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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 21 aprile 2010 (dep. 10 giugno 2010), n. 22045

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Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 21 aprile 2010 (dep. 10 giugno 2010), n. 22045
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Il reato di cui all'art. 5 d.lgs. n. 74/2000 si considera consumato decorsi novanta giorni dall'ultima tra le scadenze previste dalla normativa tributaria per la presentazione delle dichiarazioni delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. L’erronea indicazione nel capo di imputazione della data di consumazione del reato non comporta alcuna lesione del diritto di difesa, posto che la data di consumazione del reato è fissata direttamente dalla legge.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. ONORATO      - Presidente
Dott. CORDOVA      - Consigliere
Dott. FIALE      - Consigliere
Dott. AMORESANO      - Consigliere
Dott. PETTI      - Rel. Consigliere

IN FATTO

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza dell’8 ottobre del 2009, in parziale riforma di quella resa dal Tribunale di Pesaro il 14 luglio del 2008, revocava la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e confermava nel resto la sentenza impugnata, con la quale X era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, quale responsabile del reato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000, per avere omesso, quale legale rappresentante della società Alfa S.r.l. di presentare la dichiarazione Iva al fine di conseguire l’evasione della relativa imposta ammontante per l’anno 2001 a lire 677.398.000.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

- la violazione dell’art. 521 c.p.p., per l’inosservanza o violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato o fatto ritenuto in sentenza nel senso che, mentre nella contestazione il reato era stato considerato consumato nel mese di maggio del 2002, nella sentenza si è ritenuto commesso nell’ottobre del 2002, nonché omessa motivazione sul punto, in quanto non erano state esaminate le censure avanzate con il motivo d’appello; la circostanza era rilevante perché il prevenuto alla data indicata nel capo di imputazione, non era il legale rappresentante della società mentre lo è divenuto alla data indicata in sentenza ossia alla data in cui i giudici hanno individuato il termine per la presentazione della dichiarazione;

- la mancanza di motivazione in merito all’individuazione della data del 31 ottobre del 2002, quale termine ultimo per presentare la dichiarazione Iva; inoltre, qualora la Corte avesse voluto fare riferimento alla dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2001 presentata per via telematica, avrebbe dovuto indicare il termine del 20 luglio del 2002 e non quello del 31 ottobre del 2002 e, alla data del 20 luglio 2002, l’imputato non aveva ancora assunto la carica di legale rappresentante della società. Inoltre non si era tenuto conto della circostanza che le cariche societarie diventano operative ai fini fiscali dopo 60 giorni dalla pubblicazione delle medesime.
Sulla base di tali censure si chiede l’annullamento della decisione impugnata.
 
IN DIRITTO
 
Il ricorso va respinto perché infondato. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di correlazione tra accusa e sentenza deve essere esaminato da un punto di vista teologico funzionale nel senso che il problema non può risolversi in base ad un mero confronto letterale tra il fatto imputato e quello ritenuto in sentenza, ma, avuto riguardo allo scopo dell’imputazione, che è quello di consentire all’imputato di difendersi; occorre stabilire se il prevenuto si sia o no trovato nell’impossibilità di difendersi dalla diversa accusa ritenuta dal giudice. Nel caso in esame tale violazione non si è verificata perché la data di consumazione del reato indicata nel capo d’imputazione era palesemente frutto di errore e tale errore era facilmente rilevabile dal contenuto della contestazione.
L’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000, punisce, invero, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 77.468,53.
Si tratta quindi di un delitto di pura omissione che si realizza con l’omessa presentazione di una delle dichiarazioni annuali relative o all’imposta sui redditi o quella sul valore aggiunto e che si consuma non nel momento in cui scade il termine per la presentazione delle dichiarazioni fissato dalla norma tributaria, ma, in virtù dell’art. 5, capoverso, citato, con il decorso di novanta giorni dalla scadenza del termine previsto dalle leggi tributarie. Se le scadenze sono diverse si deve, per il principio del favor rei, tenere conto di quello che scade per ultimo. Orbene, per quanto riguarda la dichiarazione Iva, le scadenze previste dalla normativa tributaria vigente, nel momento del fatto, sono state fissate al 31 luglio dell’anno successivo al periodo d’imposta, se la dichiarazione viene presentata in banca o alla posta, o al 31 ottobre, se presentata per via telematica (cfr. art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 322/1998, come modificato dal D.P.R. n. 431 del 2001). Di conseguenza, il reato ai fini penali si considera consumato trascorsi novanta giorni dall’ultima scadenza. Nella fattispecie si considera consumato il 29 gennaio del 2003.
L’erronea indicazione nel capo di imputazione della data del 31 maggio non ha comportato alcuna lesione del diritto di difesa, posto che la data di consumazione del reato è fissata direttamente dalla legge. In definitiva, una volta contestato il delitto di omissione della dichiarazione annuale Iva per l’anno 2001, era agevole individuare la data della consumazione del reato. Ed a tale data la rappresentanza della società era stata già assunta dal ricorrente.
 
P.Q.M.
 
la Corte letto l’art. 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
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