Penale.it  
 Tribunale di Napoli, Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari - Ufficio 4, Ordinanza 16 ottobre 2007

Un articolato provvedimento in tema di colpa medica e violazione dell'obbligo di vigilanza da parte degli operatori scolastici

N. ****/** R.G.N.R.
N. ****/** R.G.G.I.P.
 
 
 
TRIBUNALE DI NAPOLI
 
SEZIONE DEL G.I.P. - UFFICIO 4
 
 
ORDINANZA DI RIGETTO DI OPPOSIZIONE A RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
 
 
Il G.I.P.
           
sciogliendo la riserva formulata all’udienza in camera di consiglio del 16 ottobre 2007 sull’opposizione proposta in data 14-5-2007 dalla persona offesa L.M.G. alla richiesta del P.M. di archiviazione del procedimento, promosso nei confronti di GE. A. ed altri per il reato di cui all'art. 589 c.p.;
 
OSSERVA
 
 
1. Il fatto oggetto del procedimento penale.
 
Il presente procedimento penale riguarda il decesso di L.M. C., una bambina dell’età di cinque anni. A seguito di una caduta verificatasi a scuola il giorno 22 maggio 2006, alle ore 15.45, la piccola C. ha riportato un trauma cranico, una ecchimosi sottomentoniera ed una grave lacerazione dei vasi del collo. Soccorsa nell’immediatezza, è stata trasportata presso il Pronto Soccorso dell’ospedale civile di Procida alle ore 16.10 con diagnosi di “stato stuporoso in trauma cranico chiuso second. A lipotimia”. Dopo l’osservazione necessaria, lo svolgimento di una consulenza rianimatoria e l’esecuzione di esami ematocritici, la bambina è stata trasferita in eliambulanza all’ospedale Cardarelli di Napoli dove è giunta alle ore 18.00. Alle ore 18.15, la piccola C. è giunta presso la Divisione di Neurochirurgia pediatrica del suddetto nosocomio, dove sono stati praticati alcuni esami. E’ stata poi trasferita nel reparto di rianimazione pediatrica del medesimo nosocomio alle ore 20.00 dello stesso giorno; quindi, è stata trasportata alla Divisione di Cardiochirugia pediatrica dell’ospedale Monaldi per essere sottoposta, alle ore 22.00, ad un intervento chirurgico vascolare di urgenza. Le condizioni cliniche della bambina, nonostante l’operazione chirurgica, non hanno sortito alcun miglioramento. La piccola è deceduta in data 27.05.06.
 
 
            2. Le indagini preliminari e la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero.       
 
Il Pubblico Ministero, raccolta la denuncia della parte offesa, ha iscritto nel registro degli indagati il dott. L. M., medico dell’unità di chirurgia d’urgenza dell’ospedale Cardarelli che ha ricevuto la bambina, i dottori GE. A. e C. M., anestesisti rianimatori pediatrici del medesimo nosocomio, la maestra C.A. ed A.V., insegnante di sostegno destinata alla bambina.
La pubblica accusa, all’esito delle indagini preliminari, ha chiesto l’archiviazione del procedimento non si ravvisando gli estremi del reato di omicidio colposo o, comunque, non ritenendo sussistenti elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio.
Il Pubblico Ministero, in particolare, ha rilevato che, in base alla documentazione medica acquisita ed alla consulenza medico legale dei dottori Vacchiano e Tecchia, che “la piccola C. era affetta da una serie di patologie congenite caratterizzate da una generale sofferenza del tessuto connettivo e del collagene che non erano state ancora collocate in un preciso quadro clinico all’epoca dei fatti, ma che, solo successivamente al ricovero a seguito dell’infortunio in oggetto, sono state inquadrate nell’ambito della sindrome di Ehlers –Danlos (EDS). La sussistenza di tale sindrome era già stata ventilata come ipotesi da confermare durante il ricovero del 29.11.05 presso A.O.P. “Federico II” (cfr. relazione di consulenza agli atti), ma è stata formulata con certezza solo all’esito dell’esame bioptico praticato nel corso del ricovero presso l’azienda ospedaliera “V. Monaldi”.
La sindrome di Ehlers –Danlos (EDS) è una “definizione generale nella quale si raggruppano alcune rare malattie ereditarie, genetiche, del tessuto connettivo comprendenti anomalie di metabolismo delle fibre collagene, deficit enzimatici, mutazioni dei canali alpha o insufficienza apolide, mutazioni genetiche a carico del collagene I, del collagene III e del collagene V, con tratti caratteristici comuni, quali articolazioni lasse ed instabili, pelle estensibile e delicata, ecchimosi per traumi molto lievi, lenta guarigione delle ferite con formazioni di cicatrici anomale. Nel corso degli anni sotto tele dizione si è arrivati a ricomprendere ben 10 forme diverse” che la moderna letteratura medica ha ridotto a 6 sottotipi di EDS ciascuno dei quali rappresenta una malattia geneticamente distinta dovuta ad un ben preciso difetto molecolare.
I consulenti della pubblica accusa hanno ritenuto che la patologia che affliggeva la piccola C. fosse riconducibile al VI sottotipo della suddetta sindrome, ossia a quello più grave, di natura vascolare, caratterizzato da una particolare fragilità tessutale. A tali conclusioni sono pervenuti sulla base della specifica lesività post- traumatica riportata dalla piccola e delle rilevanze diagnostiche evidenziate radiologicamente nel corso del ricovero presso l’ospedale Cardarelli e al tavolo operatorio nel corso del ricovero presso l’azienda ospedaliera Monaldi.
Alla luce del quadro patologico che affliggeva la piccola L.M., il Pubblico Ministero non ha ravvisato profili di responsabilità a carico dei sanitari che hanno avuto in cura la bambina dapprima presso l’ospedale civile di Procida, poi all’azienda ospedaliera A. Cardarelli ed infine presso l’ospedale Monaldi.
L’assistenza medica praticata dai sanitari del servizio di emergenza “118”, di quelli del Pronto Soccorso del nosocomio di Procida, ed infine dei sanitari che hanno effettuato l’intervento chirurgico presso l’Ospedale Monaldi non è stata ritenuta censurabile sotto il profilo professionale.
Le cure prestate durante il ricovero presso l’azienda ospedaliera Cardarelli – da suddividere tra l’osservazione presso il Pronto Soccorso ed il ricovero presso il Reparto di Rianimazione Pediatrica – sono state reputate adeguate e corrette in relazione al caso clinico.
 
****
Nella richiesta di archiviazione, più specificamente, il Pubblico Ministero ha illustrato le ragioni per le quali non ha ritenuto fondate le critiche sollevate dai consulenti della parte offesa all’operato dei medici dell’Ospedale Cardarelli. In relazione ai tempi asseriti lenti della diagnosi dei segni clinici della deplezione ipovolemica, è stato rilevato che:
1) la sintomatologia presentata nell’immediato post traumatico dalla piccola C. era di tipo neurologico e del tutto sovrapponibile, dunque, a quella di un trauma cranico (pallore, sudorazione e perdita di conoscenza);
2) i valori dell’emocromo indagati all’ospedale di Procida erano nella norma, mentre i primi segni dello shock sono comparsi solo nel corso del ricovero all’ospedale Cardarelli.
Gli stessi sanitari dell’ospedale di Procida, inoltre, hanno orientato i medici del Cardarelli verso una patologia post-traumatica di tipo neurologico, evidentemente in base all’infortunio subito dalla bambina (cfr. diario clinico del presidio ospedaliero di Procida e diagnosi di accettazione del Cardarelli), richiedendo specifiche consulenze cliniche ed indagini strumentali dirette ad indagare lo stato delle strutture encefaliche.
I medesimi consulenti del Pubblico Ministero, inoltre, hanno ritenuto tempestive le indagini diagnostiche strumentali e in particolare il prelievo per emocromo: i tempi impiegati sono stati congrui rispetto alle necessità ed alle difficoltà che il caso in questione presentava.
            Nella richiesta di archiviazione è stato ulteriormente aggiunto che, secondo i consulenti medici, “ …anche una più precoce diagnosi di ipovolemia, al massimo di un’ora, ed una più generosa terapia di riespansione volemica non avrebbero garantito concrete possibilità di sopravvivenza atteso che, considerato il tempo trascorso tra il trauma ed il ricovero presso il “Cardarelli”, la notevole perdita ematica e la sofferenza cerebrale intervenuta, solo un intervento chirurgico immediato avrebbe avuto concrete possibilità di scongiurare il decesso”.
 
