
Daniele Minotti,
Breve guida alla riforma del giudice unico. Le modifiche al codice di procedura
penale introdotte dalla l. 479/99, dal d.l. 82/00 e dalla l. 144/00(*)
Il 2 gennaio 2000, sincronizzata
con la "seconda parte" della più ampia riforma del giudice
unico, è entrata in vigore la legge
16 dicembre 1999, n. 479 (detta "legge Carotti", dal
nome del relatore alla Camera) che, tra le altre innovazioni, ha definitivamente
introdotto il rito monocratico in sede penale e numerose altre modifiche ai
codici penale e di procedura penale rivedendo non poco la disciplina prevista
dal precedente d.lgs.51/98. Successivamente il decreto
legge 7 aprile 2000, n. 82 e la relativa legge
5 giugno 2000, n. 144 di conversione con modificazioni hanno ulteriormente
affinato la disciplina introdotta dal primo provvedimento.
Questo documento costituisce
una sorta di "guida rapida" principalmente alla riforma c.d. "del
rito monocratico" - appunto, più circoscritta rispetto a quella
del giudice unico - che tratta i principali istituti toccati dalla l. 479/99
considerate le modifiche apportate dalla legislazione successiva evidenziate
in grassetto corsivo.
Nella disamina si è
seguito, in linea di massina, l'ordine del codice di procedura penale.
- COMPETENZA
PER MATERIA E ATTRIBUZIONI
Cancellato (non
dalla l. 479/99, ma dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51) l'art. 7 che fissava
la competenza del pretore (e, ancora prima, il riferimento dell'art. 6 a questa
figura di giudice), sono stati modificati gli articoli 33 bis, 33 ter,
33 sexies e 33 septies già introdotti dal medesimo d.lgs.
19 febbraio 1998, n. 51 nel quadro della generale riforma del giudice unico.
Si nota subito la scomparsa della figura del pretore il cui posto (sotto
il profilo della monocraticità) è stato preso dal "tribunale
in composizione monocratica" (da qui e da altre disposizioni - cfr.
infra Rito monocratico del libro VII I - il nome
con cui, comunemente seppur impropriamente, è conosciuta la riforma).
Si vedrà, comunque, quanto questo "avvicendamento" sia limitato
al rito monocratico senza udienza preliminare.
La competenza (a parte quella del tribunale per i minorenni) è ora
ripartita soltanto tra corte di assise e tribunale. Nell'àmbito
di quest'ultimo (organo "unico"), la legge non si esprime in
termini di "competenze", ma di "attribuzioni" della composizione
collegiale e di quella monocratica (cfr. artt. 33 bis, 33 ter
e 33 quater).
Le differenze non sono soltanto terminologiche (competenza e attribuzione
non sono sinonimi), ma investono anche le questioni riguardanti le regole
e le conseguenze in caso di "inosservanza" delle predette norme
di attribuzione. Sono quelle degli artt. 33 quinquies (non modificato
dalla l. 479/99), 33 sexies, 33 septies, 33 octies e
33 nonies (anche questi ultimi due mantenuti nella formulazione
originaria del d.lgs. 51/98).
Secondo la prima disposizione citata, dette inosservanze devono essere rilevate
o eccepite prima della conclusione dell'udienza preliminare ed, eventualmente,
riproposte entro il termine di cui all'art. 491 (nel caso l'udienza preliminare
si celebri) oppure sempre entro le medesime questioni predibattimentale nell'ipotesi
di giudizio diretto.
Dubbi possono residuare in ordine alla natura delle inosservanze relative
alla composizione del tribunale. Per la chiara lettera dell'art. 33, comma
3 (già introdotto dal d.lgs. 51/98), la violazione di queste regole,
riguardanti, comunque, l'"unico" giudice rappresentato dal tribunale
(mutevole soltanto nella composizione), non attiene a questioni di capacità
del giudice stesso. Lo sbarramento preventivo a questioni di nullità
assolute (ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, comma 1 lett. a)
e 179, comma 1) è inequivoco.
Secondo alcuni (e malgrado la legge non parli in modo esplicito di "nullità"),
rimarrebbe spazio per il riconoscimento di nullità a regime intermedio.
Pur dovendo ricordare il principio di tassatività delle nullità
(benché soltanto a regime intermedio) anche sotto il formale profilo
della "definizione" delle sanzioni processuali, non si può
nascondere che la disciplina concreta ricordi molto da vicino quella dettata,
appunto, per le nullità a regime intermedio. La lettera dell'art. 33
quinquies fa, infatti, riferimento non soltanto ad eccezioni (di
parte), ma anche alla possibilità che le ridette violazioni siano "rilevate"
evidentemente dal giudice stesso. D'altro canto, l'art. 33 nonies,
in ossequio al generale principio di conservazione degli atti processuali
(cfr. art. 26), impedisce la declaratoria di invalidità degli atti
del procedimento pur celebrato in violazione delle regole sulla composizione
del tribunale.
Ad avviso di chi scrive, però, tale impostazione non sembra accoglibile.
Se è vero che l'art. 33, comma 2, pare aver creato un diverso genere
di questioni riguardanti la figura del giudice, non si può negare che
soltanto i profili riguardanti la capacità del giudice ed il numero
dei giudici necessario per comporre il collegio rilevano ai fini di dette
nullità, peraltro necessariamente ed esclusivamente assolute, visto
quanto dettato dall'art. 179.
L'ostacolo, invero, potrebbe essere superato ipotizzando la ricorrenza di
una nullità a regime intermedio non generale, ma speciale (tra l'altro
con diverse regole rispetto a quelle dettate dall'art. 180), categoria non
pacificamente ammessa.
In termini generali, comunque, le attribuzioni, sempre residuali seppur
generali, del tribunale in composizione monocratica risultano parecchio allargate
rispetto alla previgente competenza pretorile: vi rientrano - secondo
un criterio "quantitativo" - i reati puniti con la reclusione, nel
massimo, sino a dieci anni ed altri ben più gravi in termini di
pena come le violazioni in tema di stupefacenti di cui all'art. 73 d.P.R.
309/90. Si noti, però, che la legge 144/00 ha rimediato ad un aspetto
molto criticato della legge 479/99. Le attribuzioni del giudice monocratico,
infatti, non riguardano più l'art. 80 d.P.R. 309/90. In precedenza,
vi era attribuzione per la aggravanti previste da tale disposizione tranne
che per le ipotesi contemplate dai commi 1, 3 e 4. Ma, in particolare aveva
suscitato molte critiche il caso dell'ingente quantitativo ex art. 80, comma
2, d.P.R. 309/90 (cfr. il nuovo art. 33 ter c.p.p.).
Si noti, infine, che l'art. 33 bis, comma 2, richiama i criteri
dell'art. 4 con un nuovo indice di allargamento della sfera monocratica.
