Andrea Guido, Competenza in sede di esecuzione ed ipotesi di conflitto (*)
A prima vista,
si potrebbe pensare che il conflitto di competenza risolto dalla Corte di Cassazione
con la decisione annotata
appartenga ormai al passato, visto che una delle parti in causa è il
quasi scomparso pretore. Viceversa, i princìpi affermati dal giudice
di legittimità continuano a rivestire interesse, poiché anche
in materia esecutiva è previsto un criterio distributivo di competenza
fra tribunale in composizione monocratica e tribunale in composizione collegiale.
Il vigente art. 665 c.p.p., invero, ai primi tre commi dispone circa la competenza
con riferimento all'ipotesi in cui un singolo titolo debba essere eseguito;
il quarto comma, invece, prevede che "se l'esecuzione concerne più
provvedimenti emessi da giudici diversi, è competente il giudice che
ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Tuttavia, se i
provvedimenti sono stati emessi dal pretore e da altro giudice ordinario, è
competente in ogni caso quest'ultimo; se sono stati emessi da giudici ordinari
e giudici speciali, è competente il giudice ordinario". L'art. 206
D.L.vo 51/1998, recante l'istituzione del giudice unico, con decorrenza 2 Gennaio
2000 ex art. 247 commi 2 bis e 2 ter introdotto dal D.L. 145/1999, ha previsto
la soppressione del quarto comma dell'art. 665 c.p.p. e la sostituzione dello
stesso con due nuove disposizioni, la seconda delle quali (comma 4 bis), per
quanto qui interessa, dispone: "se l'esecuzione concerne più provvedimenti
emessi dal tribunale in composizione monocratica e collegiale, l'esecuzione
è attribuita in ogni caso al collegio".
In concreto, dunque, a prescindere dalla diversa distribuzione quantitativa
degli affari penali tra giudice monocratico e collegiale che verrà disposta
dalla legge, ed attesa la sostanziale identità di formulazione del testo
legislativo, le questioni in tema di competenza del giudice dell'esecuzione
continueranno ad essere disciplinate dai medesimi princìpi che in oggi
regolano i rapporti fra tribunale e pretore.
Ciò premesso, passando all'esame del caso di specie, il punto discusso
nei tre provvedimenti giudiziali riportati in epigrafe è - in sintesi
- rappresentato dall'interpretazione del già citato comma 4 dell'art.
665 c.p.p.. Secondo l'impostazione fatta propria dal pretore e dalla Corte di
Cassazione, la regola prevista dalla disposizione citata ha valore assoluto,
nel senso che non ha alcun rilievo la specifica questione dedotta all'esame
del giudicante: è sempre competente l'ufficio che ha emesso la decisione
divenuta irrevocabile per ultima, salvo che vi siano sentenze del pretore e
di altro giudice ordinario, dovendosi ritenere quest'ultimo sempre prevalente.
Secondo il tribunale, invece, fermo restando il criterio generale della data
di irrevocabilità delle decisioni emesse a carico del condannato, occorre
valutare il concreto contenuto della richiesta rivolta al giudice, dovendosi
la competenza radicare in relazione alle pronunce coinvolte nel thema decidendum.
La giurisprudenza prevalente ed ormai consolidata, pur in assenza di un intervento
a Sezioni Unite, è nel senso della sentenza in oggi in esame, sia con
riferimento all'ipotesi dell'esistenza di una pluralità di provvedimenti
di diversi giudici ordinari, sia in relazione all'ipotesi di pronunce parte
del pretore e parte di giudici ordinari. Oltre alle numerose decisioni citate
dal Pretore nel provvedimento in epigrafe, alla decisione menzionata dal giudice
di legittimità ed alle pronunzie segnalate in CIANI, Commento all'art.
665 c.p.p, in LATTANZI - LUPO (curr.), Codice di Procedura Penale, Milano, 1997,
pp. 123-125, possono essere segnalate le più recenti massime ufficiali:
"il giudice dell'esecuzione deve essere individuato in modo unitario sulla
base della sentenza divenuta irrevocabile per ultima, quale che sia l'oggetto
sul quale egli debba pronunciarsi, e, quindi, anche se la sentenza predetta
sia estranea al tema della decisione richiestagli" (Cass. Pen., Sez. I,
sent. 30.9.1998, n. 3812 (c.c. 25.6.1998), confl. comp. in proc. Marasco, in
Arch. Nuova Proc. Pen., 1999, p. 81); "quando nei confronti di un soggetto
sono state emesse più sentenze di condanna, competente a provvedere in
sede di esecuzione è sempre il giudice che ha pronunciato la sentenza
divenuta irrevocabile per ultima; trattasi di competenza funzionale, assoluta
ed inderogabile, la cui violazione è rilevabile di ufficio anche in sede
di ricorso per Cassazione" (Cass. Pen., Sez. I, sent. 26.3.1998, n. 1224
(c.c. 27.2.1998), Naretto, in Riv. Pen., 1998, p. 714; nello stesso senso circa
la seconda parte della massima, cfr. altresì Cass. Pen., Sez. I, sent.
26.2.1998, n. 6257 (c.c. 7.11.1997), P.G. in proc. D'Onofrio, ivi, 1998, p.
619).
In senso diverso, possono essere ricordate alcune decisioni, ormai non recentissime,
citate da CIANI, op.cit., p. 125, secondo cui il disposto del comma 4 dell'art.