****
            Quanto alla posizione del personale della scuola, secondo il Pubblico Ministero, non sarebbe possibile formulare un giudizio di colpa in senso penalistico.
Dalle indagini svolte è emerso che non era prevista una figura professionale che prestasse un’assistenza materiale continua e costante alla piccola C. in relazione alle disabilità motorie di cui era portatrice.
L’assistente materiale era assegnata alla classe di L.M. C. per soli due giorni alla settimana e per un totale di due ore al giorno, il martedì e giovedì e non risultava, quindi, in servizio il giorno dell’infortunio verificatosi di lunedì.
L’insegnante di sostegno, nel caso di specie A.V., è figura prevista per il supporto e sostegno prettamente psicologico e didattico, non materiale. Risulta dagli orari di servizio acquisiti che il giorno dell’infortunio A. V. era in servizio per un orario dalle 10.40 alle 15.40, orario precedente a quello in cui è accaduto l’infortunio.
La supplente C.A. unica insegnante presente in classe, ha autorizzato la piccola a recarsi in bagno, trattandosi in aula con gli altri alunni. La sua responsabilità, peraltro, sarebbe esclusa dalla circostanza che le specifiche lesioni post traumatiche che si sono manifestate a seguito della caduta nei bagni della scuola sono state del tutto atipiche ed eccezionali, correlate alla particolare fragilità vascolare del tessuto connettivo caratteristica della malattia da cui era affetta la piccola.
E’ stato aggiunto, sul punto, che la patologia che ha cagionato il decesso di L.M. C., individuata nella fragilità vascolare, è diversa da quella che aveva giustificato la assegnazione alla stessa della insegnante di sostegno.
L’eccezionalità e l’atipicità delle conseguenze che sono derivate dalla banale caduta non renderebbe possibile imputare in termini di colpa l’evento-morte ad un’omissione di sorveglianza del personale scolastico per la mancanza di ogni prevedibilità dell’evento stesso come conseguenza di una condotta negligente.
 
 
            3. L’opposizione della persona offesa.
           
La persona offesa ha proposto opposizione avverso alla richiesta di archiviazione manifestata dal Pubblico Ministero.
            Il primo punto dell’opposizione riguarda l’individuazione della effettiva patologia sofferta dalla bambina. Al riguardo, è precisato che la diagnosi di sindrome di Ehlers –Danlos (EDS), teorizzata solo come sospetto nel 2005, è stata formulata con certezza solo all’esito di un esame bioptico conosciuto in epoca successiva alle consulenze del Pubblico Ministero (e dunque al decesso della bambina). Detta sindrome sarebbe di tipo classico e non riconducibile al VI sottotipo, come ipotizzato dai consulenti del Pubblico Ministero, che hanno fatto riferimento alla forma più grave caratterizzata da una particolare fragilità delle strutture vascolari. Sul punto, sarebbe stato commesso un vero e proprio errore diagnostico.
All’atto del trasferimento al Caldarelli, inoltre, sarebbe stato possibile diagnosticare i segni clinici dell’ipovolemia che poi ha determinato la morte della bambina. A fronte del ricovero con urgenza di paziente traumatizzato con evidente ecchimosi alla regione del collo e con chiari segni riportati nel diario clinico di perdite ematiche interne, infatti, i sanitari non hanno provveduto a richiedere ed effettuare il routinario prelievo ematico che andava praticato con urgenza (l’esame è poi stato praticato solo alle ore 20.00). L’esame radiografico del torace, attuato alle ore 19.11, già mostrava una banda di opacamente e la successiva TAC ha evidenziato segni di sanguinamento. Andava quindi effettuata una immediata terapia compensativa che è stata praticata solo dopo le ore 20.00. L’intervento chirurgico, pertanto, non ha salvato la piccola perché i danni della lenta, ma copiosa emorragia erano divenuti ormai irreversibili.
            In base a queste valutazioni è stata richiesta una nuova consulenza tecnica per dimostrare l’ininfluenza della sindrome EDS sull’incidente occorso alla piccola C. e sull’evoluzione dell’evento lesivo.
 
****
            Il secondo profilo affrontato dall’opposizione riguarda la responsabilità del personale scolastico. Sotto questo aspetto è stato sottolineato che occorre accertare se il dirigente scolastico abbia assicurato l’assistenza e l’istruzione dei collaboratori scolastici che devono prestare aiuto materiale agli alunni portatori di handicap.
Sarebbero “risibili”, inoltre, le giustificazioni addotte per spiegare perché la bambina è stata mandata in bagno accompagnata da una minore, sebbene fossero presenti i bidelli.
Le lesioni riportate dalla bambina in conseguenza della caduta, infine, non sarebbero da ritenersi eccezionali ed atipiche.
           
 
 
4. Gli elementi costitutivi della responsabilità colposa.
 
4.1. Il caso posto all’attenzione del giudicante impone l’approfondimento del tema della responsabilità penale per fatti colposi.
E’ omai generalmente accettata la costruzione dottrinale che afferma la natura normativa della colpa. La collocazione teorica della colpa non può esaurirsi nell’ambito della colpevolezza, ma attiene direttamente anche alla tipicità del reato. La fattispecie del reato colposo, infatti, è costituita dall’elemento oggettivo dell’inosservanza di una regola cautelare di condotta, diretta a prevenire danni a beni giuridicamente protetti. Il fondamento di tale responsabilità è rinvenibile nella contrarietà della condotta a norme di comportamento dirette a prevenire determinati eventi dannosi o pericolosi e nell’inosservanza del livello di diligenza oggettivamente dovuta ed esigibile[1].
Deve quindi sussistere un rapporto di causalità diretta ed immediata tra la violazione delle regole cautelari e l’evento.
Va infine riconosciuta la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’attribuibilità di tale inosservanza al soggetto agente.
In relazione a quest’ultimo aspetto, la responsabilità per un reato colposo postula un giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da compiersi ex ante, in base al parametro oggettivo dell’homo iusdem professionis e condicionis. Il fondamento della prevedibilità sotto il profilo soggettivo risiede nella necessità di evitare forme di responsabilità oggettiva.
La misura della diligenza, della perizia e della prudenza dovute deve essere quella dell’agente modello che svolga la stessa professione, lo stesso mestiere o lo stesso ufficio dell’agente reale. Al riguardo, la dottrina individua i cd. agenti modello, enucleando, sovente, all’interno di una stessa categoria sociale di appartenenza, una pluralità di tipi (cfr., tra le altre, ad esempio, sulla perizia richiesta al medico “specialista”, Corte di Cassazione sez. IV 18 febbraio 1983, in Cass. Pen. 1984, 2416).
 
4.2. La dottrina e la giurisprudenza, più specificamente, hanno posto la loro attenzione sul tema della responsabilità colposa omissiva.
Se il modello tradizionale di illecito penale, infatti, è rappresentato dal reato di azione, la responsabilità per omissione si è affermata con il progressivo svilupparsi degli obblighi di solidarietà sociale.
Nel caso in esame occorre concentrarsi sui reati omissivi impropri che consistono nella violazione di un obbligo giuridico di impedire l’evento. Tali illeciti non si fondano su una puntuale tipizzazione legislativa, ma derivano dalla conversione delle corrispondenti fattispecie attive di evento nei reati omissivi per mezzo della clausola dettata dall’art. 40 c.p. secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare equivale a cagionarlo”.  
            Più in particolare, la fattispecie del reato omissivo improprio, sotto il profilo oggettivo, è costituita da una condotta omissiva che consiste nel mancato impedimento dell’evento e dall’evento non impedito.
Per attribuire all’omittente la responsabilità dell’evento, inoltre, occorre ravvisare una relazione causale tra la sua condotta omissiva e l’evento. Tale nesso di derivazione deve essere fondato su un giudizio ipotetico o prognostico di equivalenza causale. Il “non impedire”, invero, non rappresenta una categoria realistica della causalità.
A differenza della causalità riferibile ad una condotta commissiva, nel caso di causalità omissiva il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto; la causalità omissiva, in quanto giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce dunque una causalità costruita su ipotesi e non su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata su un giudizio controfattuale (“contro i fatti”: se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato l'evento?).
L’accertamento del nesso di causalità, più in particolare, richiede che, ipotizzandosi l’effettuazione dell'azione doverosa ed omessa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, si possa concludere, con elevato grado di credibilità razionale, che l’evento non avrebbe avuto luogo (cfr. tra le altre, Cassazione penale, sez. IV, 15 maggio 2003, n. 27975).
Siffatto giudizio di causalità non può che essere basato su leggi scientifiche o statistiche di copertura che spieghino perché l’omissione abbia determinato l’evento. Per verificare la correttezza del giudizio di causalità compiuto, in questa prospettiva, è possibile provare a sostituire, sul piano meramente mentale, l’azione doverosa al comportamento omissivo: è evidente che, se tale sostituzione determinerebbe il mancato verificarsi dell’evento, è stato correttamente accertato il nesso di condizionamento tra omissione dell’azione dovuta ed evento.
 
4.3. Secondo l’art. 40 c.p. la responsabilità per un reato omissivo improprio implica altresì l’accertamento della violazione di un obbligo giuridico di impedire l’evento.
            Il dovere di scongiurare gli eventi dannosi rappresenta un’eccezione che deve trovare fondamento in un preciso obbligo giuridico che grava su determinate persone che versano in una posizione di garanzia nei confronti di un bene protetto.
In genere si fa riferimento alla cd. teoria formale dell’obbligo di impedire l’evento che troverebbe sempre la sua fonte nella legge, penale o extrapenale, in un precedente contratto ovvero in una precedente azione pericolosa.
In forza di una classificazione funzionale delle posizioni di garanzia, invece, si distinguono le posizioni di protezione di determinati beni giuridici da ogni eventuale aggressione ed i compiti di controllo che gravano esclusivamente sui soggetti che sono tenuti a vigilare su determinate fonti di pericolo.
La giurisprudenza, peraltro, impone di accertare in concreto la sussistenza della posizione di garanzia al momento in cui si è verificato l’evento. Ad esempio, Cass. Pen. sez. IV, 06/04/2005 n. 22579 ha sostenuto che l'anticipato “scioglimento dell'equipe chirurgica” per cause giustificate o dalla semplicità delle residue attività da compiere o dalla impellente necessità di uno dei componenti dell'equipe di prestare la propria opera professionale per la cura indilazionabile di altro o altri pazienti, o - a maggior ragione - per il concorso di entrambe le cause, ben può esonerare da responsabilità colposa il medico allontanatosi, che non era quindi presente nel momento in cui o è stata omessa la dovuta prestazione professionale (negligenza) o è stato eseguito un maldestro intervento (imperizia o imprudenza), che ha causato conseguenze colpose per il paziente., tema di posizione di garanzia del medico,
Su questo punto, più specificamente, si ritiene che non è sufficiente l’esistenza dell’obbligo di tutela, ma è necessaria la “presa in carico” del bene protetto (Cass. 22 maggio 2007, n. 25527).
 