Ai collegi, seguendo
- pur residuando perplessità - il dettato della legge delega, rimangono
i reati di "particolare allarme sociale", quelli che comportano
"rilevanti difficoltà di accertamento" ed altre particolari
attribuzioni come, ad esempio, quelle relative al tribunale per il riesame.
La l. 144/00 ha, peraltro, precisato, al secondo comma dell'art. 33 bis c.p.p.,
che le attribuzioni collegiali, secondo il parametro della pena, riguardano
i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a dieci anni "anche
nell'ipotesi del tentativo".
In conclusione, va osservato quanto l'assetto della riforma ribalti l'approccio
dei previgenti artt. 6 e 7.
- INCOMPATIBILITA'
All'art. 34 viene
aggiunto il comma 2 ter che fissa espresse esclusioni dell'incompatibilità
prevalentemente legate ad atti "minori" adottati ai sensi dell'Ordinamento
Penitenziario.
Anche se introdotte con il d.lgs. 51/98, vanno ricordate le incompatibilità
previste dall'art. 34, comma 2.
Per la legge 144/00, invece, le disposizioni del comma 2 bis dell'art.
34 c.p.p. non si applicano al giudice che abbia provveduto all'assunzione
dell'incidente probatorio o comunque abbia adottato uno dei provvedimenti
del titolo VII del libro quinto (cfr. il nuovo comma 2 quater dell'art. 34
c.p.p.).
- COMPETENZA
E PUBBLICO MINISTERO
Un novità assoluta è contemplata dall'art. 54 quater
che prevede, per indagato, persona offesa e difensori, la possibilità
di chiedere formalmente al pubblico ministero procedente la trasmissione
degli atti ad altro pubblico ministero, sempre che sussistano motivi legati
alla competenza del giudicante (v. anche il nuovo art. 4 bis disp.
att.).
Si noti che la medesima norma, al comma 3, prevede la possibilità
di ricorrere in seconda istanza al procuratore generale (distrettuale
o presso la Cassazione) sia in caso di rigetto che di silenzio.
- ASSUNZIONE
DELLA QUALITA' DI IMPUTATO
Pur incidentalmente, nell'art. 60 fa il suo esordio l'istituto del "decreto
di citazione diretta a giudizio" che, in taluni casi del rito monocratico,
sostituisce il decreto di citazione di pretorile memoria (cfr. la sezione
dedicata al rito monocratico).
- COSTITUZIONE
DI PARTE CIVILE, DIFENSORI DELLE PARTI PRIVATE E CERTIFICAZIONI DELLE SOTTOSCRIZIONI
Degna di nota è l'introduzione, negli artt. 100, comma 1, e 122, comma
1, della possibilità, per il difensore, di autenticare la sottoscrizione
apposta, dal proprio assistito, a procure speciali rilasciate per scrittura
privata. Tale innovazione pone nel nulla la giurisprudenza di legittimità,
financo a Sezioni Unite, che aveva limitato fortemente il potere di certificazione
del difensore determinando, in particolare, la decimazione di numerose parti
civili.
Si vedano anche la modifica all'ultimo comma dell'art. 78 (in tema di deposito
della procura speciale per la costituzione di parte civile) e l'art. 13, comma
4, l. 479/99 unica (sic) disposizione transitoria prevista dalla legge
"Carotti". Quest'ultima disposizione ha assunto maggiore efficacia
retroattiva (ma, probabilmente, nell'intento di porre rimedio ad un errore
prodottosi durante i lavori parlamentari) con il riferimento, introdotto dalla
l. 144/00, al terzo comma dello stesso art. 13 l. 479/99 (non più al
comma 2). Il che comporta la piena efficacia delle autentiche difensive poste
in essere prima dell'entrata in vigore della "Carotti".
- DIVIETO DI
PUBBLICAZIONE DI ATTI E DI IMMAGINI
Ha avuto particolare eco sulla stampa non giuridica. In ossequio all'ormai
dilagante attenzione per la "privacy", l'art. 114, comma 6 bis,
è ora vietata la pubblicazione di immagini che ritraggono persone
"in manette" (o altri mezzi di coercizione fisica), salvo un
improbabile consenso dell'interessato.
- TERMINI DI
DURATA MASSIMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE
Il d.l. 82/00, a fronte delle sostanzione modifiche all'abbreviato introdotte
dalla l. 479/99, è intervenuto sui termini massimi della custodia cautelare.
In particolare, l'interruzione dei termini, relativamente al predetto rito
speciale ed ai tempi potenzialmente più lunghi (ad esempio, per l'abbreviato
"condizionato"), è stato anticipato dalla sentenza ex art.
442 c.p.p. alla semplice emissione dell'ordinanza che dispone l'abbreviato.
Questa modifica è contenuta nell'art. 303, comma 1, lett. a), c.p.p.
Un'ulteriore innovazione riguardante l'art. 303 c.p.p. si manifesta con l'inserimento,
sempre al primo comma, della lettera b-bis) la quale considera le ipotesi
nelle quali il dies a quo coincide la data di emissione dell'ordinanza che
dispone l'abbreviato. In sostanza si è creata una nuova fase compresa
tra l'ordinanza stessa e la sentenza resa ex art. 442 c.p.p.
Conseguenti aggiustamenti anche per quanto riguarda i casi di sospensione
della durata massima.
Nell'art. 304, primo comma, c.p.p. è stata aggiunta la lettera c-bis)
la quale, a questi fini, sostanzialmente equipara il giudizio abbreviato alla
fase dibattimentale. Ed, infatti, la disposizione in esame rinvia proprio
alle lettere a) e b) del medesimo art. 304 c.p.p. ricalcando, inoltre, il
dettato della lettera c).
Riformulato, invece, il secondo comma con l'aggiunta dei casi degli "abbreviati
particolarmente complessi".
Analoghe correzioni, infine, per il comma quinto in tema di coimputati che,
ora, richiama le lettere a) e b) anche per i giudizi abbreviati.
Sul fronte della possibilità di proroga della custodia cautelare, è
stato aggiunto, dalla legge di conversione al d.l. 82/00, il caso delle integrazione
investigativa ex art. 415 bis c.p.p. - novità, quest'ultima, della
"legge Carotti" - con il chiaro intento di neutralizzare eventuali
richieste dilatorie da parte dell'indagato tendenti al raggiungimento della
scadenza termini.
Per alcune di queste nuove norme, il d.l. 82/00 ha stabilito una semplice
norma transitoria. Secondo l'art. 4, comma 1, gli artt. 1 e 2 del provvedimento
governativo si applicano anche ai giudizi abbreviati in corso alla data di
entrata in vigore del decreto stesso, pur con il limite della precedente perdita
di efficacia della custodia cautelare.
Il secondo comma dell'art. 4 precisa, invece, che i termini stabiliti dall'art.
1, comma 1, lett. b) del decreto (relativi alla fase speciale dell'abbreviato),
decorrono dalla data di emissione dell'ordinanza con cui il giudice ha disposto
l'abbreviato o dalla data in cui ha avuto esecuzione la custodia (sempre che
sia successiva alla precedente).