665 c.p.p. non trova applicazione solo perché vi è coesistenza
di più sentenze a carico di una stessa persona, essendo invece necessario,
a tale fine, una pluralità di provvedimenti di giudici diversi dai quali
derivi la stessa questione di esecuzione, con la conseguenza che, laddove sorga
questione si uno solo o su parte dei giudicati, la regola attributiva della
competenza è quella generale del comma 1 dell'art. 665 c.p.p.
Come ben ricordato e documentato da CIANI, op. loc. cit., "la dottrina
si presenta divisa sulla questione in esame". Accanto a posizioni che si
riportano alla giurisprudenza maggioritaria, infatti, vi sono Autori che, rifacendosi
ai lavori preparatori del codice, dissentono da tale impostazione. Per tutti,
cfr. CORBI, L'esecuzione nel processo penale, Torino, 1992, pp. 184-185, secondo
cui la portata applicativa dell'art. 665 comma 4 c.p.p. non avrebbe portata
generale, ma sarebbe limitata "alle ipotesi in cui la questione sottoposta
o da sottoporre al giudice investa la pluralità del provvedimenti stessi
visti nel loro complesso. Ciò si ricava dalle seguenti considerazioni:
nel Progetto definitivo del codice il comma 4 dell'art. 665 c.p.p. è
stato modificato rispetto alla stesura della norma stessa nel Progetto preliminare,
sostituendo alle parole "in caso di pluralità di provvedimenti",
usate appunto nel progetto preliminare, l'espressione "se l'esecuzione
concerne più provvedimenti" entrata poi a far parte del testo definitivo
della norma. Ciò è avvenuto, come si legge nelle Osservazioni
del Governo in sede di trasmissione del Progetto alla Commissione parlamentare
per il parere definitivo, al fine di rendere ben chiaro "che la unificazione
della competenza in caso di più provvedimenti si ha solo se l'esecuzione
investe la pluralità dei provvedimenti (e non quando viene in questione
soltanto uno di essi)"".
Riassunto in poche battute il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul tema,
occorre rilevare che il caso di specie è collocabile in una posizione
intermedia. In effetti, la materia devoluta al giudice dell'esecuzione comprendeva
più provvedimenti, nessuno dei quali peraltro era stato emesso dal tribunale,
che risultava avere emesso una risalente pronunzia, non in esecuzione. Orbene,
in siffatta ipotesi non può che condividersi l'assunto della Suprema
Corte nella sentenza riportata in epigrafe, giacché è del tutto
probabile che il Pubblico Ministero presso il Tribunale avesse avanzato una
istanza al giudice in vista della formazione di un provvedimento di cumulo pene,
onde non vi era alcuno spazio per ritenere che dovesse applicarsi la regola
generale del comma 1 dell'art. 665 c.p.p. rispetto a quella contenuta nel successivo
comma 4.
Peraltro, non convince l'inderogabilità della regola posta dall'art.
665 comma 4 c.p.p nell'interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione allorquando
- in effetti - il tema devoluto all'esame del giudice concerna un unico titolo
ed ancor meno quando si discuta circa la stessa sussistenza di un titolo esecutivo,
e ciò per un duplice ordine di ragioni, uno sistematico ed uno pratico.
Sotto il primo profilo, non si vede logica ragione per ritenere la competenza
di un giudice estraneo rispetto alla questione sollevata allorquando non sia
stato formato (oppure non debba essere formato) un provvedimento di cumulo pene
e non si ponga dunque un problema di concreta esecuzione di più titoli;
sotto il secondo aspetto, perché nei casi indicati è assai spesso
necessario prendere cognizione del fascicolo di merito, almeno quando si deve
verificare la sussistenza del titolo esecutivo e/o degli estremi per concedere
la rimessione in termini per proporre impugnazione ai sensi dell'art. 670 c.p.p.:
non è sensato ritenere che in tali casi debbano essere spostati fascicoli,
magari di centinaia di chilometri, a causa magari di una pronunzia emessa decenni
prima (del resto, i citati lavori preparatori del codice sembrano abbastanza
chiari sul punto, come puntualmente rilevato da parte della dottrina). A ben
vedere, infatti, prassi diffusa degli uffici giudiziari è quella di provvedere
nel senso ora indicato, e quindi per solito è implicitamente riconosciuta
la competenza del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato quando si
discuta della esistenza stessa di un titolo esecutivo. Del resto, il tenore
letterale dei tre commi dell'art. 670 c.p.p. sembra confermare l'assunto, visto
che il compito del giudice dell'esecuzione è quello di accertare se "il
provvedimento manca o non è divenuto esecutivo" oppure anche di
decidere sulla restituzione nel termine per impugnare "se non deve dichiarare
la non esecutività del provvedimento", con ciò potendosi
ravvisare uno stretto legame tra giudice e singolo provvedimento della cui esecutività
si discute.
Sul punto da ultimo analizzato la sentenza di legittimità in epigrafe
non ha portato alcun utile contributo, anche se - va detto - la natura del conflitto
negativo di competenza sollevato dal pretore aveva un contenuto circoscritto,
che, come si ripete, ad avviso di chi scrive non poteva trovare diversa soluzione.
avv. Andrea Guido - giugno 1999
(*) I provvedimenti commentati sono presenti in questo stesso sito.