità per diffamazione a mezzo della stampa.
L'accusa mossa alla redattrice era di aver offeso la reputazione del sig. R.A., scrivendo su un articolo di stampa che costui, guardia giurata, a seguito di un tamponamento era uscito dalla propria auto in stato di shock e aveva preso a insultare il conducente del mezzo che seguiva, minacciandolo di usare la pistola di ordinanza.
Quanto all'individuazione del sig. R.A. come soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, la Cassazione penale condivide il ragionamento della Corte di merito, secondo cui i parametri descrittivi usati nell'articolo giornalistico (luogo dell'incidente, data, ora, tipo di automobile coinvolta, qualifica lavorativa del soggetto) erano più che idonei ad individuare il protagonista della vicenda quantomeno nell'ambito dei colleghi e dei conoscenti dello stesso, tenuto anche conto del carattere “locale” della cronaca.
Nella sentenza in esame, la Cassazione penale sostiene, altresì, che correttamente i giudici dei primi gradi hanno motivato la falsità della notizia data nell'articolo di stampa, relativamente alla minaccia esplicita dell'uso della pistola a fini intimidatori e che “tale giudizio, di natura squisitamente fattuale, è riservato al giudice del merito senza che, in assenza di indicatori di manifeste lacune o irrazionalità di motivazione, la Corte di legittimità possa metterlo in discussione o censurarlo”. Anche in tema di verità putativa, la Cassazione sottolinea come l'erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l'applicazione della scriminante del diritto di cronaca “quando l'autore dello scritto diffamante non abbia proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria”.
Con riguardo alla responsabilità del direttore responsabile, la Cassazione penale ricorda che l'aggravante speciale dell’attribuzione di un fatto determinato, di cui all’art. 13 legge sulla stampa n. 47/1948, è prevista specificamente per il reato di diffamazione. Pertanto, posto che il delitto di omesso controllo, di cui all'art. 57 c.p., ha natura autonoma rispetto al delitto di diffamazione, “non può ritenersi che la suddetta aggravante sia contestabile anche in relazione alla posizione del direttore responsabile”.
La Cassazione analizza, infine, l’art. 12 della legge n. 47/1948 secondo cui “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato”. L’elemento della diffusione dello stampato può essere dedotto, secondo i giudici di legittimità, dall’ampiezza del territorio al quale attengono i fatti dei quali il giornale a diffusione locale si occupa ed è destinato ad occuparsi.
Si fa presente, per completezza, che la giurisprudenza attribuisce alla riparazione pecuniaria natura di sanzione civile, la quale si aggiunge e non si sostituisce al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale causato dall'illecito diffamatorio. Essa presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicché non può essere comminata alla società editrice, mentre può essere irrogata nei confronti del direttore responsabile, purché la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione (art. 595 c.p.) e non per omesso controllo colposo della pubblicazione diffamatoria ai sensi dell’art. 57 c.p. (tra le altre, Cass. civ., sez. III, 8 agosto 2007 n. 17395; Cass. pen., sez. V, 26 ottobre 2001, n. 1188;Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2000, n. 14485; contra:Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2002, n. 15114).
 
Valeria Falcone, dicembre 2008
(riproduzione riservata)

Testo integrale della sentenza:
 
Corte di cassazione
 
Sezione V Penale
 
Sentenza 13 giugno 2008, n. 31619
 
(dep. 29 luglio 2008)
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente
Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere
Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere
Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) CALVI SIMONA, N. IL 07/09/1972;
2) JACOBELLI XAVIER, N. IL 29/08/1959;
avverso SENTENZA del 31/10/2007 CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. VESSICHELLI MARIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Vittorio Meloni, che ha concluso per il rigetto.
 