- RIPARAZIONE
PER L'INGIUSTA DETENZIONE
L'anacronistica soglia del risarcimento (era cento milioni di lire) fa spazio
al più adeguato limite massimo di un miliardo di lire.
Il termine, a pena di decadenza, previsto per la presentazione della relativa
domanda passa da diciotto mesi a due anni.
Sostanzialmente invariato il dies a quo, ma viene aggiunto l'ulteriore
- quanto opportuno - riferimento alla notificazione del provvedimento di
archiviazione, non più, dunque, alla mera emissione dello stesso
(la cui mancata conoscenza poteva condurre alla tardività - rectius:
inammissibilità - della domanda).
- INDAGINI PRELIMINARI
Di particolare rilievo appare il nuovo art. 415 bis che prevede, in
capo al pubblico ministero, l'obbligo di avvisare l'indagato e il difensore
della conclusione delle indagini preliminari. Tale adempimento va posto
in essere prima della scadenza del termine delle indagini stesse. Di fatto,
però, l'assenza di ogni sanzione processuale vanifica il dettato
legislativo. Purtuttavia - e malgrado questo limite evidente - rimane apprezzabile
il fatto che l'indagato sia posto in condizione di difendersi in tempi prossimi
rispetto all'inizio delle indagini e non, come accadeva col precedente art.
416, soltanto prima dell'emissione della richiesta di rinvio a giudizio, termine
assolutamente discrezionale.
Nell'avviso de quo vanno indicate le facoltà di visione e
di estrazione copie, nonché quelle (da esercitarsi entro il termine
- che sembra soltanto ordinatorio - di venti giorni decorrente, apparentemente,
dalla notifica all'indagato) di deposito memorie e produzioni anche relative
ad indagini difensive, di domandare un approfondimento delle indagini, di
rilasciare dichiarazioni e di chiedere l'interrogatorio. Nel caso di richiesta
di interrogatorio, il pubblico ministero è tenuto a procedere all'incombente.
A seguito delle richieste dell'indagato, il pubblico ministero può
disporre nuove indagini nel termine di trenta giorni, prorogabili sino a sessanta.
Le dichiarazioni e l'interrogatorio dell'indagato oltre ai nuovi atti così
disposti dal pubblico ministero entrano a far parte del suo fascicolo e, se
compiuti nel termine previsto dal comma 4, sono pure utilizzabili.
Conseguenti modifiche anche all'art. 416. Nell'evidente intento di sollevare
procure o polizia giudiziaria, l'omissione dell'invito a presentarsi per
rendere l'interrogatorio (con la relativa nullità disciplinata soltanto
con la legge 16 luglio 1997, n. 234) determina la nullità della richiesta
di rinvio a giudizio (o del nuovo decreto di citazione a giudizio) soltanto
se l'interrogatorio è richiesto tempestivamente ai sensi del citato
art. 415 bis. Identica - ma distinta - nullità (generale a regime
intermedio) è prevista anche per l'omissione di notifica dell'avviso
del termine delle indagini preliminari.
Altre modifiche sono state introdotte in tema di archiviazione. Oltre al rinnovato
art. 415, si noti il primo comma dell'art. 409, secondo il quale il provvedimento
di archiviazione dovrà, d'ora in poi, essere notificato alla persona
sottoposta, in quel procedimento, a custodia cautelare. Tale ultima disposizione
si collega strettamente con la nuova disciplina in tema di riparazione per
l'ingiusta detenzione.
- RICHIESTA
DI RINVIO A GIUDIZIO E UDIENZA PRELIMINARE
Diffusamente, si è sentita la necessità di imporre un'enunciazione
"chiara e precisa" delle contestazioni contenute nella richiesta
di rinvio a giudizio (cfr. art. 417, comma 1, lett. b) e nel decreto che dispone
il giudizio (art. 429, comma 1, lett. c).
Ridotto l'articolo 420, sono stati introdotti gli artt. 420 bis, 420
ter, 420 quater e 420 quinquies che, rispettivamente,
riflettono il tenore dei previgenti artt. 485, 486, 487 e 488 (ora abrogati).
Si tratta delle disposizioni riguardanti i casi di mancata conoscenza dell'avviso
dell'udienza preliminare, di assenza, di impedimento (anche del difensore),
di contumacia e di assenza o allontanamento volontari dell'imputato.
La conseguenza più evidente è che la dichiarazione di contumacia
è anticipata, qualora ne ricorrano i presupposti, all'udienza preliminare,
donde la necessità di abrogare le predette disposizioni già
contenute nel libro VII (Giudizio). L'istituto della contumacia assume
ancor più centralità sin dall'udienza preliminare con le modifiche
apportate dal legislatore del 2000 (legge di conversione). L'art. 419, comma
1, c.p.p. prevede adesso che l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare
contenga "l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà
giudicato in contumacia".
Di non minore importanza è la rilevanza che ora, contrariamente
alla giurisprudenza precedente, assume il legittimo impedimento del difensore
(art. 420 ter, comma 5).
Richiesta soltanto "di regola" la verbalizzazione riassuntiva
(cfr. art. 420, comma 4), l'art. 421 prevede ora espressamente la facoltà,
per l'imputato, di rendere dichiarazioni spontanee, mentre il nuovo
art. 421 bis ed il rinnovato art. 422 ampliano notevolmente i poteri
istruttori del G.U.P. in ordine ad attività di indagine del pubblico
ministero e di vera e propria attività probatoria dello stesso
giudice.
In particolare, la prima disposizione consente al G.U.P., qualora osservi
un'incompletezza delle indagini del pubblico ministero, di ordinare, al pubblico
ministero, l'integrazione delle indagini fissandone il termine. Tale "ordinanza-ordine",
si configura, in realtà, anche come atto di "censura" obbligatoria
nei confronti dell'accusa. Ne è, infatti, prevista la comunicazione
al procuratore generale presso la corte d'appello il quale può, addirittura,
procedere all'avocazione delle indagini.
L'art. 422 (già esistente) regola, invece, i poteri probatori propri
del G.U.P. in sede di udienza preliminare, ma con rilevanti innovazioni. Anzitutto,
è contemplato il potere di disporre d'ufficio (e non soltanto su
richiesta delle parti come dettato in precedenza) l'assunzione di prove.
Tale potere è, però, orientato al favor rei, nel senso
che può essere esercitato soltanto quando "appare evidente
la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere".
In precedenza, questi poteri istruttori potevano essere esercitati a prescindere
dall'esito cui miravano, dunque anche per l'eventuale rinvio a giudizio.
