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Nicola Canestrini, Presunzione di innocenza, diritto di cronaca, giusto processo
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Il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. dovendo peraltro, in materia di cronaca giudiziaria, confrontarsi anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Costituzione.

 Avv. Nicola Canestrini 

 L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale prevista dagli artt. 112 della Costituzione, l’indipendenza della magistratura,  ed il diritto di cronaca sancito dall’art. 21 della medesima Carta costituzionale (“pietra angolare del sistema democratico”) sono principi connaturati allo stato di diritto, caratterizzato dalla separazione tra poteri, con controllo dell’opinione pubblica sull’esercizio del potere per l’insostituibile tramite dei mezzi di informazione.

 
Detti principi vanno peraltro coordinati con altri beni giuridici tutelati dalla nostra Costituzione come dalle primarie convenzioni internazionali che sanciscono diritti fondamentali; nella pratica, si pone il problema del conflitto fra il diritto di cronaca ed il principio di presunzione di innocenza
 
Si pensi alla pratica delle forze di polizia di fare conferenze stampa, presentando ipotesi investigative come se fossero sentenze definitive, fornendo particolari e foto degli arrestati, senza alcun contraddittorio con le difese, che nella migliore delle ipotesi vengono interpellate nei giorni successivi, dovendo affrontare una opinione pubblica prevenuta, e senza aver nemmeno visto tutti gli atti.
 
Dette notizie sono purtroppo troppo spesso recepite acriticamente da parte degli operatori dell’informazione, ridotti a megafoni della ipotesi investigativa, senza che i giornalisti esercitino alcun controllo critico delle affermazioni. 
 
Detta pratica, spesso giustificata in nome del diritto di cronaca (che notoriamente discende dall’articolo 21 Grundnorm) non trova, a ben vedere, “automatica” copertura costituzionale né da parte della convenzioni internazionali.
 
In conformità a una giurisprudenza più che consolidata della Suprema Corte, a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per diffamazione, devono ricorrere tre condizioni consistenti: 
 
a) nella verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui «il testo va letto nel contesto», il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (Cass. sez. III, 14-10-2008, n. 25157); 
 
b) nella sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, vale a dire nella c.d. pertinenza (ex multis: Cass. n. 5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366); 
 
c) nella forma «civile» dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè nella c.d. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire; deve essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259). 
 
In sostanza soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia dello stesso soddisfa l’interesse pubblico all’informazione, che è la ratio dell’art. 21 della Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, riportando l’azione nell’ambito dell’operatività dell’art. 51 cod. pen. e rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza.
 
Invero il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. dovendo peraltro, in materia di cronaca giudiziaria, confrontarsi anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. (cfr. testualmente, Cassazione civile - Sezione terza - sentenza 16 giugno - 20 luglio 2010, n. 16917, Ricorrente Vespa).
 
In tale ordine concettuale la giurisprudenza anche penale della Corte di Cassazione è costante nel sottolineare il particolare rigore con cui deve essere valutata la prima delle condizioni sopra indicate, precisando che la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso (v. Cass. pen sez. V, 3.6.98, Pendinelli; sez. V, 21.6.97, Montanelli, n. 6018). 
 
L’esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria di cui all’art. 51 cod. pen., va, dunque, esclusa allorché manchi la necessaria correlazione tra fatto narrato e fatto accaduto, il che implica l’assolvimento dell’obbligo di verifica della notizia e, quindi, l’assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonché il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. pen., Sez. V, 14/02/2005, n. 12859; cfr. anche Cass. civ., Sez. III, 17/07/2007, n. 15887).
 
Il punto è che i rapporti fra giustizia ed informazione necessitano di un ragionevole bilanciamento di valori. 
 
Il processo è infatti un insieme molto complesso e molto sofisticato, caratterizzato da precise regole che l’azione indiscriminata dei mezzi di informazione sovente fa andare in frantumi. 
 
La fase investigativa, quella che culmina nelle conferenze stampa “spettacolo”, è appunto solo una fase del processo, che solo cronologicamente precede le altre fasi: non è affatto la più importante delle fasi processuali. 
 
E’ infatti il dibattimento il luogo della formazione della prova, il momento del convincimento del giudice, è il dibattimento il luogo del contraddittorio, delle deposizioni dei testi che dovranno rispondere ad entrambe le parti processuali, è il dibattimento che con la sua pubblicità garantisce un processo equo. 
 