4.4. La responsabilità per un reato omissivo, inoltre, sotto il profilo soggettivo, implica l’accertamento del dolo o della colpa. In relazione agli illeciti omissivi impropri colposi, in particolare, la negligenza può consistere nel mancato riconoscimento della situazione tipica che impone di attivarsi in capo al titolare della posizione di garanzia ovvero nella errata scelta dell’azione doverosa da tenere nel caso concreto. In entrambi i casi è necessario che l’omittente abbia avuto in concreto la possibilità di agire. Il giudizio sui tali parametri, si ribadisce, deve essere riferito all’agente modello che sia posto nella medesima condizione[2].
 
 
4.5. Il problema più complesso in relazione all’imputazione soggettiva dell’evento dannoso o pericoloso consiste nel verificare se la prevedibilità debba riguardare lo specifico evento realizzatosi ovvero una categoria di eventi riconducibili alla medesima causa. In altri termini, ci si chiede quale sia il grado di specificità richiesto sull’individuazione degli eventi che l’agente modello possa prevedere in conseguenza della violazione della norma cautelare.
Su questo tema, secondo una massima consolidata dalla giurisprudenza di legittimità, “ai fini del giudizio di prevedibilità dell'evento deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danni e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutto la sua gravità ed estensione” (Cassazione penale , sez. IV, 31 ottobre 1991, Rezza; Cassazione penale , sez. IV, 30 marzo 2000, Camposano e altro; Cassazione penale , sez. IV, 09 maggio 2003, M. e altro).
 Un altro orientamento, pur escludendo che per ritenere esistente la colpa dell’agente occorra che questi si sia rappresentato o fosse in grado di rappresentarsi tutte le specifiche conseguenze della sua condotta, ritiene necessario che la rappresentazione di una determinata categoria di danni, sia pure indistinta; in altri termini, occorre che il soggetto agente si prospetti una specifica potenzialità lesiva del suo agire (cfr. Cass. 17-05-2006, n. 4675; si veda sempre in tema di colpa medicaCass.,Sez. IV, 18-03-2004 n. 24051, secondo cui è necessario l’accertamento che la previsione della regola di cautela inosservata sia predeterminata ad evitare proprio quell’evento che si è specificamente verificato.
 
 
 
 5. Profili di interesse sul piano penale della responsabilità dei medici.
 
5.1. Il tema dell’accertamento della responsabilità penale del medico per i reati commessi nell’esercizio della sua attività professionale, più specificamente, è assai delicato. La funzione di tutela di tutela dei beni giuridici che spetta alla norma penale impone di individuare un livello minimo di cautele il cui rispetto si pretende dall’esercente la professione sanitaria. Nel contempo, l’osservanza delle regole precauzionali non deve comunque inibire o comprimere il concreto e regolare svolgimento di una funzione oggettivamente complessa, ma socialmente utile.
La giurisprudenza penale, in primo luogo, si è soffermata sul profilo relativo all’accertamento del rapporto di causalità tra la condotta del medico (o quella doverosa omessa dal sanitario) e l’evento lesivo o dannoso che si è verificato per il paziente. Da questo punto di vista, il Giudice può (ed anzi deve) individuare le leggi scientifiche di copertura e quelle statistiche, verificandone l’adattabilità al caso concreto esaminato.
Una volta verificata la sussistenza del rapporto causale tra condotta ed evento lesivo occorre appurare se la condotta del medico sia stata colposa. Diviene centrale allora il secondo tema relativo ai criteri di accertamento della colpa medica. In questa prospettiva rilevano le regole dell’art. 43 c.p. che impongono di rapportare la misura ed il grado della diligenza o della perizia o della prudenza richieste al parametro oggettivo dell’homo eiusdem professionis et condicionis, cioè al c.d. modello di agente nel quale deve riconoscersi chi agisce nel caso concreto.
E’ stato anche affrontato in giurisprudenza il tema della responsabilità medica nel caso di attività svolta in equipe. In tale caso, ogni sanitario risponde solo del corretto adempimento degli doveri di diligenza e di perizia specificamente relativi ai suoi compiti. Il capo equipe, peraltro, assume una posizione di controllo e di sorveglianza, soprattutto qualora esistano ragioni oggettive o soggettive che lascino dubitare che gli altri tengano comportamenti conformi ai doveri.
 
5.2. L’attenzione della giurisprudenza, in particolare, si è soffermata sul problema dell’accertamento del nesso di causalità tra la condotta doverosa omessa dal medico e l’evento lesivo o dannoso che si è verificato. Sul punto è intervenuta Cass. S.U. 10-07-2002 n. 27, Franzese: questa sentenza ha proposto di fondare il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità sulla valutazione di credibilità logica che, in concreto, il comportamento dovuto avrebbe impedito l’evento. La decisione, nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva del medico e l’evento lesivo, ha proposto un percorso che necessariamente deve partire dall’individuazione delle leggi scientifiche di copertura. L’indagine, poi, deve verificare se tali leggi siano adattabili al caso concreto, prendendo in esame tutte le caratteristiche specifiche del paziente che potrebbero minarne il valore di credibilità.  
In tal modo, la pronuncia ha assegnato al giudice un compito più penetrante nella ricostruzione del rapporto di causalità ed ha inteso superare l’orientamento giurisprudenziale l’accertamento della mera probabilità statistica, sia pure vicina alla certezza e dunque al 100%, che la condotta omissiva del medico sia stata causa dell’evento verificatosi.
La sentenza citata si sviluppa attraverso una ricognizione dello statuto della causalità penalmente rilevante, con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri. Lucidamente è illustrato il passaggio dalla teoria condizionalistica a quella che fonda il giudizio controfattuale sulla sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura, a loro volta costituite da rare leggi “universali” (che asseriscono nella successione di determinati eventi invariabili regolarità senza eccezioni) e da frequenti regole “statistiche”. Queste ultime hanno una minore capacità di spiegazione degli accadimenti. Esse, infatti, possono solo affermare che, in una certa percentuale di casi, il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento.
Secondo la Corte, dunque, il ricorso a regole scientificamente valide consente di ancorare il giudizio controfattuale, in origine espresso con la formula della “condicio sine qua non”, altrimenti insidiato da ampi margini di discrezionalità e di indeterminatezza, a parametri oggettivi: in questo senso, il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche assume una portata tipizzante della fattispecie penale in ossequio alle garanzie costituzionali di legalità e tassatività delle fonti di responsabilità penale e di personalità della stessa.
Il significato di queste argomentazioni si avverte in modo particolare in relazione alla fattispecie della causalità omissiva che rileva in modo specifico sul tema di responsabilità penale del medico.
La causalità nei reati omissivi, infatti, presenta notevoli peculiarità concettuali rispetto ai reati di azione, tanto che è tuttora controversa la natura reale o meramente normativa del nesso eziologico. Si sostiene, infatti, che la causalità dell’omissione sia di natura meramente normativa. Essa, invero, non si fonda sulla constatazione di una sequenza tra due dati reali, cioè azione ed evento, ma su un giudizio ipotetico relativo ad un evento che non si sarebbe verificato se fosse stata tenuta l’azione impeditiva.
La Corte avverte peraltro che la regola da applicare per verificare la sussistenza del rapporto di causalità anche nei reati omissivi impropri rimane sempre quella del giudizio controfattuale, sia pure da compiersi in via ipotetica e sempre alla luce delle leggi scientifiche di copertura.
Dinanzi alla difficoltà di verificare processualmente i confini della “elevata o alta credibilità razionale” del condizionamento necessario postulata dal modello di sussunzione sotto leggi scientifiche, la giurisprudenza ha fatto ricorso a massime d'esperienza che legittimano un affievolimento dell’obbligo del giudice di pervenire ad un accertamento rigoroso della causalità, accontentandosi di “serie ed apprezzabili probabilità di successo”.
La Corte, nella sentenza in esame, si allontana decisamente da questo indirizzo giurisprudenziale perché, richiedendo solo un coefficiente di probabilità di successo dell’ipotetico intervento che il medico avrebbe dovuto eseguire, lascia all’interprete una notevole discrezionalità nell’individuazione di uno degli elementi costitutivi del reato.
Al contrario, dalla funzione di accertamento della verità cui tende il processo, la Corte desume che il giudizio di responsabilità, e dunque la verifica della sussistenza del rapporto di causalità nei reati omissivi impropri, implica la verifica di una probabilità prossima o confinante con la certezza che la condotta doverosa avrebbe impedito l’evento lesivo.
La Corte, tuttavia, è cosciente che le leggi di copertura non sono solo quelle universali o quelle statistiche con coefficiente probabilistico prossimo ad uno, cioè alla certezza. La consapevolezza dei limiti delle leggi di copertura, infatti, induce il collegio a precisare che il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità si deve fondare su una certezza logica o su una valutazione di credibilità razionale che, in concreto, il comportamento dovuto avrebbe impedito l’evento. In altri termini, basta raggiungere la certezza razionale che, nel caso concreto, sulla base delle specifiche peculiarità delle vicenda, la condotta doverosa avrebbe impedito l’evento e questo anche se la regola statistica adoperata, in sé considerata, prescindendo dalle particolarità del caso, non abbia una valenza assoluta. 
 