Reso più complesso l'art. 425 che, ora, si articola in cinque commi
in luogo dei precedenti due. A norma del secondo, le attenuanti ed il bilanciamento
delle circostanze ex art. 69 c.p. entrano definitivamente in gioco
nella decisione circa la sentenza di non luogo a procedere prevista dal
primo comma (caso che, malgrado il silenzio della legge, pare applicabile
esclusivamente ai fini della prescrizione). L'innovazione non è di
scarso rilievo anche perché, in assenza di una disposizione così
categorica, la giurisprudenza formatasi sulla legge previgente non consentiva
l'esercizio di così ampi poteri da parte del G.U.P.
L'udienza preliminare "importa" dal dibattimento (cfr. art. 530,
comma 2) l'equiparazione dell'insufficienza e della contraddittorietà
degli elementi probatori dell'accusa alla positiva sussistenza di prove di
innocenza. E la figura del G.U.P. assume ancor più autorevolezza
anche nei confronti dell'accusa con il filtro valutativo circa l'"idoneità"
degli stessi a sostenere l'accusa in giudizio (previsione che non può
non suggerire una sorta di archiviazione d'ufficio del giudice). In sostanza,
al G.U.P. è demandata una sorta di prognosi circa l'esito del dibattimento.
Altre innovazioni (commi 4 e 5) riguardano l'impossibilità di pronunciare
la sentenza di non luogo a procedere nell'ipotesi di applicabilità
di misure di sicurezza personali (decisione evidentemente demandata alla
fase del giudizio) e l'obbligo di pronunciarsi sull'eventuale falsità
di documenti.
Quanto al primo aspetto, va notato che l'art. 425, comma 4,
c.p.p. riscritto dalla legge 479/99 si riferiva, in verità, genericamente
alle misure di sicurezza. La dottrina aveva, però, concluso per un'interpretazione
circoscritta a quelle personali. La conferma della correttezza di tale orientamento
viene, peraltro, dalla legge di conversione 144/00, la quale, in una sorta
di interpretazione autentica, aggiunge la precisazione "diversa dalla
confisca".
Sostanzialmente anticipate al termine dell'udienza preliminare le questioni
circa il contenuto del fascicolo per il dibattimento di cui all'art. 431 che,
oggi, si svolgono in un pieno contraddittorio preventivo con possibilità
di fissare un'udienza ad hoc nei quindici giorni.
Sempre riguardo il fascicolo per il dibattimento, la nuova lettera dell'art.
431 dà maggiore spazio agli atti acquisiti mediante rogatoria internazionale
e consente l'accordo tra le parti in ordine all'inserimento di atti contenuti
nel fascicolo del pubblico ministero o relativi alle investigazioni difensive.
E' fatto divieto al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria e al difensore
di assumere informazioni da persone ammesse ex art. 507, indicate nella richiesta
di incidente probatorio o ai sensi del novellato art. 442, comma 2, ovvero
indicate nella lista testi per il dibattimento presentata dalle altre parti.
Le informazioni eventualmente assunte in violazione di questo divieto sono
inutilizzabili. Il divieto cessa, comunque, dopo l'assunzione della testimonianza
e nei casi in cui questa non sia ammessa o non abbia luogo (art. 430 bis).
La legge 479/99, modificando il comma 4 dell'art. 429, aveva pesantemente
influito sui diritti delle parti non presentatesi all'udienza preliminare.
Il decreto che dispone il giudizio non doveva più essere notificato
alla persona offesa o all'imputato non presente o allontanatosi volontariamente.
Soltanto l'imputato ritualmente dichiarato contumace aveva diritto alla notifica
del decreto, ma, comunque, senza il termine a comparire di venti giorni.
Tale innovazione, evidentemente ritenuta iniqua, ha indotto la legge 144/00
a cancellare questo aspetto della riforma "Carotti" sostanzialmente
ricalcando il testo previgente alla legge 479/99 e con il necessario riferimento
alla contumacia dell'imputato.
Un'importante precisazione concernente la competenza territoriale del G.U.P.
è stata introdotta dall'art. 4 bis d.l. 82/00 (modificato in sede di
conversione) nelle forme dell'"interpretazione autentica" all'art.
328, comma 1 bis, c.p.p. Qualora si proceda per i delitti indicati nell'art.
51, comma 3 bis, c.p.p. (soprattutto reati associativi), le funzioni del G.U.P.
(non soltanto quelle del G.I.P.) sono esercitate da un magistrato del tribunale
del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
Così, di fatto, sono state sorpassate quelle incertezze interpretative
che avevano prodotto sentenze come quella del G.U.P.
di Bologna, 10 aprile 2000.
In
generale, si può osservare quanto, con la riforma, l'udienza preliminare
sia diventato un sostanziale "sbarramento" ai dibattimenti (cfr.
anche infra in tema di rito abbreviato e di patteggiamento), il momento
centrale del procedimento, con la piena celebrazione della "monocraticità"
del giudicante. V'è da dire, in conclusione di questa sezione, che
le modifiche introdotte all'udienza preliminare spostano, almeno sulla carta,
questa fase verso l'imputato, sconvolgendo non poco gli assetti dei protagonisti
del rito attraverso, però, un malcelato ritorno al rito inquisitorio
nelle mani di un vero e proprio "giudice istruttore".
- GIUDIZIO ABBREVIATO
Novità anche sul fronte del rito abbreviato, ulteriormente affinato
dal d.l. 82/00 e della legge di conversione 144/00 e sempre più "classica"
alternativa (necessariamente monocratica) al giudizio dibattimentale, ma con
opinabili tratti marcatamente inquisitori.
In primis, il venir meno del consenso del pubblico ministero la
cui necessità non è più contemplata dall'art. 438.
L'imputato può, addirittura, subordinare la propria richiesta all'integrazione
probatoria di cui all'art. 422 bis, ammessa dal giudice con attenzione
alla necessità della stessa ed anche ad una generale - quanto imprecisata
- compatibilità "con le finalità di economia processuale
proprie del procedimento". E', comunque, prevista la reiterabilità
della richiesta sino al termine ultimo ordinario.
L'integrazione probatoria, anche d'ufficio e regolata dall'art. 422, può,
peraltro, essere recuperata tramite il dettato dell'art. 441, comma 5, nei
casi in cui il giudice, pur dopo aver concesso il rito, si trovi a non poter
decidere allo stato degli atti.
Tutto ciò, come osservato da molti in primis nell'àmbito
della mailing list di www.penale.it,
rende, in sostanza, obbligatoria la concessione del rito. Non ha, infatti,
più alcun senso parlare di "definibilità allo stato degli
atti" in presenza di così vasti poteri integrativi (sollecitati
o meno) del sostrato probatorio.
E vi è pure una riprova positiva di quanto appena sostenuto: l'abrogazione
dell'art. 440 con il suo riferimento, appunto, alla possibilità di
definire il processo allo stato degli atti.
Il rito abbreviato, prima della riforma da celebrarsi soltanto in camera di
consiglio, può ora svolgersi in udienza pubblica se così
richiesto da tutti gli imputati (art. 441, comma 3).
