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 Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 12 luglio 2006 (dep. 9 agosto 2006), n. 28662/2006 (2438/2006)

Permessi premio anche agli ergastolani

                         REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FABBRI Gianvittore - Presidente
Dott. SANTACROCE Giorgio - Consigliere
Dott. SILVESTRI Giovanni - Consigliere
Dott. GIRONI Emilio G. - Consigliere
Dott. VANCHERI Angelo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da S.S., nato il ...,  avverso l'ordinanza del 04/11/2005 del Tribunale di Sorveglianza di Caltanisetta;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Vancheri Angelo;
Lette le conclusioni del P.G., Dr. DELEHAYE ENRICO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Osserva:
                        IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza del 4.11.2005 il Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta rigettava il reclamo proposto da S.S.
contro il provvedimento in data 26.9.2005 del Magistrato di Sorveglianza della stessa città, con cui era stata dichiarata
inammissibile la domanda di concessione di un permesso premio, osservando che le pene in esecuzione si riferivano a reati  ostativi ai sensi dell'art. 4-bis Ordin. Penit., comma 1 e che, comunque, la pericolosità sociale del condannato e il pericolo di fuga connesso con l'entità della pena (ergastolo) non consentivano la concessione del beneficio premiale.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il S., denunciando erronea applicazione di legge, sul rilievo
che il Tribunale si era pronunciato negativamente senza tuttavia procedere alla raccolta delle informazioni necessarie per la
decisione, non avendo verificato se, come da lui affermato, aveva scontato le pene riferibili a reati ostativi e avendo basato la decisione su una apodittica affermazione di persistente pericolosità.
Ciò premesso, osserva la Corte che il ricorso è fondato e va accolto.
E' infatti evidente la violazione, da parte del Tribunale di Sorveglianza, della norma di cui all'art. 666 c.p.p., comma 5 e di quella di cui all'art. 30 bis Ordin. Penit., comma 4, chiaramente applicabili nella specie, secondo cui, prima di pronunciarsi, il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno ai fini della decisione.
Nella specie il tribunale, dopo avere dato atto che il condannato aveva dedotto che aveva scontato le pene riferibili a reati ostativi ex art.4-bis c.p.p., ha omesso qualsiasi accertamento in proposito, affermando che nella specie faceva difetto il requisito della collaborazione e che, in ogni caso, il condannato doveva considerarsi ancora socialmente pericoloso, facendo esclusivo riferimento ai reati commessi, e ravvisando il pericolo di fuga, agganciandolo semplicemente all'entità della pena in corso di esecuzione, mentre, prima di pronunciarsi, avrebbe dovuto chiaramente svolgere gli accertamenti e le indagini del caso.
A tal proposito va rammentato che questa Corte ha ormai da tempo affermato il principio secondo cui, in sede di giudizio per
l'ammissione del condannato ai benefici penitenziari, si deve avere esclusivo riguardo ai risultati del trattamento individualizzato di rieducazione e recupero del condannato, senza fare riferimento nè alla gravità dei reati commessi, nè alla pericolosità ritenuta dal giudice della cognizione, elementi ai quali può farsi ricorso solo come supporti sussidiari ai fini dello studio della personalità del condannato in relazione alla possibilità del suo reinserimento sociale (v. Cass., Sez. 1^, sent. n. 2464 del 12.7.1990, Braghi; Sez. 1^, sent. n. 2167 dell'11.5.1993, P.M. c/Zanetti; Sez. 1^, sent. n. 407 del 26.1.1995, Agnello ecc.).
A ciò si aggiunga che l'eventuale pericolo di fuga non può ovviamente essere legato esclusivamente all'entità della pena da
scontare, ma occorre fare riferimento anche ad altri parametri, desumibili dal comportamento mantenuto dal condannato nel corso della detenzione e dai risultati dell'opera di trattamento, specie quando, come nella specie, l'esecuzione della pena abbia avuto inizio molti anni prima.
Il provvedimento impugnato risulta quindi carente di adeguata motivazione.
Ne deriva che l'ordinanza gravata di ricorso va annullata, con conseguente rinvio al medesimo Tribunale di Sorveglianza per  nuovo giudizio che tenga conto dei rilievi di cui sopra.
     
                         P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2006
 
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