FATTO E DIRITTO

Propongono ricorso per cassazione Calvi Simona e Jacobelli Xavier avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 31 ottobre 2007 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della loro penale responsabilità rispettivamente in ordine ai reati di diffamazione col mezzo della stampa e omesso controllo ex art. 57 c.p..
L'accusa mossa era quella di avere la Calvi, quale redattrice di un articolo di stampa apparso sul quotidiano "il Giorno" del 19 marzo 2004, offeso la reputazione di Rossetto Antonio scrivendo che costui, guardia giurata, a seguito di un tamponamento, era uscito dal la propria auto in stato di shock, aveva preso a insultare il conducente del mezzo che seguiva e lo aveva minacciato di usare la pistola di ordinanza.
Lo Jacobelli era stato invece accusato di non avere esercitato, quale direttore responsabile del giornale, il dovuto controllo e di non avere impedito la pubblicazione dell'articolo diffamatorio, contenente oltretutto notizie non corrispondenti al vero. Deducono:
1) la erronea applicazione dell'art. 595 c.p. ed il correlato vizio di motivazione.
La Corte di merito aveva ritenuto che l'autore della condotta descritta nell'articolo fosse individuabile all'interno della comunità monzese, peraltro ampia, essendo stato, l'articolo, pubblicato nella cronaca della cittadina lombarda. Gli indicatori utilizzati dalla Corte evidenziavano però che la individuazione era tutt'altro che certa. La stessa Corte poi aveva omesso di motivare sul fatto, posto in evidenza nei motivi di appello, che il danno morale era stato liquidato dal giudice di prime cure in termini contenuti per "la incertezza sulla individuazione". In secondo luogo la notizia era stata giudicata dalla Corte come "falsa", nonostante che nell'atto di appello si fosse dimostrato che il nucleo della verità era stato rispettato, come desumibile dalla deposizione del teste Pusineri che aveva confermato di avere udito le minacce di morte proferite dal Rossetto.
Era stata illegittimamente negata la esimente del diritto di cronaca - richiesta anche soltanto sotto il profilo putativo - perché ritenuta priva di riscontro la tesi della verifica da parte della Calvi, sulla veridicità della notizia, presso addetti della Polizia municipale. Invece, la istruttoria espletata aveva confermato che ausiliari della Polizia erano stati effettivamente presenti sul luogo dell'incidente.
La Calvi, come segnalato nei motivi di appello, aveva effettuato la telefonata alla Centrale operativa per ricevere la conferma dei fatti e tale condotta doveva far ritenere sia la stessa, che il direttore responsabile del giornale esenti da responsabilità. 2) sarebbe errato e immotivato il giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche e della aggravante speciale, nonostante che nei motivi di appello si fosse sollecitato il giudizio di prevalenza in ragione della incensuratezza degli imputati e della modestia della offesa arrecata.
Segnala il difensore , comunque, che l'aggravante dell'uso del mezzo della stampa non è contestabile al direttore responsabile chiamato a rispondere dell'omesso controllo, come ritenuto in un recente sentenza della Cassazione (n. 1969 del 2007).
Non sarebbero stati utilizzati in modo corretto i criteri dell'art. 133 c.p., per la determinazione della pena, alla luce del principio per cui una stessa circostanza non può essere valutata due volte;
3) immotivata sarebbe la conferma della liquidazione del danno morale nella misura di Euro 2000,00;
4) sarebbe poi erronea l'applicazione dell'art. 12 L. stampa, essendo stato utilizzato un criterio - quello della ampia diffusione dello stampato nel Comune di Monza - non provato in relazione al fatto. In data 28 maggio 208 è pervenuta una memoria nell'interesse dei ricorrenti nella quale, contestata la rilevanza ai fini del decidere, del titolo dell'articolo di stampa, l'estensore si riporta agli argomenti già illustrati nel ricorso principale.
Il ricorso di Calvi è infondato e deve essere rigettato mentre quello di Jacobelli può trovare accoglimento limitatamente alla questione sulla (non) contestabilità al direttore responsabile della circostanza aggravante speciale in tema di reati commessi col mezzo della stampa.