5.3. La giurisprudenza successiva, almeno nelle intenzioni esplicitate, ha affermato di volersi uniformare ai principi in tema di causalità espressi dalla sentenza appena riportata, sia pure valorizzando il profilo relativo alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto in relazione alla specifica possibilità di adattare le leggi scientifiche alle condizioni di salute e all’età del paziente. In questi termini si è espressa di recente Cass., sez. IV, 9-2-2006 n. 12894 che ha descritto il percorso argomentativo che il giudice deve compiere nell’accertamento del nesso di derivazione causale dell’evento.
Detto iter deve necessariamente partire dalla ricerca delle leggi scientifiche, universali e statistiche, di copertura. In particolare, nella sentenza è ribadita la necessità di applicare anche le leggi statistiche da valutare attentamente alla luce delle caratteristiche del caso concreto.
Nell’indagine sul nesso di causalità, il giudice deve tenere conto degli eventuali fattori alternativi esistenti nel caso specifico e dell’interruzione del rapporto di causalità ex art. 41 c.p. Solo in questo modo può pervenire ad una valutazione di “elevata credibilità razionale” che la condotta doverosa avrebbe impedito l’evento.
L’attuale rilevanza delle leggi statistiche è sottolineata anche da Cass. Pen. 2-02-2007 n. 4177 che, sempre in tema di responsabilità del sanitario, è ritornata sul percorso che essere seguito dal giudice nella ricostruzione del nesso di causalità. Secondo questa decisione, le leggi statistiche, invero, sono solo uno degli elementi che il giudice può e deve considerare, unitamente a tutte le altre emergenze del caso concreto.
 
5.4. Un altro profilo di notevole interesse in questa materia è rappresentato dai criteri di accertamento della colpa medica. Una volta verificata la sussistenza del rapporto causale tra condotta doverosa omessa ed evento lesivo, infatti, occorre appurare se la condotta del medico sia stata colposa.
Un orientamento giurisprudenziale distingue tra colpa medica dovuta a negligenza ed imprudenza, che va accertata secondo i criteri generali, e colpa dovuta ad imperizia, punibile solo se è qualificabile come colpa grave. Questa interpretazione, che si fonda sul disposto dell’art. 2236 c.c. è intende evitare che l’esercente la professione sanitaria, nel suo agire concreto, sia ispirato più dall’intenzione di scongiurare il rischio eventuale responsabilità penale, che di curare il paziente.
Un diverso indirizzo giurisprudenziale, pur non disconoscendo la necessità di salvaguardare l’obiettivo appena descritto, ritiene che anche l’imperizia del medico debba essere valutata secondo criteri rigorosi. Al limite, la limitazione della responsabilità alle ipotesi di colpa grave ricorre con riferimento alle attività mediche implicanti la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, per ciò stesso trascendenti la preparazione media del sanitario, ovvero non ancora sufficientemente studiati dalla scienza. La relativa prova incombe sul medico. In questi termini si è espressa Cass., sez. 4, 25-9-2002, n. 39637, che ha analizzato il problema dell’errore di diagnosi.
Secondo questa decisione,“se in sede penale può rilevare anche la colpa lieve del medico, secondo le regole esclusivamente proprie dell'art. 43 c.p., pure deve considerarsi che. alla stregua del parametro oggettivo, dell'homo eiusdem professionis et condicionis, la misura (il grado) della diligenza o della perizia o della prudenza richieste va, rapportato, in termini di esigibilità, al c.d. modello di agente nel quale deve riconoscersi chi opera nel caso concreto, a colui, cioé, che svolge normalmente la stessa professione, la stessa attività: modello di agente, quindi, che si identifica nella persona avveduta e diligente che, posta in quella determinata situazione, sia in grado di riconoscere la situazione tipica e di agire nel senso imposto dall'ordinamento”.
La condotta del sanitario, in termini di colpa, anche lieve, va pur sempre valutata in riferimento a tale parametro oggettivo nonché, e conseguentemente, alle connotazioni del caso concreto, quanto alla sua complessità, alle speciali difficoltà tecnico - operative che esso presenta, alle conoscenze acquisite dalla scienza medica (che devono sempre costituire compendio irrinunciabile della preparazione professionale del medico), alla opinabilità o incertezza sui percorsi terapeutici praticati, o consigliati, o proposti dalla scienza medica in quel momento storico, nell'errore diagnostico l'accertamento della colpa, ovvero della sua insussistenza e della conseguente scusabilità dell'errore, va compiuto con riferimento al grado di difficoltà tecnico - scientifica ed ai conseguenti eventuali margini di opinabilità che il caso presenta; ed esso, poi, non sempre va riguardato con esclusivo riferimento a profili di imperizia, potendo con questa concorrere altre connotazioni colpose della condotta del medico.
 
 
 
6. La valutazione della condotta dei medici che hanno curato L.M.C.
 
6.1. Seguendo il percorso di conoscenza illustrato nel paragrafo precedente, al fine di verificare la sussistenza eventuali profili penalmente rilevanti nella condotta dei sanitari che hanno curato la piccola C., in primo luogo, occorre accertare l’eventuale violazione di regole cautelari e l’esistenza del rapporto di causalità tra la condotta del medico (o quella doverosa omessa dal sanitario) e l’evento lesivo o dannoso che si è verificato per il paziente. Da questo punto di vista, il Giudice può (ed anzi deve) individuare le leggi scientifiche di copertura e/o quelle statistiche, verificandone l’adattabilità al caso concreto esaminato. Lo strumento di valutazione imprescindibile è rappresentato dalle risultanze delle indagini tecniche richieste dalle parti.
Una volta verificata la sussistenza del rapporto causale tra condotta ed evento lesivo occorre appurare se la condotta del medico sia stata colposa. Diviene centrale allora il secondo tema relativo ai criteri di accertamento della colpa medica. In questa prospettiva rilevano le regole dell’art. 43 c.p. che impongono di rapportare la misura ed il grado della diligenza o della perizia o della prudenza richieste al parametro oggettivo dell’homo eiusdem professionis et condicionis, cioè al c.d. modello di agente nel quale deve riconoscersi chi agisce nel caso concreto.
 
6.2. La piccola C. è caduta a scuola intorno alle ore 15.45 (cfr. denuncia del padre in atti). E’ stata condotta dapprima presso l’ospedale civile di Procida dagli addetti del servizio 118, poi al pronto soccorso dell’azienda ospedaliera A. Cardarelli in eliambulanza, dove ha raggiunto la Divisione di Neurochirurgia Pediatrica alle ore 18.15, come risulta dalla cartella clinica che riporta la diagnosi d’ingresso di “trauma cranico facciale commotivo”; quindi, al servizio di rianimazione pediatrica dello stesso ospedale, dove è giunta alle ore 20.00, ed infine presso l’ospedale Monaldi, dove nella stessa sera del 22.maggio 2006 è stata sottoposta ad intervento chirurgico.
L’assistenza medica praticata dai sanitari del servizio di emergenza “118”, di quelli del Pronto Soccorso del nosocomio di Procida e dai sanitari che hanno compiuto l’intervento chirurgico presso l’Ospedale Monaldi è stata ritenuta sostanzialmente corretta sia dai consulenti tecnici del Pubblico Ministero, sia da quelli nominati dai familiari della piccola. In relazione alla condotta di questi medici, i consulenti non hanno evidenziato alcuna condotta che possa aver causato l’evento mortale, né alcun comportamento professionalmente censurabile.
 
