Mario de Giorgio, Problemi di diritto transitorio nella riforma del diritto penale tributario

Il decreto legislativo n. 74/2000 (in vigore dal 15 aprile) ha modificato profondamente la disciplina del diritto penale tributario conformemente alle direttive contenute nella legge-delega n. 205/99. Oggetto di una massiccia opera di restyling è stata principalmente la legge 516/82 (sinistramente nota, almeno dal punto di vista dei contribuenti, come legge "manette agli evasori"), il cui intero Titolo I è stato espressamente abrogato dall'art. 25.1, lett. d), del menzionato decreto.
Ebbene, fin dal principio è apparso chiaro che il nuovo assetto normativo sarebbe stato foriero di equivoci interpretativi, in particolare perché non è stata dettata alcuna norma di diritto transitorio, e ciò quantunque lo schema del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000 contemplasse all'uopo una complessa ed analitica disposizione (segnatamente l'articolo 25). Siffatta lacuna si spiega - almeno secondo quanto è dato modo di leggere nella relazione governativa che ha accompagnato il D.Lgs. 74/2000 - con il timore di possibili vizi di costituzionalità per eccesso di delega, stante l'abolizione del principio di ultrattività delle norme penali tributarie (attuata con l'articolo 24.1 del D.Lgs. 507/99 sulla scorta della direttiva di cui all'articolo 6 della L. 205/99). In realtà, almeno a giudizio di chi scrive, sarebbe stato preferibile che di tali eventuali problemi di costituzionalità si fosse preso atto prima di predisporre lo schema del decreto, onde evitare che la sorte di numerosi processi pendenti venisse affidata ad interpretazioni ormai qualificabili in termini di "ortopedia giuridica". In effetti, a giudicare dalla sostanziale coincidenza fra lo schema preparatorio e la stesura definitiva del decreto, sorge il dubbio che il legislatore delegato - visto anche l'approssimarsi del termine ultimo concesso per dar luogo alla riforma - abbia preferito eliminare tout court ogni riferimento a disposizioni transitorie, astenendosi pertanto dall'affrontare i problemi applicativi che una simile scelta avrebbe inevitabilmente comportato. Ragion per cui, quando nella relazione governativa si afferma che il compito di individuare la disciplina applicabile ai processi in corso "resterà affidato all'interprete, nel rispetto dei generali principi di cui all'articolo 2 del codice penale", pare di assistere ad un pronunciamento dai contorni vagamente oracolari, invero non di grande ausilio per gli operatori del diritto.
Orbene, la questione di diritto transitorio maggiormente dibattuta concerne la sorte del delitto di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti; sul punto si attende ormai la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (per ogni ulteriore riferimento si vedano i richiami contenuti in "Utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: dopo l'abrogazione dell'oltraggio una nuova ipotesi di abolitio criminis?", sul sito "penale.it").
Un problema ugualmente interessante concerne le contravvenzioni di cui all'abrogato art. 1.2, lett. a) e b), della legge 516/82, le quali sanzionavano il comportamento di chi, avendo effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi, ne ometteva l'annotazione nelle scritture contabili obbligatorie ovvero ne ometteva la fatturazione (ovvero ancora indicava nelle fatture o nelle annotazioni i relativi corrispettivi in misura inferiore a quella reale). Ci si chiede, infatti, se anche in tal caso si assista ad un'ipotesi di abolitio criminis.
Secondo un primissimo orientamento - invero piuttosto frettoloso - tali fattispecie dovrebbero considerarsi abrogate dall'articolo 25.1, lett. d), del D.Lgs. 74/2000, norma che, come detto, dispone l'abrogazione dell'intero Titolo I della legge 516/82. In realtà, appare comunque necessario un confronto fra vecchie e nuove disposizioni, al fine di verificare se i comportamenti in precedenza sanzionati siano tuttora penalmente rilevanti.
Ebbene, il D.Lgs. 74/2000 si articola su due categorie di reati (per un inquadramento generale si veda Paola Balducci, "La novità della riforma e la loro difficile applicazione pratica", sul sito "cittadinolex", sezione dedicata alla depenalizzazione dei reati tributari): la prima attiene ai delitti in tema di dichiarazione annuale (artt. 2,3 e 4), mentre la seconda concerne i delitti di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l'evasione (art. 8), l'occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10) e la sottrazione alla riscossione coattiva delle imposte mediante atti fraudolenti sui beni (art. 11). Tutte le nuove fattispecie sono inoltre qualificate come delitti (pertanto scompaiono dal panorama normativo in questione le ipotesi contravvenzionali) e si caratterizzano in particolare per il fatto di non prevedere la punizione dei cd. "reati prodromici"; a prima vista, pertanto, non dovrebbero sussistere dubbi in ordine all'abrogazione dei reati consumati in una fase meramente preparatoria.