La sentenza, con l'eccezione appena menzionata, è correttamente motivata e non presenta alcuno dei vizi lamentati dai ricorrenti. Quanto alla prima censura si osserva che essa è infondata. La Corte di merito ha fatto corretto uso della corrente interpretazione giurisprudenziale dell'art. 595 c.p., secondo cui per l'individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica, è sufficiente il riferimento inequivoco a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto (rv 229313) e non occorre che dell'offeso sia indicato specificamente il nome, bastando che sia individuabile per esclusione, in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto l'offeso venga individuato da un ristretto gruppo di persone (rv 139108).
La reputazione di un individuo, che è il bene giuridico protetto dalle norme in contestazione, è destinato a trovare tutela, al pari della stima diffusa nell'ambiente sociale, a prescindere dalla ampiezza della comunità nella quale il comportamento in discussione è identificabile con certezza così come il suo autore. Nella specie la Corte ha dato atto della circostanza che i parametri descrittivi usati nell'articolo (luogo dell'incidente, data, ora, tipo di automobile coinvolta, qualifica lavorativa del soggetto) fossero più che idonei, tenuto conto anche del carattere "locale" della cronaca, per rendere individuabile il protagonista della vicenda quantomeno nell'ambito dei colleghi e dei conoscenti nell'ambito cittadino.
Quanto al fatto che il giudice di prime cure avrebbe quantificato il danno tenendo conto del dato della "incertezza" della individuazione, è appena il caso di rilevare che, trattandosi di una affermazione contenuta in una sentenza diversa da quella impugnata e in questa non riprodotta, non può costituire il polo di una assunta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, posto che tale illogicità deve essere interna alla motivazione che lo sorregge. Sul secondo punto del primo motivo, col quale si contesta la affermazione di "falsità" della notizia pubblicata, la censura del ricorrente si risolve in una inammissibile sollecitazione rivolta al giudice della legittimità affinché rivaluti il materiale probatorio acquisito.
La testimonianza citata nel ricorso (teste Pusineri) non è stata ignorata dalla Corte di merito che, invece, ne ha fatto oggetto di specifica disamina osservando che costituiva elemento di prova proprio a carico dei ricorrenti.
Il teste, cioè, è stato ritenuto fonte di prova del fatto che la persona offesa in stato di shock, avesse pronunciato sottovoce, al solo medico che la soccorreva, la frase "io a quello gli sparo", oltretutto senza che nessuno lo sentisse e senza estrarre la pistola dalla fondina.
I giudici dei primi gradi, su tale base , hanno dunque correttamente e logicamente motivato la falsità della notizia, data nell'articolo di stampa, relativamente alla minaccia esplicita dell'uso della pistola a fini intimidatori e tale giudizio, di natura squisitamente fattuale, è riservato al giudice del merito senza che, in assenza di indicatori di manifeste lacune o irrazionalità di motivazione, la Corte di legittimità possa metterlo in discussione o censurarlo. Oltretutto è indiscutibile che la prospettazione dell'utilizzo abusivo della pistola da parte di un addetto privato alla sicurezza costituisce il nucleo dell'addebito infamante, la notizia lesiva della reputazione, in grado di attentare alla stima di cui la guardia giurata, in ambito professionale e fuori di esso, deve godere perché sia ritenuto idoneo ad espletare in modo equilibrato, oltre che legittimo, le proprie mansioni.
Anche in tema di putatività dell'esercizio del diritto di cronaca, il motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Il principio che regola la materia, generalmente accreditato dalla giurisprudenza di questa Corte e non posto in discussione nemmeno nel ricorso, è quello per cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l'applicazione della scriminante del diritto di cronaca (sotto il profilo putativo) quando l'autore dello scritto diffamante non abbia proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria (rv 219638).
Nella specie, la tesi della difesa è stata quella della avvenuta verifica della notizia presso la fonte accreditata ma la Corte di merito ha disatteso tale tesi in punto di fatto, ritenendola non riscontrata da prove sufficienti.
Anche quello in questione è un giudizio di fatto che, non contrastato in modo incisivo e rilevante dai ricorrenti, non può ulteriormente essere vagliato da questa Corte, la quale non può sostituire la propria valutazione a quella non illogica ne' lacunosa del giudice del merito.