6.3. Le due consulenze divergono in ordine alla valutazione della condotta dei sanitari dell’ospedale Cardarelli, segnatamente il dott. L. M., medico dell’unità di chirurgia d’urgenza dell’ospedale Cardarelli che ha ricevuto la bambina ed i dottori GE.A. e C. M., anestesisti rianimatori pediatrici del medesimo nosocomio.
Secondo i consulenti nominati dalla famiglia di L.M.C. “il drastico peggioramento delle condizioni cliniche ed emodinamiche, quale conseguenza della perdurante deplezione volemica, si concretizzò proprio nelle oltre tre ore di degenza presso l’azienda ospedaliera Cardarelli”. In particolare, sono state prospettate “perplessità sull’atteggiamento assistenziale dei sanitari dell’ospedale Cardarelli atteso che sottostimarono i segni clinici dell’ipovolemia orientandosi inizialmente verso una problematica traumatica di interesse cranio-encefalico”.
Più specificamente, la critica mossa ai medici del Cardarelli (e quindi la legge scientifica violata) è stata individuata nel ritardo con cui è stato eseguito l’esame emocromocitometrico e nell’intempestiva diagnosi e trattamento della deplezione ematica mediante reintegro volemico “laddove una più precoce individuazione della progressiva deplezione ematica avrebbe potuto consentire la tempestiva attuazione di un’idonea ed energica terapia di riespansione volemica così da permettere verosimilmente alla paziente di pervenire all’intervento chirurgico in condizioni emodinamiche migliori.
La piccola paziente “già al presidio ospedaliero di Procida manifestava i primi segni dell’ipovolemia atteso che oltre allo stato saporoso e all’ematoma sottomentiero veniva evidenziato pallore cutaneo e sudorazione algida”; al momento del ricovero presso l’ospedale Cardarelli erano evidenti i “segni della deplezione volemica associati alla presenza dell’ematoma sottomentoniero”. Ne conseguirebbe che “la grave condizione di shock ipovolemico in cui versava la paziente al momento dell’intervento chirurgico ebbe a condizionare la criticità del decorso post-operatorio, caratterizzata da un mancato recupero dell’equilibrio emodinamico che, anzi, anche in ragione dello stress chirurgico, si aggravò ulteriormente fino all’exitus”.
Nell’opposizione queste argomentazioni sono state ulteriormente sviluppate fino a sostenere, in sostanza, che la sindrome di cui soffriva la bambina sarebbe stata ininfluente nella determinazione dell’evento mortale, derivato, invece, dal ritardo con il quale è stata trattata la grave ipovolemia. Questa valutazione, invero, non sembra desumersi con analoga nettezza dall’elaborato peritale dei consulenti di parte secondo i quali “la sindrome … costituisce un elemento significante delle lesioni vascolari riportate dalla piccola C. in conseguenza dell’infortunio scolastico occorsole”.
 
6.4. I temi sollevati dai consulenti di parte non sono stati ignorati nel corso delle indagini dal Pubblico Ministero che, anzi, ha chiesto uno specifico approfondimento anche in relazione a questi profili ai propri esperti (cfr. la seconda consulenza depositata in data 17 gennaio 2007).
Le argomentazioni formulate da questi consulenti, ad avviso del giudicante, sono esenti da critiche e pienamente condivisibili, non ravvisandosi la violazione di alcuna legge scientifica e dunque la sussistenza di colpe penalmente rilevanti in capo ai sanitari dell’ospedale Cardarelli.
Secondo quanto emerge dalla documentazione sanitaria in atti, gli stessi sanitari dell’ospedale di Procida hanno orientato i medici del Cardarelli verso una patologia post-traumatica di tipo neurologico (cfr. diario clinico del presidio ospedaliero di Procida, dove alle ore 16.30 è stata diagnosticata una piccola contusione escoriata in regione mentoniera, con ecchimosi e la diagnosi di accettazione del Cardarelli), richiedendo specifiche consulenze cliniche ed indagini strumentali dirette ad indagare lo stato delle strutture encefaliche sulla base di una diagnosi che, al momento in cui è stata formulata, è da reputarsi del tutto condivisibile.
Le persone informate sui fatti (e forse la stessa C. come emerge dal racconto del padre) hanno avvisato i medici che la bambina aveva subito un trauma; la sintomatologia presentata nell’immediato post traumatico dalla piccola C. (pallore, sudorazione e perdita di conoscenza) era di tipo neurologico e del tutto sovrapponibile a quella di un trauma cranico.
Il dottor L. che ha accolto la bambina al Pronto Soccorso del Cardarelli, in tempi congrui rispetto alle necessità ed alle difficoltà che il caso in questione presentava, circoscrivibili in meno di due ore, secondo quanto risulta dal diario clinico, ha compiuto proprio questi accertamenti strumentali suggeriti dalla caduta che la bambina aveva subito.
La scelta di partire dall’esame TC dell’encefalo non è stata censurata, perché suggerita dalle condizioni della bambina[3]. Nella consulenza, infatti, è stato precisato che, “ove si considerino i necessari tempi tecnici per eseguire tali indagini”, la tempistica dello svolgimento degli altri esami era ragionevole.
L’invio della piccola alla rianimazione pediatrica dimostra che il medico, sulla base degli esami strumentali effettuati e, preso atto dei risultati degli stessi, aveva compreso la gravità delle condizioni della paziente, evidentemente non “normale” rispetto al trauma lamentato.
 
6.5. L’opponente si duole specificamente del ritardo con il quale è stato praticato l’esame dell’emocromo. Una più precoce diagnosi di ipovolemia ed una più generosa terapia di riespansione volemica avrebbero garantito alla piccola paziente concrete possibilità di sopravvivenza.
Questa critica, ad avviso del giudicante, sulla base delle consulenze mediche in atti, non può essere accolta.
La lettura dei documenti sanitari, infatti, dimostra che i valori indagati all’ospedale di Procida erano sostanzialmente nella norma, mentre i primi segni dello shock sono comparsi solo nel corso del ricovero all’ospedale Cardarelli[4]. Considerato che i valori dell’emocromo accertati all’ospedale di Procida erano nella norma e che non sussistevano segni evidenti di deplezione volemica[5], la necessità dell’esame emocromocitometrico si è posta solo dopo che, in forza delle altre indagini, è stata evidenziata la copiosa perdita ematica.
In altri termini, proprio le indagini cliniche praticate dal dottor Liguori hanno evidenziato la perdita ematica, inducendo il sanitario a svolgere l’esame emocromo.
Occorre aggiungere, che, come hanno precisato i consulenti del Pubblico Ministero, proprio in ragione della specifica patologia da cui era affetta - patologia che si ribadisce è stata diagnosticata con precisione solo a posteriori - , la lesività post traumatica presentata dalla piccola paziente è stata del tutto atipica, eccezionale, inattesa, non potendosi immaginare in un soggetto sano un quadro caratterizzato da gravi lesioni vascolari a seguito di una banale caduta, potendosi al più attendere spandimenti ematici nel tessuto cutaneo e sottocutaneo, ma non certo dei grossi vasi cervicali che decorrono invece più profondamente.
Questo dato è particolarmente rilevante ai fini della valutazione della condotta assistenziale praticata dai sanitari dell’ospedale Cardarelli perché, ai fini del giudizio di colpa professionale, deve operarsi un giudizio ex ante, collocandosi mentalmente nel momento in cui il medico è stato chiamato ad operare e valutando tutti gli elementi che in quel momento erano conosciuti o conoscibili.
Non priva di rilievo, infine, è la circostanza che, già durante la degenza al Cardarelli, in attesa del trasferimento presso il Monaldi, i sanitari si sono adoperati per reintegrare la quota ematica.  
 
6.6. Per le ragioni fin qui espresse, ritiene il giudicante che non sia ravvisabile nella condotta dei sanitari dell’ospedale Cardarelli la violazione di alcuna legge scientifica che abbia avuto un rilevo causale sul decesso della piccola C.. 
Per mera completezza di motivazione, deve aggiungersi che anche se si volesse ravvisare il ritardo ipotizzato nella consulenza medica della parte denunciante nell’esecuzione dell’esame emocromocitometrico e nella diagnosi e trattamento della deplezione ematica mediante reintegro volemico, ai fini della individuazione del rapporto di causalità tra la condotta omessa e l’evento mortale, in base ai principi giurisprudenziali dapprima illustrati, ai fini della responsabilità penale colposa si dovrebbe poi verificare se tali leggi violate fossero adattabili al caso concreto, prendendo in esame tutte le caratteristiche specifiche del paziente che potrebbero minarne il valore di credibilità.
In altri termini, occorre provare che un trattamento tempestivo sarebbe stato idoneo a scongiurare l’evento.  
Al riguardo, nella consulenza medica della parte offesa si legge che “una più precoce individuazione della progressiva deplezione ematica avrebbe potuto consentire la tempestiva attuazione di un’idonea ed energica terapia di riespansione volemica così da permettere verosimilmente alla paziente di pervenire all’intervento chirurgico in condizioni emodinamiche migliori”.
I periti della parte denunciante, dunque, si sono limitati a esprimere una valutazione in termini di “verosimiglianza”.
Questo tipo di giudizio, secondo la giurisprudenza ormai consolidata, non può fondare la responsabilità colposa del medico. E’ necessario accertare, invece, una “elevata o alta credibilità razionale del condizionamento necessario o, in altri termini, serie ed apprezzabili probabilità di successo della cura o della terapia omessa dal sanitario.
I consulenti tecnici della Procura, al riguardo, hanno precisato che anche una più precoce diagnosi di ipovolemia, al massimo di un’ora, ed una più generosa terapia di riespansione volemica non avrebbero garantito concrete possibilità di sopravvivenza, considerato il tempo trascorso tra il trauma ed il ricovero presso il Cardarelli, la notevole perdita ematica e la sofferenza cerebrale intervenuta. Solo un intervento chirurgico immediato, peraltro di notevole difficoltà, avrebbe avuto concrete possibilità di scongiurare il decesso.
Ma l’immediata operazione non sarebbe mai stata possibile senza lo svolgimento delle indagini strumentali compiute.
In definitiva, sulla base della documentazione sanitaria, dei dati amnestici e del complessivo iter clinico, deve concludersi con i consulenti dell’accusa nel senso che il decesso di L.M. C. è stato determinato da un’insufficienza cardiocircolatoria insorta in un soggetto che, a seguito di uno shock ipovolemico, aveva sviluppato una cospicua sofferenza multiorgano e dell’encefalo in particolare, sulle quali alcun ruolo causale e/o concausale venne rappresentato dal comportamento professionale dei medici dell’AORN “A. Cardarelli “di Napoli. 
 