Sempre riguardo lo svolgimento del rito, va ricordata un'importante
innovazione introdotta dalla legge 144/00 che disciplina il regime delle nuove
contestazioni.
Con l'introduzione ex novo del corposo art. 441 bis c.p.p., si corregge non
poco il c.d. "abbreviato condizionato" di cui all'art. 438, comma
5, c.p.p. Nel caso in cui il giudice ritenga accoglibili le "condizioni"
poste dall'imputato (ed anche qualora lo stesso giudicante ritenga di disporre
l'integrazione prevista dall'art. 441, comma 5, c.p.p.), ma, a seguito di
ciò, il pubblico ministero proceda alle nuove contestazioni ex art.
423, comma 1, c.p.p., l'imputato potrà sempre "ripensare"
alle proprie scelte riguardo il rito chiedendo che il procedimento prosegua
nelle forme ordinarie (comma 1). La volontà dell'imputato è
espressa nelle forme (procura speciale) previste dall'art. 438, comma 3, c.p.p.
(comma 2).
Ai fini della richiesta di ritorno al rito ordinario o per l'integrazione
delle difesa, il giudice, su istanza dell'imputato o del difensore, può
concedere un termine non superiore ai giorni dieci sospendendo il giudizio
(comma 3).
Alla richiesta di prosecuzione nelle forme ordinarie consegue la revoca l'ordinanza
di giudizio abbreviato, la fissazione dell'udienza preliminare, eventualmente
in prosecuzione, l'impossibilità di riproporre la richiesta di giudizio
abbreviato (comma 4). Il che sembrerebbe lasciare spazio, sempre che possa
dirsi tempestiva, all'eventuale richiesta di patteggiamento.
L'art. 441 bis c.p.p. ha, dunque, la funzione di consentire all'imputato di
tornare alla situazione precedente alla richiesta di giudizio abbreviato,
per evitargli il pregiudizio conseguente le nuove ed inattese contestazioni.
Il ritorno alla fase precedente patisce, però, un limite. Secondo il
quarto comma, gli elementi raccolti ai sensi degli artt. 438, comma 5, e 441
comma 5, sono parificati a quelli compiuti ex art. 422 c.p.p., in sostanza
come se tale attività fosse stata compiuta durante una normale udienza
preliminare.
Sempre, infine, alle nuove contestazioni, il comma 5 dell'art. 441 bis c.p.p.
stabilisce che, qualora l'imputato, malgrado le nuove contestazioni, ritenga
di mantenere la scelta dell'abbreviato, lo stesso abbia diritto a richiedere
nuove prove anche oltre i limiti previsti dall'art. 438, comma 5, c.p.p. Specularmente,
il p.m. potrà chiedere l'ammissione della prova contaria.
Significativa
è la reintroduzione dell'applicabilità del rito abbreviato
in procedimenti riguardanti reati punibili con l'ergastolo (art. 442,
comma 2): in tal caso la riduzione per il rito comporta la sostituzione di
detta pena con quella della reclusione di trent'anni. Si ricorda che tale
previsione era già esistente nella formulazione originaria del codice.
La Corte Costituzionale, con sentenza 23 aprile 1991, n. 176, l'aveva dichiarata
costituzionalmente illegittima per eccesso di delega (v. infra per le
norme transitorie).
Aperture verso l'imputato anche in tema di appellabilità:
viene abrogato il comma 2 dell'art. 443 che prevedeva il limite con riferimento
alle condanne alla sola pena pecuniaria e a pene comunque da non eseguirsi
(limite, peraltro già espunto con la dichiarazione di illegittimità
della Consulta resa con la sentenza 23 luglio 1991, n. 30).
Con la riscrittura del primo comma, cade - ma anche con riferimento all'appello
del pubblico ministero - il limite riguardo le sentenze con le quali sono
state applicate sanzioni sostitutive.
Assai rilevanti sono le norme transitorie espresse dall'art. 4 ter del
d.l. 82/00 (come modificato in sede di conversione). Tra le altre, di massima
evidenza è quella che consente, alla prima udienza utile successiva
all'entrata in vigore della legge di conversione, di celebrare i procedimenti
per reati puniti con l'ergastolo nelle forme del rito abbreviato (godendo,
dunque, della relativa diminuente). La reintrodotta (dalla legge 479/99) compatibilità
abbreviato-ergastolo spiega, dunque, i suoi effetti retroattivamente, ma non
oltre il giudizio di appello, qualora vi sia rinnovazione dell'istruzione
ex art. 603 c.p.p., od anche in particolari casi di giudizio di rinvio (cfr.
il comma 3 dell'art. 4 ter d.l. 82/00 modificato).
Più contenuta la retroattività delle nuove norme in tema di
abbreviato relativamente a procedimenti per gli altri reati. L'effetto è
limitato alle situazioni nelle quali non sia ancora iniziata l'istruzione
dibattimentale alla data di entrata in vigore della legge di conversione (art.
4 ter, comma 1, d.l. 82/00 modificato).
In entrambi i casi, costituiscono materiale probatorio utilizzabile sia il
fascicolo dibattimentale ex art. 416, comma 2, c.p.p. che le eventuali prove
assunte in precedenza (art. 4 ter, commi 5 e 6, d.l. 82/00 modificato).
- PATTEGGIAMENTO
Nell'art. 444, comma 2, è stato aggiunto l'espresso riferimento alla
congruità della pena, parametro, peraltro, già fissato
dalla giurisprudenza.
Ma la vera "rivoluzione", contenuta nell'art. 446, comma 1, è
costituita dal termine ultimo per la relativa richiesta: non più fino
alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma sino
alle conclusioni dell'udienza preliminare, come per il rito abbreviato.
Per la trasformazione dal giudizio direttissimo vale il vecchio termine; per
il giudizio immediato si applicano tempi e forme di cui all'art. 458, comma
1; per il rito monocratico si rinvia alla specifica sezione.
All'art. 448 viene, inoltre, prevista la possibilità di rinnovare,
prima dell'apertura del dibattimento, la richiesta di applicazione della pena
qualora, in precedenza, il giudice non abbia pronunciato sentenza conforme
o il pubblico ministero non abbia prestato il consenso. La richiesta non
può essere rinnovata oltre questo termine, ma il giudice può
applicare la pena anche dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o
nel giudizio d'impugnazione.
Per il resto si segnala l'adeguamento del testo del comma 2 dell'art. 444,
ora conforme, in tema di compensazione delle spese, alla sentenza della
Corte Costituzionale 12 ottobre 1990, n. 443 (anche se la Consulta aveva utilizzato
la locuzione "gravi motivi" e non "giusti motivi").
Altra menzione merita il novellato art. 135 disp. att.: in caso di richiesta
di patteggiamento, il giudice (naturalmente quello del dibattimento), a differenza
del passato dove vi era soltanto una facoltà, ordina senz'altro
l'esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.