Sul secondo motivo - prima parte - si rileva che la censura dei ricorrenti - con la precisazione di cui si dirà per quanto concerne la posizione dello Jacobelli - si risolve in una inammissibile richiesta di rinnovare il giudizio di fatto sotteso al vaglio sul bilanciamento delle circostanze.
La Corte ha effettuato il giudizio di equivalenza e non quello di prevalenza sulla base di una motivazione che coinvolge complessivamente la portata del fatto, qualificato come modesto quanto alle sue caratteristiche estrinseche e oggettive, ma foriero di una indubbia lesione per la immagine morale della persona offesa. La seconda parte del secondo motivo esprime una censura invece meritevole di accoglimento.
Questa Corte ha già rilevato, nella sentenza n. 42067 del 2007 e con assoluta fedeltà al testo di legge, che l'aggravante speciale ex art. 13 L. stampa è prevista per il reato di diffamazione e, posto che il delitto previsto dall'art. 57 c.p., ha natura autonoma rispetto al delitto di diffamazione, non può ritenersi che la suddetta aggravante sia contestabile anche in relazione alla posizione del direttore responsabile.
Nella specie, risultando che allo Jacobelli era stata espressamente elevata la imputazione come aggravata L. n. 47 del 1948, ex art. 13, deve rilevarsi la detta violazione di legge ed escludersi la aggravante. Con l'effetto che le ritenute circostanze attenuanti generiche, non più destinate ad un bilanciamento, sono naturalmente produttive dell'effetto di mitigazione della pena base. La misura di detta mitigazione è agevolmente individuabile da questa stessa Corte nella entità pressoché massima prevista dalla legge, e la pena finale, già individuata dalla Corte di merito in Euro 400,00 va ulteriormente ridotta fino ad Euro 300,00 di multa.
L'ultima parte del secondo motivo integra una censura inammissibile per carenza di interesse.
La eventuale violazione del principio ermeneutico in base al quale la stessa circostanza di fatto non potrebbe essere utilizzata due volte ai fini cioè del computo della pena e della determinazione della diminuzione per le attenuanti generiche, si risolverebbe, ove riscontrata da questa Corte, in un trattamento deteriore del ricorrente e in una inammissibile reformatio in peius, comportando il venir meno della applicabilità delle circostanze ex art. 62 bis c.p..
La censura è comunque formulata in modo assolutamente generico e senza riferimento alcuno a possibili lacune in relazione ai motivi di appello.
La censura alla quantificazione del danno morale, riservata in via equitativa al giudice del merito, è rimessa al suo prudente apprezzamento e non è sindacabile in sede di legittimità, se ha soddisfatto la esigenza di ragionevole correlazione tra gravità effettiva del danno ed ammontare dell'indennizzo, correlazione motivata attraverso i concreti elementi che possono concorrere al processo di formazione del libero convincimento.
Nella specie i giudici hanno citato i parametri del ragionamento (esistenza della lesione alla sfera morale del soggetto, pur in presenza di un fatto complessivamente di modesta entità) e questo è sottoposto a censura dal ricorrente in termini assolutamente generici e apodittici.
Identiche considerazioni valgono quanto al motivo di ricorso sub 4), trattandosi di giudizio di fatto compiutamente argomentato. La diffusione dello stampato è uno dei criteri previsti dal legislatore per la determinazione della riparazione pecuniaria fissata dall'art. 12 L. Stampa e bene il giudice può dedurre tale elemento dalla ampiezza del territorio al quale attengono i fatti dei quali il giornale, a diffusione locale, si occupa e è destinato ad occuparsi.
A fronte di tale deduzione, implicita ma connaturata alla valutazione della sentenza, il motivo di ricorso appare del tutto aspecifico, cioè costituito da una censura generica e quindi inammissibile. La memoria difensiva ha infine sollevato una questione (quella sulla rilevanza del titolo dell'articolo) di carattere non decisivo ai fini della soluzione da adottare.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso della Calvi che condanna al pagamento delle spese del procedimento; annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla sussistenza della aggravante ex art. 13 L. Stampa, che elimina riducendo la pena ad Euro 300,00 di multa. Così deciso in Roma, il 13 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2008
 
© Copyright Penale.it - SLM 1999-2012. Tutti i diritti riservati salva diversa licenza. Note legali  Privacy policy