6.7. Nel contesto descritto, ad avviso del giudicante, non è particolarmente significativa la circostanza che la bambina fosse affetta da una sindrome EDS di tipo classico, come emerge da un accertamento richiesto dai genitori dopo la morte, ovvero del VI sottotipo, come ipotizzato dai consulenti del Pubblico Ministero.
E’ stato affermato dai consulenti del Pubblico Ministero (ma in tutta onestà è un dato che traspare anche dalla relazione degli esperti nominati dalla parte offesa perché nella relazione, si ribadisce, è precisato che “la sindrome … costituisce un elemento significante delle lesioni vascolari riportate dalla piccola C. in conseguenza dell’infortunio scolastico occorsole”) che la sindrome da cui era affetta la bambina – a prescindere dalla sua entità - ha notevolmente accentuato la lesività post traumatica presentata dalla piccola paziente.
Questa valutazione, invero, non sembra che possa contestarsi.
Non si può immaginare in un soggetto sano, in altri termini, un quadro caratterizzato da gravi lesioni vascolari a seguito di una banale caduta in ambienti scolastici. Di conseguenza non si può pretendere dal medico di ipotizzare la rottura di grossi vasi cervicali che decorrono profondamente e non meri spandimenti ematici nel tessuto cutaneo e sottocutaneo.
Quanto fosse importate la sindrome da cui era affetta la bambina nell’evoluzione della sua condizione clinica si comprende anche dalle difficoltà dell’intervento chirurgico, desumibili dalla cartella clinica del Monaldi in atti.
 
 
 
7. L’obbligo di vigilanza degli insegnati e degli operatori del sistema scolastico.
 
7.1. Il secondo profilo affrontato dall’opposizione riguarda la responsabilità del personale scolastico.
L’esame del procedimento comporta anche la necessità di approfondire il tema dell’obbligo di vigilanza per prevenire gli eventi dannosi o pericolosi degli insegnanti e, più in generale, di quanti operano nel modo della scuola nei confronti degli alunni.
L’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, infatti, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso. Tra insegnante ed allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona[6] (Cassazione civile , sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346).
Questa posizione di garanzia o di protezione, secondo la giurisprudenza penale, ha un contenuto molto ampio.
L'obbligo di sorveglianza sugli alunni da parte dell'insegnante, infatti, non è limitato a determinate attività della vita scolastica, ma ha carattere generale ed assoluto. L'insegnante è tenuto ad osservarlo in ogni momento in cui l’alunno è affidato a lui ed incorre in responsabilità penale ogni volta che l'incidente occorso ad alcuno degli alunni debba essere attribuito, in rapporto di causa o di concausa, ad omessa sorveglianza (Cassazione penale, sez. IV, 18 maggio 1982, Albano).
La vigilanza, in particolare, consiste nel complesso di attività volte a conseguire le finalità stabilite dalla legge e non nella semplice presenza fisica (Cassazione penale , sez. IV, 23 marzo 1981, Rinaldi).
 
7.2. Il tema in esame, invero, non è stato trattato con particolare frequenza dalla giurisprudenza penale e, dunque, dalla analisi dei repertori si possono desumere solo limitati casi, sui quali appare opportuno soffermarsi. Non si tratta di un mero esercizio teorico, ma di una indagine tesa a comprendere, in concreto, quale sia il contenuto concretamente assegnato all’obbligo di vigilanza.
Una delle pronuncia più significative sull’argomento è Tribunale Palermo 11-12-2003, Pandolfo, in Foro It. 2004, II, 702, secondo cui la grave carenza di personale destinato, durante l'intera durata del servizio scolastico, ai compiti di vigilanza e sorveglianza sugli alunni minori costituisce causa penalmente rilevante dell'infortunio mortale occorso al giovane alunno, e pertanto il rettore dell'istituto scolastico, come garante della sicurezza e dell'incolumità personale degli alunni, è penalmente responsabile della morte del minore. Nella specie, un dodicenne, recatosi durante l'ora di lezione al terzo piano della scuola, dove non si trovava alcun addetto alla sorveglianza, è salito sul davanzale di una finestra, perdeva l'equilibrio cadendo nel vuoto.
Secondo Tribunale Pisa, 27 luglio 1990, Calasso, in Foro it. 1991, II,162, il preside di una scuola media, quale "garante" ex art. 40 cpv., c.p. anche nella semplice funzione di custode degli edifici scolastici, non ha diretta competenza tecnica in merito alle strutture di proprietà dei comuni o delle province, ma ha soltanto il compito d'invocare l'intervento degli organi competenti; ne deriva che non sussistono a carico del preside custode i presupposti dell'omicidio colposo per omesso impedimento di un evento lesivo ai danni di uno studente verificatosi nel cortile della scuola (evento consistito, nella specie, nella morte di un alunno di altro istituto scolastico che, alla guida di un ciclomotore, andava ad urtare contro una catena agganciata a paletti di acciaio destinata a delimitare la zona riservata ad attività sportive), ove egli, oltre a richiedere ed ottenere uno specifico intervento sulle strutture scolastiche da parte dell'ufficio tecnico comunale, abbia altresì adempiuto gli obblighi di diligenza corrispondenti al suo ruolo, disciplinando in dettaglio mediante circolari l'afflusso degli alunni a scuola.
Secondo Tribunale Reggio Emilia, 18 marzo 1982, Bertolini, non è colpevole l'insegnante che, nell'ambito di una gita scolastica invernale, porti allievi tredicenni, per mezzo di una seggiovia, sulla cima di un monte, da cui partono piste di sci, anche se il pendio e la neve in parte ghiacciata, circostante lo spiazzo erboso e pianeggiante in cui arriva la seggiovia, possano comportare eventuali rischi. L'obbligo di vigilanza da parte dei docenti deve essere valutato in rapporto all'età e maturazione del discepolo. Viola l'obbligo di vigilanza, invece, l'insegnante che lasci, sia pure momentaneamente, un gruppo di discepoli incustodito, sulla cima di un monte, per scendere con la seggiovia a rilevare altri allievi, senza farsi sostituire, nella custodia, da altro insegnante. Non vi è nesso di causalità, tuttavia, fra l'omessa vigilanza e la imprevedibile ed imprudente condotta dell'allievo tredicenne, che sia stata, di per sé sola, idonea a provocare l'evento (nel caso l'allontanamento, contro le istruzioni, dalla zona pianeggiante di raccolta e lo scivolamento su una placca di ghiaccio, con impatto mortale contro un albero.
Vanno poi ricordate le sentenze della Suprema Corte citate in precedenza, tra cui Cassazione penale , sez. IV, 18 maggio 1982, Albano, secondo cui l’insegnante incorre in penale responsabilità ogni volta che l'incidente occorso ad alcuno degli alunni debba essere attribuito, in rapporto di causa o di concausa, ad omessa sorveglianza. La fattispecie riguardava le lesioni personali gravi, perdita di un occhio, riportate da un'alunna che aveva battuto con la testa contro la maniglia di una porta mentre correva nel corridoio della scuola insieme con altre compagne dopo essersi allontanata dall'aula con il consenso dell'insegnante.
 
 
 
8. La valutazione delle condotte del personale docente e non docente della scuola dell’infanzia.
 
8.1 Gli atti delle indagini preliminari provano che la maestra C. A., supplente, sola in classe, alle ore 15.45, ha autorizzato la bambina L.M.C. a recarsi in bagno accompagnata dalla coetanea B.
Nella denuncia del genitore si legge che la bambina era caduta in bagno “andando a sbattere contro un termosifone”. Quest’ultima circostanza, invero, non risulta dimostrata. Il padre della minore ha precisato di aver appreso la dinamica dell’evento direttamente dalla figlia e dalla sua amica B., anche se non ha specificato di aver conosciuto in questo modo anche il profilo relativo al termosifone.
C. G., la maestra di un’altra classe che per prima ha soccorso la minore, ha riferito di aver sentito piangere la piccola C. Si è subito recata nel bagno accompagnata dalle madri di due sue alunne presenti nell’istituto perché erano andate a prelevare i figli. C. era sull’uscio del gabinetto, sopra il tappetino guida blu. Sul water era seduta B. a cui C. stava facendo compagnia.
A. M. G., una delle madri che erano con la maestra C., ha riferito di aver notato chiaramente la bambina cadere per terra. La piccola era sulla porta del secondo bagno. E’ caduta avendo il braccio dinanzi al corpo, circostanza che le ha permesso di proteggere il volto. “Il tonfo è stato tremendo anche perché … non ha avuto in pratica alcuna reazione istintiva per proteggersi in qualche modo …”. La bambina dopo la caduta aveva entrambe le gambe all’interno del bagno. Il resto del corpo era fuori dal bagnetto, “ma comunque lontano dal termosifone”.
Anche L. G., l’altra genitrice che era con la maestra C., ha escluso che la bambina abbia sbattuto contro un termosifone in considerazione della distanza tra il punto in cui ha visto la bambina a terra e la posizione del termosifone.
Ritiene il Giudice che, non essendovi motivi per dubitare della credibilità delle dichiarazioni dei testi indicate - persone estranee all’organizzazione scolastica e disinteressate rispetto ai fatti - non può sostenersi che la minore sia andata a sbattere contro un termosifone[7].
Nel corso delle indagini, infine, sono state ascoltate a sommarie informazioni testimoniali anche A.V. e C.A.
A prescindere dal contenuto delle loro affermazioni, le dichiarazioni da esse rese non sono utilizzabili ai sensi dell’art. 63, co. 2, c.p.p., trattandosi di persone che fin dall’inizio dovevano assumere la qualità di indagate e, dunque, dovevano essere assistite da un difensore.
 
