Nota a sentenza Cass. pen. Sez. V, n. 48072 del 27 settembre 2011 dep. 22 dicembre 2011
La convivenza in condominio – è noto – si fonda su equilibri molto delicati. L’ordinamento ha previsto numerose regole per evitare attentati a quella che è, di fatto, una convivenza forzata (per taluni aspetti e situazioni) con soggetti che non si è scelto – reciprocamente – di avere come vicini (molto vicini) di casa.
Ma le norme non bastano quasi mai e serve anche il buon senso.
Così, una donna si è recata al piano superiore del condominio dove abitava, per protestare la sua richiesta di silenzio con la vicina: nel farlo, scampanellava ripetutamente alla porta (forse perché la vicina non sentiva, tanto era il rumore), alzando la voce e rappresentando che il bambino di otto mesi non riusciva a dormire per il baccano.
Ma il fuoco del diverbio era ormai divampato (per lo scampanellio? per altre ruggini?). La vicina rispondeva pronunciando epiteti quale “vaffanculo”, “non mi rompere i coglioni”, “non mi rompere il cazzo”.
Secondo i giudici della Suprema Corte, investita del ricorso dell’imputata contro le sentenze di primo e di secondo grado che l’avevano vista condannare per il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) – e soccombere conseguentemente davanti alla vicina che invocava il silenzio, costituita parte civile – non può dubitarsi circa la portata offensiva delle frasi pronunciate. Secondo i giudici della Quinta Sezione, gli epiteti non erano solo “indice di cattiva educazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa invadenza dell’offeso, ma anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell’interlocutore”; inoltre, le frasi debbono essere contestualizzate al fine di denunciarne la portata lesiva o meno. In tale caso, trattandosi di un ambito conflittuale tra vicini, le frasi avevano certamente contenuto offensivo. D’altra parte, la valutazione de qua spetta ai giudici di merito che hanno concluso – con motivazione esente da manifeste illogicità – in questo senso.
Nessuna concessione per il fatto che le parole pronunciate fanno parte del linguaggio che sempre più spesso (e sempre con meno consapevolezza, data la cattiva abitudine) contraddistingue il rapporto tra individui. In base al contesto in cui vengono proferite, oltre a segnalare l’inciviltà, possono essere offensive e dare vita a un illecito penalmente perseguibile.
Annalisa Gasparre, dicembre 2011
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