- GIUDIZIO DIRETTISSIMO
Una sola disposizione modificata dalla legge "Carotti":
il comma 2 dell'art. 452 in tema di trasformazione del rito da direttissimo
ad abbreviato. Scompare, ovviamente, il riferimento al consenso del pubblico
ministero, mentre non sono più genericamente richiamate le norme dell'udienza
preliminare. Il riferimento è circoscritto agli artt. 438, commi
3 e 5 (il che, peraltro, comporta la subordinazione all'integrazione probatoria
a prescindere dai temi nuovi e incompleti soltanto indicati dal giudice),
441, 442 e 443. In particolare, il richiamo a tutto l'art. 441 consente, pure
in questa trasformazione, il pieno recupero dei poteri di integrazione istruttoria
propri del giudice (cfr. art. 422).
Il legislatore del 2000 ha, successivamente ed opportunamente, inserito
nell'art. 452, comma 2, c.p.p. l'eventualità della revoca dell'abbreviato
conseguente le nuove contestazioni, con un richiamo all'art. 441 bis c.p.p.
- GIUDIZIO IMMEDIATO
Anche in questo caso (art. 458, comma 2), si noti l'espresso rinvio agli
artt. 438, commi 3 e 5, 441, 442 e 443, nonché quello all'art.
441 bis, comma 4, c.p.p. e alla revoca dell'ordinanza di abbreviato conseguente
le contestazioni suppletive (cfr. art. 458, comma 2, ultima parte c.p.p.).
- PROCEDIMENTO
PER DECRETO
L'irrogabilità del decreto penale di condanna viene estesa anche
ai reati perseguibili a querela sempre che la stessa sia stata validamente
presentata e che non vi sia opposizione del querelante proprio nell'atto
di querela (art. 459, comma 2), ma scompare il riferimento all'applicabilità
di pene accessorie (infatti, espressamente escluse dal nuovo comma 5 dell'art.
460). Il ruolo dell'eventuale querelante emerge anche dal comma 4 dell'art.
459 che impone la comunicazione della condanna allo stesso.
Nel quadro di una potenziata premialità del rito (palesemente riscritto
sulla falsariga del patteggiamento), il novellato articolo 460 prevede:
- il decreto non comporta più la condanna al pagamento delle spese
di giustizia e, come già evidenziato, a pene accessorie;
- il decreto, anche se divenuto esecutivo, non ha più effetto di
giudicato nei giudizi civili o amministrativi;
- è previsto l'effetto estintivo per decorrenza di cinque anni (delitti)
o due anni (contravvenzioni) e l'applicabilità della sola confisca
obbligatoria.
In punto opposizione, superando le incertezze giurisprudenziali (peraltro
conclusesi in senso favorevole al condannato), oggi il silenzio serbato
circa il rito prescelto comporta senz'altro il dibattimento (rectius:
il giudizio immediato) senza alcuna possibilità, in quella sede, di
ripensamenti volti al patteggiamento o all'oblazione (art. 464). L'opposizione
(e, come si vedrà, anche per le altre impugnazioni) può essere
presentata anche nella cancelleria del giudice di pace (art. 461, comma
1).
Anche per la trasformazione dal procedimento per decreto a quello abbreviato,
la legge 144/00 ha inserito i necessari aggiustamenti riguardanti le ipotesi
di contestazioni suppletive regolate dall'art. 441 bis c.p.p. (v. art. 464,
comma 1, c.p.p.).
In ogni caso, la condanna inflitta mediante decreto
penale gode del beneficio della non menzione sul certificato penale spedito
a richiesta dei privati. La legge 479/00 aveva già espressamente introdotto
tale previsione al comma 2 dell'art. 460 c.p.p. Il legislatore del 2000 ha
ritenuto di doverlo cancellare anche in considerazione della disciplina generale
relativa al casellario (art. 689 c.p.p.; cfr. infra).
- OBLAZIONE
Cambiamenti al codice penale e alle norme di attuazione anche in tema di oblazione.
La legge 479/99 aveva previsto una caso particolare di rimessione in
termini, qualora, nel corso del dibattimento, l'originaria imputazione fosse
stata modificata in altra compatibile con l'oblazione (ultimo comma dell'art.
162 bis così come introdotto dalla "Carotti"). Va evidenziato
che, prima della riforma del 1999, la giurisprudenza ammetteva l'oblazione
a seguito di modifica dell'imputazione soltanto se la relativa richiesta era
preventivamente presentata negli ordinari termini predibattimentali e successivamente
reiterata.
Successivamente, la legge di conversione ha cancellato il predetto comma 7
dell'art. 162 bis c.p., evidentemente prediligendo la disciplina generale
di cui all'art. 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p. (parimenti introdotto
dalla legge 479/99) e rendendo finalmente univoca l'applicabilità di
detta rimessione anche all'oblazione ex art. 161 c.p.
Risulta modificato anche l'art. 141 disp. att.: l'ultima parte del comma
4 rende ora inapplicabile il comma 3 dell'art. 75; il già citato
comma 4 bis fissa, infine, il termine (pari a dieci giorni) del
pagamento per il caso di ammissibilità al rito ai sensi dell'ultimo
comma dell'art. 162 bis.
- GIUDIZIO-DIBATTIMENTO
(LIBRO VII)
Viene, anzitutto, risistemato l'art. 468 con particolare attenzione alla citazione
dei testimoni ex art. 210 e prevedendo una più agile e preventiva
distribuzione delle citazioni tra le varie udienze dibattimentali (cosa,
peraltro, anticipata dalla prassi).
A conferma della centralità dell'udienza preliminare (e, specularmente,
della residualità del dibattimento), alcune norme riguardanti quest'ultima
(artt. 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies)
sono, addirittura, richiamate dal nuovo art. 484, comma 2 bis in tema
di costituzione delle parti. Ne consegue l'abrogazione delle norme del
dibattimento regolanti questi aspetti (art. 485, 486, 487 e 488), la cui trattazione,
come visto, è sostanzialmente anticipata all'udienza preliminare.
Secondo il nuovo testo dell'art. 493, scompare l'esposizione introduttiva
del pubblico ministero che, al pari delle altre parti, dovrà limitarsi
alla semplice indicazione dei fatti che intende provare chiedendo l'ammissione
delle prove. Come già al termine dell'udienza preliminare (art. 431,
comma 2) le parti possono accordarsi su alcuni inserimenti di atti nel
fascicolo del dibattimento.
Riassetto dei poteri del presidente o del giudice monocratico:
- espressamente, può ora impedire letture o esposizione di atti
delle indagini preliminari (art. 493, comma 4);
- per altro verso (art. 506, comma 2), gli sono ora impedite domande da
rivolgere ai soggetti esaminati prima che si siano conclusi esame e controesame;
- può disporre, anche d'ufficio a norma del comma 1 dell'art. 507,
l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti il cui inserimento nel fascicolo
dibattimentale è stato concordato tra le parti (art. 507, comma
1 bis);
- può disporre la lettura di dichiarazioni rese non soltanto dal
cittadino straniero residente all'estero, ma anche dal cittadino italiano
che non abbia residenza nel nostro Paese, sempre che sia assolutamente impossibile
l'esame dibattimentale (art. 512 bis).