8.2. Il comportamento della maestra C.A. che, alle ore 15.45, ha autorizzato la bambina L.M. C. a recarsi in bagno accompagnata dalla coetanea B. e non da un collaboratore scolastico preposto, ad avviso del Giudice, integra la violazione dell’obbligo di vigilanza e, quindi, della regola cautelare che integra l’elemento oggettivo, di natura normativa, della responsabilità colposa.
E’ stata creata, in questo modo, una situazione tipica di pericolo
Seguendo il percorso delineato in precedenza, ai fini della verifica della sussistenza di un fatto penalmente rilevante, a questo punto, deve essere individuata la persona fisica a cui va imputata detta violazione, cioè la persona titolare dell’obbligo di protezione e vigilanza nel momento dell’infortunio. Va poi approfondito il tema del rapporto di causalità tra il comportamento omesso da questa persona e l’evento.
Sotto il profilo soggettivo, infine, va accertata la prevedibilità di questo evento da parte dell’agente modello. 
 
8.3. La violazione dell’obbligo di vigilanza, in primo luogo, deve essere imputata all’unica insegnate presente in classe, C.A., che ha autorizzato la piccola a recarsi in bagno, trattenendosi in aula con gli altri alunni.
L’insegnante, infatti, dinanzi alla richiesta della bambina, avrebbe dovuto chiedere l’ausilio di una collaboratrice scolastica che avrebbe dovuto accompagnare la minore in bagno.
Non è criticabile il fatto che ella fosse sola in classe, non essendo prevista nell’organizzazione scolastica la compresenza delle insegnanti nell’orario in cui è avvenuto l’evento.
Va peraltro considerato che l’insegnante si è trovata a scegliere tra due diverse violazioni del medesimo obbligo di vigilanza sugli alunni: ella ha dovuto optare tra lasciare andare la bambina in bagno con una coetanea oppure abbandonare l’intera classe priva di sorveglianza.
Deve essere aggiunto che l’insegnante ha prestato affidamento sulla presenza dei collaboratori scolastici, preposti specificamente anche ad accompagnare i bambini al bagno.
 
8.4. La violazione dell’obbligo di vigilanza è ascrivibile anche alla dirigente scolastica che, nel formare l’orario di presenza dei collaboratori scolastici, ha previsto che, il lunedì, tra le ore 15.40 e le ore 16.30, durante l’uscita dei bambini, sia presente un solo collaboratore.
La scuola, più specificamente, è fornita di tre collaboratori (cfr. documenti in atti prodotti all’udienza camerale). Questa figura professionale è tenuta, tra l’altro, a prestare ausilio agli alunni portati di handicap nell’uso dei servi igienici (cfr. stralcio del ccnl prodotto dall’opponente), oltre che a sorvegliare l’uscita dei bambini e dei genitori dalla scuola.
Non assume particolare rilievo la circostanza che, nel giorno in cui è avvenuto il sinistro, uno dei tre collaboratori era assente e che una seconda collaboratrice, L. A., avesse chiesto ed ottenuto un permesso per motivi di salute dalle ore 15.30 alle ore 16.30, indicando che la classe (o meglio i suoi compiti), sarebbero stati coperti da D. M. L.
Ciò che conta è che all’ora in cui è avvenuto l’infortunio era presente, in base all’orario di lavoro, una sola collaboratrice scolastica. Questa persona, nello stesso momento, non poteva sorvegliare l’uscita dei bambini e vigilare sulla bambina che si era recata al bagno.
La predisposizione del modello organizzativo descritto implica una violazione dell’obbligo di protezione dei minori.
La violazione della regola di cautela, invece, può essere ravvisata sul tema dell’informazione dovuta all’insegnante sulle condizioni fisiche della bambina, come pure prospettato nell’opposizione, non essendo emerso sul punto alcun elemento utilizzabile per sostenere una simile accusa.
 
8.5. La violazione della regola cautelare potrebbe altresì essere ascritta all’insegnante di sostegno[8] assegnata alla bambina, nel caso di specie l’indagata A.V.
E’ provato che, nel giorno in cui è avvenuto l’evento, A. V. ha lasciato la scuola alle ore 15.40, pochi minuti prima dell’infortunio, seguendo il suo orario (cfr. l’orario dell’insegnante di sostegno prodotto dalla difesa di A., da cui risulta che il lunedì, giorno della settimana in cui è avvenuto l’infortunio, detta maestra cessa dal suo incarico alle ore 15.40).
Questa circostanza di fatto, ad avviso del giudicante, esclude che la violazione dell’obbligo cautelare, in concreto, possa essere imputata a detta insegnante.
L’estensione dell’obbligo di vigilanza dell’insegnante, infatti, prescinde dall’orario di servizio, nel senso che la maestra non può lasciare i bambini incustoditi ed andare via fidando solo sul superamento degli orari di lavoro contrattualmente determinati. E’ invece necessario che l’insegnante ceda l’obbligo di protezione del minore ad altro soggetto deputato, genitori o altra persona incaricata, e che questa persona, in concreto prenda in carico detto obbligo[9]. In questa prospettiva, un’insegnante non può andare via dalla scuola solo perché è trascorso l’orario di servizio[10].
Nel caso di specie, tuttavia, va opportunamente considerato che A. V. un insegnante di sostegno, il cui impiego all’interno della classe non copre tutte le ore di permanenza nell’istituto della bambina con handicap.
Tale circostanza emerge con chiarezza dall’orario settimanale di servizio dell’insegnante di sostegno, prodotto all’udienza camerale dal suo difensore, che non è sovrapponibile con la presenza della minore in classe. In questi casi è istituzionalmente previsto che, alla scadenza dell’orario di lavoro, l’insegnante di sostegno “trasferisca” l’obbligo di protezione anche della bambina con handicap all’insegnante ordinaria della classe.
Nel giorno del sinistro, dunque, A. ha ceduto il suo obbligo di protezione all’altra insegnante della classe.
A questa considerazione, va aggiunto, sia pure con minore rilievo, che l’insegnante di sostegno è una figura prevista per il supporto ed il sostegno prettamente psicologico e didattico e non per quello non materiale.
 
8.6. Dalle indagini preliminari è emerso che non era prevista una figura professionale che prestasse un’assistenza materiale continua e costante alla piccola C. in relazione alle disabilità motorie di cui era portatrice.
L’assistente materiale, infatti, era assegnata alla classe di L.M. C. per soli due giorni alla settimana e per un totale di due ore al giorno, il martedì e giovedì e non risultava, quindi, in servizio il giorno dell’infortunio verificatosi di lunedì.
Ritiene il giudicante che la violazione dell’obbligo di vigilanza non possa essere addebitata a chi, posto in posizione apicale nell’organizzazione scolastica, non ha previsto una più ampia presenza dell’operatore materiale o comunque una più ampia assistenza alla bambina.
Dall’esame degli atti, infatti, emerge che gli operatori materiali sono persone scelte con contratti a tempo determinato di prestazione di servizio dalla stessa scuola, nell’ambito della cd. “autonomia scolastica”[11].
Il modo con cui gli organi scolastici hanno esercitato detta autonomia nei limiti delle disponibilità finanziarie rientra nel cd. merito dell’azione amministrativa, cioè in quella parte della discrezionalità amministrativa che è insindacabile da parte del giudice, salvo che si ravvisino gli estremi dell’abuso dell’ufficio idoneo ad integrare il reato di cui all’art. 323. c.p.
Nel caso di specie, neppure nell’opposizione si ipotizza – e comunque non si indicano circostanze concrete che potrebbero fungere da spunti investigativi - che la mancata presenza dell’operatore materiale all’ora in cui è avvenuto l’incidente dipenda da comportamenti di strumentalizzazione dell’ufficio da parte di uno degli organi scolastici preposti, e segnatamente del dirigente, per conseguire vantaggi patrimoniali ingiusti.
Su questi temi il Giudice non può ordinare una investigazione “esplorativa” che, peraltro, secondo l’opponente, dovrebbe incentrarsi sull’esame della stessa indagata (alla quale, quindi, andrebbero riconosciute le garanzie di legge, anche quella al silenzio).
 
8.7 Una volta individuati i soggetti a cui può essere ascritta la violazione dell’obbligo di vigilanza, l’insegnante C.A. e la dirigente scolastica da identificare in merito alla predisposizione dell’orario di presenza dei collaboratori scolastici, occorre verificare se tra questa violazione delle regole cautelari e l’evento sia ravvisabile il necessario rapporto di causalità.
In applicazione dei principi illustrati in precedenza, si ribadisce che deve sussistere un rapporto di causalità diretta ed immediata tra la violazione delle regole cautelari e l’evento.
A differenza della causalità riferibile ad una condotta commissiva, nel caso di causalità omissiva il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto; la causalità omissiva, in quanto giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce dunque una causalità costruita su ipotesi e non su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata su un giudizio controfattuale (“contro i fatti”: se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato l'evento?).
L’accertamento del nesso di causalità, più in particolare, richiede che, ipotizzandosi l’effettuazione dell'azione doverosa ed omessa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, si possa concludere, con elevato grado di credibilità razionale, che l’evento non avrebbe avuto luogo (cfr. tra le altre, Cassazione penale, sez. IV, 15 maggio 2003, n. 27975).
 