La fase investigativa deve poter ipotizzare, supporre, insinuare: ma solo se tali sospetti, illazioni, supposizioni reggeranno il vaglio del processo si formerà la verità processuale. 
 
Ma i tempi della giustizia sono lunghi, e dunque la resa giornalistica dell’arresto è maggiore di quella della sentenza, che interviene a distanza di tempo rispetto al fatto reato.
 
E’ stato efficacemente scritto  che più il processo si dilata cronologicamente e più il principio della presunzione di innocenza, che trova altissimo fondamento nell’articolo 27/2 della Costituzione, tende fatalmente a sbiadire nella coscienza collettiva, influenzata da “sentenze di colpevolezza giornalistiche”, alimentate da ipotesi investigative presentate come accertamento definitivo, con linguaggio poco sorvegliato e dunque percepite dalla collettività in chiave negativa, di stigmatizzazione sociale, lasciando spazio ad anticipati giudizi di reità, i quali si ripercuotono a loro volta sulla vicenda giudiziaria. 
 
Nel processo virtuale condotto sui mezzi di informazione, l’accusato è costretto a discolparsi se vuole contrastare la deriva giustizialista. 
 
In dubio contra reum, dunque. 
 
A nulla sono valse le normative costituzionali o internazionali: si pensi all’articolo 111 della Costituzione che sancisce il diritto ad essere informati “riservatamente” dei motivi dell’accusa, ma anche alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo.
 
Il 26 aprile 1979 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha pronunciato la sentenza “Sunday Times contro Regno Unito”, affermando il principio che la stampa non solo può dare informazioni sui procedimenti pendenti, purché siano rispettate talune condizioni, in particolare la presunzione d’innocenza, ma che ciò è anzi uno dei suoi compiti .
 
Ma la stessa Corte europea più volte statuì come l’attività di informazione dei mezzi di comunicazione di massa di autorità pubbliche rispetto a procedimenti penali in corso debba essere svolta “con tutta la discrezione e con tutto il riserbo imposti dalla presunzione di innocenza” (“with all the discretion and circumspection necessary if the presumption of innocence is to be respected” , testualmente Allenet de Ribemont vs. Francia, 10 febbraio 1995, par. 38) .
 
Nell’importante sentenza “Worm contro Austria”, del 29 agosto 1997, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ribadito che anche i giornalisti devono rispettare la presunzione d’innocenza, quale definita dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e che essa tutela anche le personalità pubbliche e gli uomini politici .
 
(..) public figures are entitled to the enjoyment of the guarantees of a fair trial set out in Article 6, which in criminal proceedings include the right to an impartial tribunal, on the same basis as every other person. This must be borne in mind by journalists when commenting on pending criminal proceedings since the limits of permissible comment may not extend to statements which are likely to prejudice, whether intentionally or not, the chances of a person receiving a fair trial or to undermine the confidence of the public in the role of the courts in the administration of criminal justice .
 
Di più: la Corte Europea ha senza mezzi termini statuito come la presunzione di innocenza costituisca uno dei requisiti per il giusto processo (fair trial), principio violato se le dichiarazioni di un pubblico ufficiale relative ad un indagato lascia intendere che egli sia colpevole prima della sentenza di condanna (Daktaras vs. Lituania, III sezione, 10 ottobre 2000, numero di registro 42095/98 ).
 
Del resto, nel 2003 il Consiglio d’Europa emanava una raccomandazione in tema di diffusione di notizie relative a procedimenti penali, stabilendo che tali notizie possono essere diffuse solo se le stesse non rechino pregiudizio alla presunzione di innocenza, imponendo alle forze di polizia di fornire solo “informazioni verificate” o “basate su assunti ragionevoli”.
 
Il diritto - dovere di giudicare è dei giudici, non degli operatori di polizia giudiziaria, non dei giornalisti: se tutti gli attori di questo complesso meccanismo chiamato giustizia, in cui certamente anche l’opinione pubblica ha una sua importanza correlata all’interesse pubblico della notizia, si attenessero ai loro compiti, il risultato sarebbe un processo più giusto. 
 
 
 
Allegati (sub www.canestrinilex.it):
 
1. COUNCIL OF EUROPE - COMMITTEE OF MINISTERS, Recommendation Rec(2003)13 of the Committee of Ministers to member stateson the provision of information through the media in relation to criminal proceedings
2. EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS - CASE OF DAKTARAS v. LITHUANIA
 
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