Tuttavia, è opportuno verificare se in qualche modo le condotte punite dall'art. 1.2, lett. a) e b), possano essere sanzionate dagli articoli 3 e 4 D.Lgs. 74/2000.
Difatti, per quanto attiene all'articolo 3 ("Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici"), ci si chiede se anche per tale disposizione si debbano ripresentare le difficoltà interpretative sorte in passato con riferimento all'articolo 4.1, lett. f) della legge 516/82, disciplinante il reato di dichiarazione fraudolenta basata su dissimulazione di componenti positivi ovvero su simulazione di componenti negativi. La sostanziale coincidenza fra le due disposizioni de quibus, infatti, rende nuovamente attuale un problema che, sotto l'impero della legge 516, costituiva oggetto di contrasti dottrinari e giurisprudenziali. In particolare, si discuteva in ordine alla possibilità di far rientrare nell'alveo del reato di dichiarazione fraudolenta anche l'infedeltà della dichiarazione annuale commessa a seguito di omessa o fittizia annotazione o fatturazione. Il reato di mera dichiarazione infedele, infatti, era sì contemplato quale autonoma figura di reato dall'art. 1.2, lett. c) della legge 516, ma detta disposizione si riferiva unicamente alle dichiarazioni concernenti i redditi fondiari, di capitale e gli altri redditi in relazione ai quali non vi era l'obbligo di annotazione nelle scritture contabili, con il risultato di lasciare priva di sanzione l'infedeltà conseguente a mere violazioni contabili. Tale lacuna normativa fu inizialmente colmata dalla giurisprudenza proprio ampliando la portata dell'articolo 4.1, n. 7, del d.l. 429/82 (poi convertito nell'articolo 4.1, lett. f, della legge 516/82). Tuttavia, poiché non appariva univoco il significato da attribuire ai concetti di "simulazione" e "dissimulazione", decisivo fu l'intervento della Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 35 del 28.1.95, dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4.1, n. 7, "nella parte in cui non prevede che la dissimulazione dei componenti positivi o la simulazione di componenti negativi del reddito debba concretarsi in forme artificiose". La giurisprudenza formatasi successivamente, pertanto, ritenne di dover escludere che le omissioni contabili previste dall'art. 1.2, lett. a) e b) della L. 516/82 potessero sic et simpliciter venir punite ai sensi della lettera f) dell'articolo 4. Rebus sic stantibus, alla medesima conclusione si deve pervenire anche in relazione all'articolo 3 del D.Lgs. 74/2000, attesa la menzionata coincidenza fra tale norma e quella prevista dall'articolo 4.1, lett. f), della legge "manette agli evasori". D'altro canto, tale argomentazione trova conforto nella relazione governativa, ove si esclude che le violazioni contabili fondate sul mero mendacio "configurino, di per sé, con indeclinabile automatismo, artifici idonei a determinare il passaggio dalla fattispecie di dichiarazione infedele a quella di dichiarazione fraudolenta".
Quanto, viceversa, al raffronto fra i reati di cui all'art. 1.2, lett. a) e b), L. 516 e quello di "Dichiarazione infedele" previsto dall'articolo 4 del D.Lgs. 74/2000, si impongono le seguenti considerazioni: a) diverso appare il momento consumativo del reato (fin dalla preparazione della dichiarazione nel caso di omesse registrazioni e fatturazioni, solo con la presentazione della dichiarazione stessa nell'ipotesi di dichiarazione infedele); b) differente si presenta la configurazione dell'elemento soggettivo, essendo prevista la punibilità anche per mera colpa (trattandosi di contravvenzioni) nelle vecchie fattispecie ed imponendosi, viceversa, il dolo specifico di evasione nella nuova condotta; c) difforme si appalesa anche la replica sanzionatoria, essendo stato generalmente previsto dal D.Lgs. 74/2000 un inasprimento delle pene; d) in ogni caso, l'estensione della nuova disciplina alle condotte meramente preparatorie un tempo sanzionate dalla legge 516 implicherebbe la probabile vulnerazione del principio costituzionale di legalità, quanto meno sub specie di violazione del principio di irretroattività della norma penale.
In definitiva, nessuna delle nuove fattispecie di reato sembra attagliarsi alle ipotesi disciplinate dall'art. 1.2, lett. a) e b), della legge 516/82 e si deve conseguentemente ritenere con ragionevole sicurezza (nonostante i connotati sibillini che caratterizzano gran parte della riforma del diritto penale tributario) che i casi di omessa annotazione e fatturazione non siano più previsti dalla legge come reato.

Pisa, lì 14.7.2000

Avv. Mario De Giorgio (mario.degiorgio@tiscalinet.it)

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