8.8. Ritiene il Giudice che, nel caso in esame, sulla base degli elementi probatori acquisiti, non si possa concludere con elevato grado di credibilità razionale che il rispetto della regola cautelare che imponeva la vigilanza della bambina avrebbe impedito il verificarsi dell’evento mortale.
E’ stato affermato dai consulenti del Pubblico Ministero (ma si ripete che si tratta di un giudizio che compare anche nella relazione degli esperti nominati dalla parte offesa perché è precisato che “la sindrome … costituisce un elemento significante delle lesioni vascolari riportate dalla piccola C. in conseguenza dell’infortunio scolastico occorsole”) che la sindrome da cui era affetta la bambina – a prescindere dalla sua entità - ha notevolmente accentuato la lesività post traumatica presentata dalla piccola paziente.
Orbene, qualsiasi vigilanza – anche l’accompagnamento della bambina - non avrebbe mai potuto scongiurare del tutto il rischio di una caduta accidentale. A meno che non si voglia estendere l’obbligo di protezione fino a ritenere che la bambina abbisognasse di essere sostenuta in ogni movimento. Questa circostanza, tuttavia, non si evince dagli atti ed è contestata dallo stesso genitore il quale, all’udienza camerale, ha prodotto le fotografie della figlia impegnata in normali attività della vita (ad esempio mentre andava in bicicletta).
Le conseguenze di questa caduta – che secondo i testi ascoltati non è dipesa dai pavimenti bagnati o da ostacoli - per la piccola C. sono state eccezionali e, in tutta onestà, abnormi a causa delle concrete condizioni di salute della minore.   
Non si può ritenere conseguenza di un normale decorso causale che una banale caduta in ambiente scolastico possa determinare gravi lesioni vascolari. Non si può pensare alla rottura di grossi vasi cervicali che decorrono profondamente.
In altri termini, adeguando il tema del rapporto di causalità alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, alle condizioni di salute e all’età della persona offesa, deve ritenersi che non sussiste l’elevato grado di credibilità razionale che l’evento non avrebbe avuto luogo, se fosse stata rispettata la regola di vigilanza[12].
 
8.9. Si deve altresì escludere che ricorra la prevedibilità dell’evento da parte sia dell’insegnante che del dirigente preposto alla formazione dell’orario di servizio dei collaboratori
In questa prospettiva manca il presupposto della rappresentazione della specifica potenzialità lesiva dell’omissione (pur escludendosi, si ribadisce, che per ritenere esistente la colpa dell’agente occorra che questi si sia rappresentato o almeno fosse in grado di rappresentarsi tutte le specifiche conseguenze della sua condotta).
Non possono ritenersi prevedibili, infatti, le specifiche lesioni post traumatiche che si sono manifestate a seguito della caduta nei bagni della scuola. Esse sono state del tutto atipiche ed eccezionali, correlate alla particolare fragilità vascolare del tessuto connettivo caratteristica della sindrome da cui era affetta la piccola.
Al riguardo, assume rilievo anche il fatto che la patologia che ha cagionato il decesso di L.M. C. o, quanto meno, che ha accentuato le conseguenze della caduta della bambina, è diversa da quella che aveva giustificato la assegnazione alla stessa della insegnante di sostegno. La circostanza che la minore fosse affetta da una miopatia ed incontrasse difficoltà psicomotorie – come risulta dai documenti consegnati alla scuola - è oggettivamente diversa, ed impone una diversa estensione dell’obbligo di vigilanza, dal pericolo rappresentato dalla particolare fragilità dei tessuti del corpo.
Con riguardo, alla posizione del dirigente scolastico, sempre in ordine alla prevedibilità dell’evento, va aggiunto che, nel formare gli orario, ha tenuto conto che nell’orario di uscita è minore la necessità per i bambini di andare in bagno, mentre è indispensabile la sorveglianza del portone d’uscita.
L’eccezionalità e l’atipicità delle conseguenze che sono derivate dalla banale caduta, in conclusione, non rende possibile imputare in termini di colpa l’evento-morte ad un’omissione di sorveglianza del personale scolastico per la mancanza di ogni prevedibilità dell’evento stesso come conseguenza di una condotta negligente.
 
P.Q.M.
           
Rigetta l’opposizione alla richiesta di archiviazione.  
            Dispone l'archiviazione del procedimento.
           Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito e per la trasmissione degli atti al P.M. 
            Napoli, 16 ottobre 2007  
              
                         IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
                                                                           Dott. Luigi Giordano
 
 
 

[1] La natura normativa della colpa risulta ancora più evidente nelle fattispecie di reato denominate “causalmente orientate”, in particolare di omicidio e di lesioni colpose, caratterizzate dal fatto che il legislatore prende in considerazione l’evento senza che venga descritta la condotta: la concretizzazione della fattispecie passa attraverso l’individuazione dei doveri violati essendo impossibile descrivere tutte le condotte ipotizzabili che possono produrre l’evento dannoso o pericoloso (cfr. espressamente sul punto Cass. 17-05-2006, n. 4675).
[2] Al riguardo, si segnala Cass. Pen. 4-7-2005, n. 38852, in tema di limiti alla responsabilità del medico, che, pur chiarendo che la giurisprudenza che la dottrina hanno avuto non poche difficoltà a separare il tema della colpa nel reato omissivo improprio, come elemento psicologico, da quello della sussistenza del nesso di causalità, ha sottolineato ribadito la necessità dell’imputazione psicologica anche dell’evento colposo.
[3] Va aggiunto che nella nota del Presidio Ospedaliero di Procida, il trasporto in eliambulanza è stato giustificato dalla necessità di praticare “tc encefalo urgente, valutazione NGH e Neuro”. Questi stessi sanitari, dunque, hanno orientato quelli del Pronto Soccorso del Cardarelli sul tipo di indagini da svolgere.
[4] Questa circostanza, a prescindere dalla affermazioni dei periti, si desume da un confronto tra i risultati degli esami praticati dalle ore 16.43 alle ore 16.52 presso l’ospedale di Procida e quelli compiuti alle ore 19.59 all’Ospedale Cardarelli.
[5] Cfr. pag. 11 della II consulenza medico legale disposta dal Pubblico Ministero.
[6] Dall’insegnamento della Corte di Cassazione appena indicato deriva che, nelle controversie di natura civilistica instaurate per il risarcimento del danno da auto-lesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola, né all’insegnante. Sulla natura contrattuale della responsabilità per il danno cagionato dall’alunno a sé stesso secondo la giurisprudenza di merito si veda ad esempio Trib. Roma, sez. XII, 17/02/2003, in Arch. Civ., 2003, 649.
[7] Questo giudizio è corroborato dalla visione della piantina allegata alla denuncia della parte offesa che indicata la posizione dei testimoni e della bambina al momento del sinistro.
[8] Su questa figura professionale si veda l’art. 127 del DLG. N. 297/2004 e ss. modif.
[9] In questi termini, si veda Tribunale Palermo 11-12-2003, Pandolfo, in Foro Italiano 2004, II, 702.
[10] Si veda sul punto l’art. 350 del Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297. (in Gazz. Uff., del 19 luglio 1928, n. 167) -- Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare – applicabile secondo la giurisprudenza anche alla scuola dell’infanzia, secondo cui “il maestro deve trovarsi alla scuola non meno di 10 minuti prima dell'inizio delle lezioni, per assistere all'ingresso dei suoi alunni; deve sorvegliare gli alunni stessi durante il tempo destinato agli insegnamenti integrativi o di religione se ad altri affidati, alla ricreazione e alla refezione dove l'orario adottato è unico; e deve rimanere nella scuola finchè i suoi alunni ne siano usciti”.
[11] Cfr. sull’estensione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche l’art. 21 D.Lgs. n, 59/1997 e gli art. 26 e 27 del DLG. N. 297/2004 e ss. modif. ed il DPR. n. 275/1999, in particolare l’art. 5 sull’autonomia organizzativa.
[12] Per l’analoga esclusione del rapporto di causalità tra la caduta di alunno di una scuola materna statale (avvenuta accidentalmente nel corso di un gioco non presentante elementi di pericolo) ed il danno si veda Cass. civ., sez. III, 23/07/2003, n.11453. In questa decisione si legge che “l'evento dannoso da cui dipende la esistenza dell'illecito non è conseguenza della azione od omissione (azione, in relazione alla organizzazione dei giochi e delle misure di cautela omissione in relazione alla vigilanza), ma ne è soltanto occasione, essendo il caso fortuito e la condotta stessa del minore la condizione sufficiente”. Per l’analoga opinione nella giurisprudenza civile di merito si veda Trib. Messina, 28/11/2001, in Foro It., 2002, I, 602.
 
© Copyright Penale.it - SLM 1999-2012. Tutti i diritti riservati salva diversa licenza. Note legali  Privacy policy