Le eccezioni riguardanti la necessità di udienza preliminare (ove non
si sia svolta) a seguito di modifiche, nel corso del dibattimento, dell'imputazione
e, nel medesimo àmbito, della contestazione di reati concorrenti e
di circostanze aggravanti patiscono gli stessi limiti di quelle riguardanti
la competenza di giudici superiori (artt. 516, comma 1 ter, e 517,
comma 1 bis; ma v. anche artt. 521, comma 1, e 521 bis, comma
1). Da segnalare, ad opera della l. 144/00, la discutibile possibilità,
per il giudice, di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella
contenuta nell'imputazione anche nel caso in cui il reato "risulti tra
quelli per i quali è prevista l'udienza preliminare e questa non si
sia tenuta" (art. 521, comma 1, c.p.p. come ridisegnato con la parte
espunta dal testo).
- RITO MONOCRATICO
LIBRO VIII (GIA' RITO PRETORILE)
Un altro rito letteralmente rivoluzionato dalla riforma è quello precedentemente
definito "pretorile", ora, invece, comunemente chiamato "rito
monocratico".
Il libro VIII del codice è
stato integralmente riscritto sin dalla rubrica ("Procedimento davanti
al tribunale in composizione monocratica") e comprende attualmente appena
undici articoli (549-559) contro i diciannove del passato.
Pur non risultando chiaro
nel testo della riforma (soprattutto a causa della sovrapposizione delle più
ampie riforme portate dalla legge Carotti), la precedente equazione libro
VIII=assenza di udienza preliminare non è più valida (almeno
nell'assetto dato dalla de qua). Altrimenti detto, il rito monocratico
può prevedere la fase dell'udienza preliminare.
Pur nella succitata ambiguità del testo legislativo, tale conclusione
è inevitabilmente da trarre mediante la comparazione degli artt. 33
bis e 33 ter da un lato (che ripartiscono le attribuzioni tra
tribunale collegiale e tribunale monocratico) e dell'art. 550 dall'altro (la
disposizione disciplina i casi di citazione diretta a giudizio).
Se, infatti, la citazione diretta (di cui si dirà in seguito), vale
a dire la citazione che "salta" l'udienza preliminare è imposta
per i reati puniti con la reclusione non superiore, nel massimo, a quattro
anni e le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica si estendono,
in termini generali, sino a reati sanzionalibili con la reclusione non superiore,
sempre nel massimo, a dieci anni (cfr. la residualità prevista dagli
arrt. 33 bis, comma 2, e 33 ter) la forbice è evidente.
A conferma di quanto appena detto, si noti che il legislatore, pur nelle "pieghe"
della legge, parla di udienza preliminare anche nel rito monocratico. In proposito,
si vedano gli artt. 550, comma 3, 551 (pur indirettamente) e 556, comma 2,
mentre, nel libro VII, sono previste eccezioni riguardanti l'eventuale mancata
celebrazione dell'udienza preliminare (artt. 516, comma 1 ter, e 517,
comma 1 bis; ma v. anche artt. 521, comma 1, e 521 bis, comma
1).
Come accennato, tale innovazione discende, in realtà, dal progetto
di legge "Carotti" divenuto proprio l. 479/99. Infatti, mentre il
d.lgs. 51/98 - in ossequio alla delega - aveva sostanzialmente sostituito
la figura del tribunale monocratico a quella del pretore con ben poche modifiche
sostanziali, la 479/99 ha introdotto la distinzione de qua nell'àmbito
del rito monocratico.
Queste, comunque, le principali novità del libro VIII (rispetto al
previgente rito pretorile):
- il decreto di "citazione diretta a giudizio", vale a dire
quello che salta l'udienza preliminare, è sempre emesso dal pubblico
ministero (cfr. art. 550); ma, per alcuni reati precedentemente di competenza
del pretore, è ora previsto il rito monocratico con udienza preliminare
(artt. 379, 572 - anche nell'ipotesi base - , 589, 614, comma 4, 640, comma
2);
- l'eccezione circa la necessità dell'udienza preliminare può
essere sollevata entro il termine di cui all'art. 491, comma 1. In caso di
accoglimento, il giudice trasmette gli atti al pubblico ministero (cfr. art.
550, comma 2), mentre la connessione con procedimenti che prevedono l'udienza
preliminare impone al pubblico ministero di presentare, per tutti, l'ordinaria
richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell'art. 416 art. 551);
- scompaiono la previsione (riportata nel previgente art. 553) di termini
di durata delle indagini preliminari diversi per il rito pretorile e le speciali
determinazioni del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse
(già art. 554);
- analogamente, vengono meno le speciali regole (previgente art. 551) previste
per l'incidente probatorio pretorile, strumento che nel libro VIII precedentemente
formulato era destinato ad un'applicazione eccezionale;
- il decreto di citazione (diretta) a giudizio (ora disciplinato dall'art.
552) ricalca quello contemplato, al previgente art. 555, per il vecchio rito
pretorile. Anche per il rito monocratico (così come per quello
collegiale) sono state imposte "chiarezza e precisione", ma,
sembrerebbe, limitatamente all'esposizione del fatto (cfr. la lett. c).
Con il riassetto dei termini per le richieste di riti alternativi,
vengono modificati gli avvisi relativi a detti termini (cfr. infra).
Sempre con riguardo alle modifiche introdotte nel rito collegiale, anche
il decreto di citazione a giudizio del rito monocratico è nullo se
non preceduto dall'avviso ex art. 415 bis, nonché dall'invito
a presentarsi per rendere interrogatorio, sempre se tempestivamente richiesto
dall'indagato. Si allunga, invece, il termine a comparire, oggi pari
ad almeno sessanta giorni, quarantacinque soltanto in motivati casi di urgenza;
- ai sensi dell'art. 555, comma 1, il termine per la presentazione delle
c.d. "liste testi" passa dai due giorni del rito pretorile a sette
giorni, adeguandosi ai termini del giudizio collegiale;
- sempre ai sensi dell'art. 555, il termine ultimo per domandare il rito
abbreviato (qualora non si celebri l'udienza preliminare - v. art. 556, comma
2) viene spostato a prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Restano invariati i termini per le richieste di patteggiamento (ma sempre
qualora non sia prevista l'udienza preliminare) e oblazione; anche
in questo caso, la legge 144/00 ha inserito gli opportuni riferimenti all'art.
441 bis c.p.p. in tema di contestazioni suppletive in abbreviato;
- il comma 3 dell'art. 555 impone al giudice un tentativo di conciliazione
in caso di perseguibilità a querela. In precedenza, l'abrogato
art. 564 affidava questo incombente al pubblico ministero, comunque facoltizzandolo;
- anche per il rito monocratico, è eliminata l'esposizione introduttiva
del pubblico ministero ed è prevista la possibilità di
un accordo tra le parti circa l'inserimento di atti di parte nel fascicolo
dibattimentale (art. 555, comma 4);
- conformemente alle regole generali, anche il libro VIII esclude "ripensamenti"
circa riti alternativi (abbreviato, patteggiamento e oblazione) nel caso sia
stata presentata opposizione al decreto penale (art. 557);
- sul fronte della convalida dell'arresto e del giudizio direttissimo (ora
disciplinati dall'art. 558) si osservi l'equiparazione (per mezzo dell'art.
558, comma 9) ai casi di giudizio direttissimo "collegiale" ex
art. 449, commi 4 e 5. Tali norme vanno, comunque, lette con quelle disciplinanti
le attribuzioni del giudice monocratico conseguendo, infatti, che le stesse
diventano applicabili a reati come quelli in tema di stupefacenti;
- nessuna significativa novità per il dibattimento regolato dall'art.
559, avvicinato, da altre norme, sempre più a quello del tribunale
in composizione collegiale.
In margine, si segnala che, secondo una certa interpretazione di merito
(cfr., ad es., Tribunale
di S. Angelo dei Lombardi, in composizione monocratica, ordinanza 11 aprile
2000), le funzioni dei pubblici ministeri non potevano essere delegate
per reati diversi da quelli per cui si procede a citazione diretta ai sensi
dell'art. 550 nella nuova lettera (cfr. le modifiche apportate all'ultimo
comma dell'art. 72 dell'Ordinamento Giudiziario). Di diverso avviso è
stata la Cassazione che ha ammesso i p.m. non togati anche in procedimenti
monocratici con udienza preliminare (v. Cass.
Sez. IV Pen, 11 aprile 2000, n. 2631).
Una "sincronizzazione" è stata fatta anche in relazione
alle funzioni dei giudici onorari. L'art. 3 bis del d.l. 82/00 (come modificato
in conversione) ha, infatti, sostituito, all'art. 43 bis O.G. (introdotto
dal d.lgs. 51/98), la lettera b) estendendo le funzioni dei giudicanti onorari
a tutti i procedimenti a citazione diretta.
Va, infine, rilevato che la legge 144/00 ha precisato
che nei casi di citazione diretta rientrano anche i reati puniti con la multa,
sola a congiunta alla pena detentiva (art. 550, comma 1, c.p.p.).
- IMPUGNAZIONI
Poche modifiche al libro IX. La più rilevante: dall'art. 571, comma
3 è espunta la previsione circa la necessità, a pena di inammissibilità,
della procura speciale per l'impugnazione del difensore di sentenze contumaciali.
All'art. 579 e stato depennato il riferimento alle sentenze di non luogo a
procedere (che, come visto nella sezione dedicata all'udienza preliminare
non possono più essere pronunciate qualora il G.U.P. ritenga di dover
irrogare una misura di sicurezza personale, parrebbe doversi concludere).
Conformemente a quanto disposto per l'opposizione al decreto penale, anche
le impugnazioni in genere posso essere presentate alla cancelleria del giudice
di pace (art. 582, comma 2).
In margine, va ricordata una modifica introdotta non già dalla legge
"Carotti", bensì della l. 24 novembre 1999, n. 468 (precisamente
l'art. 18). A seguito della riformulazione dell'art. 593, comma 3, c.p.p.
sono ora inappellabili le sentenza di condanna relative a reati per i quali
è stata applicata la sola pena pecuniaria e le sentenze di proscioglimento
o di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria
o con pena alternativa. In precedenza il limite dell'inappellabilità
riguardava le condanne relative a contravvenzioni per le quali era stata applicata
la sola ammenda e le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere
relative sempre a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa.
- ESECUZIONE
Una "correzione" analoga a quella posta all'art. 579 è risultata
necessaria per l'art. 680, comma 2.
Con la riforma il certificato richiesto dall'interessato ex art.
689, non comprende più l'iscrizione dei decreti penali (comma 2,
n. 5).
- PRATICANTI
ABILITATI
L'art.
2 terdecies del d.l. 82/00 convertito restringe ai procedimenti a citazione
diretta l'esercizio dei praticanti abilitati. Sono dunque esclusi reati di
una certa rilevanza come l'omicidio colposo, la truffa aggravata, la violazione
di domicilio aggravata, i maltrattamenti in famiglia e il favoreggiamento.
- DISPOSIZIONI
DI ATTUAZIONE
Tra le innovazioni, comunque limitate, non direttamente relative alle sezioni
di cui sopra, si segnalano:
- abrogazione dell'art. 155 in tema di incidente probatorio;
- abrogazione dell'art. 156 riguardo l'opposizione alla richiesta di archiviazione;
- abrogazione dell'art. 158 (avocazione in caso di mancato accoglimento della
richiesta di archiviazione);
- adattamento del secondo comma dell'art. 159 al nuovo rito monocratico;
- abrogazione del comma 2 dell'art. 160 (determinazione della data di udienza
dibattimentale o del procedimento speciale);
- abrogazione dell'art. 161 (deposito degli atti per il giudizio abbreviato);
- sostituzione dell'indicazione dell'art. 566 con l'art. 588 del codice (art.
163 disp. att.).
- LINK E MATERIALI
UTILI
Tra i siti istituzionali, ampio materiale è reperibile sul sito del
Ministero, su
quello della Presidenza
del Consiglio dei Ministri e, anche per il testo dei vari disegni
di legge, su quello del Parlamento.
Le pagine de Il Sole
24 Ore e di Cittadino.Lex
(dal sito de La Repubblica)
sono costantemente aggiornate e contengono numerosi articoli di commento.
Su www.penale.it
è presente il testo in html delle disposizioni
transitorie ex decreto legislativo 51/98, della legge
479/99, del decreto
legge 82/00 e della legge
144/00 nonché le schede (formato Word2000
o RTF) degli aggiornamenti, articolo per
articolo, ai codici penale e di procedura penale, attualmente senza le modifiche
(in preparazione) del d.l. 82/00 e della l. 144/00.
Su carta, di grande aiuto sono gli speciali apparsi su Guida
al diritto, nn. 50/1999 (31 dicembre 1999), 1/2000 (15 gennaio 2000)
e 22/2000 (17 giugno 2000).
avv.
Daniele Minotti,
Genova - Rev. 2.0, 18 giugno 2000 (riproduzione riservata)
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(*)
Questo documento, pur riportando le conclusioni dell'autore, ha tratto insostituibile
beneficio dalla discussione tenutasi nel contesto della mailing
list di www.penale.it. A questo proposito
è doveroso un ringraziamento a tutti gli intervenuti.